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Parole e idee: vittimismo

Nel terzo appuntamento con la rubrica "Parole e idee", Matteo Santarelli analizza la parola vittimismo, denotando in particolare come il vittimismo sovranista veicoli la discussione politica italiana odierna e osservando come la risposta della sinistra a questa tendenza assuma spesso i caratteri di una vera e propria "autoflagellazione".

#IDEE #PAROLE
Di Matteo Santarelli


Non servono analisti politici particolarmente raffinati per realizzare come la destra abbia messo in fila negli ultimi anni una lunga serie di successi. Di solito l’attenzione degli analisti e dei commentatori si concentra sui successi elettorali. Ma c’è una vittoria ancora più schiacciante, ma molto più raramente discussa e menzionata. È la vittoria della destra radicale nell’agenda politica e nella discussione pubblica. Una delle leggi non scritte della politica recita pressappoco così: ciò che rende dominante un tema non è il fatto che metta tutti d’accordo, ma il fatto che tutti ne parlino in continuazione. Un tema può spaccare in due un paese, ma questa divisione nelle opinioni non pregiudica il fatto che questo argomento di discussione sia centrale. Anzi, lo rafforza e ne potenzia la diffusione.

La gerarchia degli argomenti di discussione, ovviamente, non è neutrale. Ciò che distingue destra e sinistra non è solo la divergenza di idee sulle questioni specifiche, ma anche e soprattutto l’importanza che viene attribuita ai diversi temi. Di conseguenza, il fatto che oggi tutti e tutte parlino continuamente dei temi più cari alla destra – migrazioni, identità, sovranità, etc. – e lascino sullo sfondo le questioni tipicamente di sinistra – lavoro, uguaglianza, giustizia – è un segno ancora più lampante della forza della destra, rispetto ai suoi successi elettorali.

Eppure a sentire i politici di destra e i loro megafoni intellettuali in tv, nei giornali e nei social, le cose andrebbero in modo molto diverso. Quello a cui assistiamo ormai da anni è un continuo lamento sulla presunta discriminazione subita dalle idee “ribelli”, “non omologate”, “coraggiose”, “anti status quo” di Salvini, Trump, Le Pen. La concezione della famiglia supportata dalla religione cattolica (la religione professata da poco meno del 75% degli italiani/e) viene difesa come se fosse il diritto di una minoranza; Salvini parla di sé come un outsider del sistema mediatico italiano, del quale è invece padrone indiscusso, tanto da avere il potere di decidere ogni giorno il tema delle nostre discussioni; il partito che governa da decenni le regioni più ricche del centro-nord da decenni si dipinge e clamorosamente viene dipinto anche dai suoi avversari come il partito degli ultimi, dei falliti, dei perdenti della globalizzazione; le formazioni neofasciste denunciano le violenze fisiche e verbali subite da parte degli avversari politici, insomma un po’ come se Vittorio Sgarbi denunciasse il turpiloquio dei suoi interlocutori.

Di fronte a questa quotidiana invasione di vittimismo, la sinistra in tutte le sue emanazioni ha proposto diverse reazioni. La risposta che trovo più incredibile è l’autoflagellazione: tutto quello di cui ci accusa la destra è automaticamente vero. Ho visto trentenni che prendono 900 euro al mese confessare di aver “perso il contatto con il popolo”; ho letto ex compagni di partito di Lucio Magri, autore di un bellissimo discorso di critica al Trattato di Maastricht in parlamento all’epoca della sua approvazione, che fanno mea culpa sulla mancanza di critica verso l’UE di fronte alle critiche di ex-berlusconiani; ho sentito persone che fanno volontariato da decenni “scusarsi” per il fatto di non riuscire ad aiutare tutti con gente piena di soldi che non ha aiutato mai neanche il vicino a spingere la macchina; ho assistito sbigottito allo spettacolo triste di gente competente e modesta che subiva impassibile lezioni di marxismo da sovranari leghisti che hanno letto mezza pagina di Gramsci per sbaglio.L’autocritica è una cosa buona e giusta, visti i numerosi errori compiuti dalla sinistra che hanno contribuito a spianare la strada ai successi della destra. Il problema è che assumersi tutte le colpe attribuite dal vittimismo sovranista è esattamente uno di questi errori. Come nella nostra vita personale, la capacità di ammettere e comprendere le proprie responsabilità è una cosa molto diversa da una sottomissione totale ai propri sensi di colpa. Come è possibile contendere voti e consenso alla destra, se si pensa e si ammette di essere colpevoli di tutti i mali del mondo e nella storia, se ci si vergogna di sé e dei partiti con cui ci allea, se si contribuisce a far passare il messaggio che i ridicoli atti di vittimismo dei propri avversari siano la copia esatta della realtà?

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