
#CHIVAECHIVIENE
Di Yuri Bocchini
(In foto: Yuri Bocchini impegnato in un’ecografia transesofagea)
Giunto a trent’anni, Zarathustra lasciò il suo paese e il lago del suo paese, e andò sui monti.
(F. W. Nietzsche)
Sono un medico italiano che ha deciso di lasciare il bel paese ormai quattro anni fa. La scelta è ricaduta, tra le tante opzioni vagliate, sulla Germania. Per me la partenza non è stata una soluzione di ripiego, era programmata da qualche mese e non ho tentato nessun concorso in Italia. A marzo 2015 insieme a mia moglie abbiamo riempito le valigie e siamo saliti su un volo Ryanair.
L‘inizio non è stato facile, del resto quale inizio lo è? L’ostacolo maggiore è rappresentato dalla lingua; nel campo della ricerca si può benissimo lavorare conoscendo solo l‘inglese ma nei servizi si ha contatto diretto con le persone del posto, quindi è richiesta un’ottima conoscenza della lingua. Il percorso di abilitazione alla professione, pur nella sua complessità e pur presentando varie difficoltà, è lineare, grazie ad una burocrazia alquanto efficiente. Non vi tedio con tecnicismi, chi vuole informazioni a riguardo può consultare il gruppo Facebook Medici italiani in Germania che conta più di 5000 iscritti. Il periodo della specializzazione, a differenza di quanto avviene in Italia, è gestito dagli ospedali stessi, per i quali si è dei lavoratori dipendenti della struttura a tutti gli effetti con i vantaggi e gli svantaggi che ne conseguono. Tra i maggiori vantaggi c’è la mobilità: si può svolgere la specializzazione in varie strutture, con la possibilità di cambiare in ogni momento.
La domanda che mi viene rivolta più spesso è cosa ci ha spinto a spostarci.
La risposta che avrei dato tre anni fa è forse un po’ diversa da quella che darei oggi. Allora partivo con un certo rammarico dato da una mia insofferenza al sistema che, di fatto, tende a sfruttare i neolaureati di qualunque disciplina. I dati ISTAT a riguardo parlano chiaro; nel 2017 sono quasi 28 mila i laureati che hanno lasciato l‘ Italia. Attualmente invece sono estremamente soddisfatto della scelta. Spostare il proprio baricentro, rendersi autonomi in un altro paese, convivere con un’altra cultura così diversa mi ha reso una persona più matura. Lo consiglio fortemente a coloro che hanno dubbi se intraprendere o meno questa strada. Resta il fatto che partire non può essere una ruota di scorta, deve essere attentamente programmato, a partire da una iniziale conoscenza della lingua, e contornato da tanta determinazione.
La seconda domanda è: tornerai? Ni.
A Foligno ho le mie radici, qui sono nato e cresciuto, qui vive la mia famiglia. Vivere con la consapevolezza di poter tornare rende la lontananza più facile. Si guarda al futuro con uno sguardo più sereno. Attualmente però le premesse non ci sono, anche perché se tornassi ora perderei tre anni di specializzazione, perché l’Italia è l’unico paese che non riconosce gli anni di specializzazione svolti all’estero. Perciò tornare comporterebbe un grosso passo indietro nella mia formazione, nonché uno spreco di risorse per il sistema sanitario. Vedremo se in futuro ci saranno le premesse, la speranza resta sempre.