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C’era una volta un fiume

Il fiume Topino è stato da sempre un tacito protagonista nella storia della nostra città, ma oggi il suo futuro appare problematico ed incerto. Gianfranco Toni ricorda il fiume della sua infanzia e ci spiega i motivi dietro ad un cambiamento così repentino.

#AMBIENTE #CITTÀ
Di Gianfranco Toni

(In foto: la riva del fiume Topino, in prossimità del ponte della Liberazione, in occasione della manifestazione a sostegno di Mediterranea-Saving Humans – 24 marzo 2019)


C’era una volta un fiume nella nostra città, Foligno, ma questo accadeva molti anni fa, quando ero bambino, agli inizi degli anni 50 del secolo scorso. Me lo raccontava mio padre quando passeggiavamo lungo la ripa, e io cercavo di immaginare le avventure che mi si materializzavano davanti agli occhi, facendo un po’ di fatica però a vedere mio padre ragazzino che si tuffava e nuotava nelle acque vorticose, che pescava a mani nude, con un piccolo retino, catturando i pesci nelle buche tra i sassi lungo la riva, che solcava la corrente con la piccola barchetta di legno che si era costruito.

E mi raccontava anche di epiche spedizioni a rubare la frutta negli orti lungo le rive, di catture di anguille e bisce, da liberare in Piazza dell’Erba tra le donne a fare la spesa, così, tanto per divertirsi allo scompiglio. Ma si faceva serio quando mi raccontava anche delle tragedie che avvenivano sul fiume, degli annegati e quando mi raccomandava prudenza ed attenzione nei nostri giochi, forse sapendo benissimo che la nostra incoscienza di bambini ci avrebbe fatto tranquillamente ignorare ogni raccomandazione.

Facevo fatica a ricostruire quelle immagini perché già allora il fiume, il Topino, non era più lo stesso, con poca acqua e con le rive occupate sempre da nuove costruzioni. Ciononostante facevamo del nostro meglio per emulare i nostri padri, fingendoci tutti Huckleberry Finn, navigando con un battellino di gomma in improbabili esplorazioni delle rive, organizzando epiche sassaiole con le altre bande di ragazzini e godendoci i primi tuffi all’inizio dell’estate, quando ci ritrovavamo nascosti nel canneto le mattine che saltavamo la scuola prima di spogliarci e saltare urlando nelle poche pozze profonde. Cose che ogni madre odierna considererebbe un incubo ma che non esistono neanche nella mente dei bambini/ragazzini di oggi i quali sono sicuro rimarrebbero estremamente sorpresi ed increduli se qualcuno gli proponesse una scorreria per orti (ce ne sono ancora, per fortuna) o un tuffo tonificante.

Ogni tanto ci ripenso, quando passeggio lungo i sentieri del Parco Fluviale e rifletto su come sia stato possibile che nel corso di un paio di generazioni si sia modificato così profondamente ed irrimediabilmente un corpo idrico importante, presente da millenni, che ha forgiato una valle e fornito ai suoi abitanti tanti servizi diversi. Nel nostro fiume, nel Topino, non c’è quasi più acqua, il suo ecosistema è stato brutalmente semplificato, il suo corso irreggimentato, il suo futuro è una scommessa su cui nessuno vuole puntare. Perché siamo arrivati a questo?

A dire il vero, a guardare quello che succede nel resto del paese e del mondo, di fiumi in crisi ce ne sono migliaia e valga per tutti l’esempio del Colorado River, quello che ha scolpito il gran canyon: già da molti anni non arriva più alla foce, per mancanza di acqua, ed ogni anno arretra di oltre un chilometro. Sembrerebbe incredibile se non fosse accuratamente documentato.

E a guardare bene le ragioni della crisi sono molto simili: modificazione delle precipitazioni dovute al climate change e contemporaneamente aumento dei prelievi per usi produttivi e no, col risultato di una riduzione marcata delle portate. Il Topino è un fiume piccolo, breve, a regime parzialmente torrentizio, ma ha avuto la sua dignità di fiume vero finché non si è realizzata la malaugurata operazione di captazione delle sorgenti di Bagnara e San Giovenale da parte del Consorzio Acquedotti di Perugia che non ha mai rispettato il disciplinare concordato per il rilascio del cosiddetto minimo vitale di flusso. Stessa mancanza di rispetto dei disciplinari è stata praticata sulle altre concessioni per irrigazione e su quelle degli affluenti (vedi le centraline elettriche del Menotre), col risultato finale che è sotto i nostri occhi.

Eppure non dobbiamo abbandonare il nostro fiume, anzi, ora che, con una certa lungimiranza, è stato organizzato da alcuni anni un parco fluviale, facciamo si che il nostro interesse si concentri sul riportare l’acqua la dove deve essere: nel letto del Topino.

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