
#STORIAEMEMORIA
Di Fausto Gentili
Ieri, in occasione della Giornata del ricordo, ho riproposto ad un piccolo gruppo di amici appassionati di storia, con i quali ogni anno programmiamo qualche incontro sulle più diverse tematiche, una lezione sulle Foibe e il confine orientale, realizzata qualche anno fa per l’Officina della memoria e poi portata in diverse classi delle scuole cittadine.
Ancora una volta ho potuto constatare che, se si sta ai fatti e non si perdono di vista i principi, raccontare quella terribile tragedia è piuttosto facile. Perché, se la memoria è, per mille ragioni, impossibile da condividere, si può invece condividere la conoscenza storica. Basta non farsi accecare dalla coda di paglia o dal furore ideologico. Quella delle Foibe è la storia di un crimine di guerra (anche qualcosa di peggio, giacché la guerra era finita) perpetrato dai partigiani sloveni all’indomani della Liberazione. Comprenderne le ragioni, contestualizzarlo, riferire i precedenti crimini commessi, in quegli stessi territori, dagli eserciti occupanti italiano e tedesco o la feroce politica di snazionalizzazione attuata dal fascismo, o ricordare le migliaia di Sloveni passati per la risiera di San Sabba, serve a capire, non a giustificare. E’ necessario, ma non ridimensiona in alcun modo le colpe di quanti misero in atto quel crimine, in un confuso groviglio di vendetta politica, vendetta privata e eliminazione preventiva di possibili futuri oppositori. Nè il fatto che molte delle vittime (non tutte) si fossero macchiate a loro volta di colpe rende meno orribile la vicenda. Quella storia va dunque raccontata, quelle vittime vanno compiante, quel crimine va chiamato per nome e condannato senza giochi di parole.
Quello che non si può fare, che non si dovrebbe fare, è il duplice errore – anch’esso, nel suo piccolo, un crimine – che sembra andare per la maggiore in molte delle celebrazioni Il primo è il tentativo davvero scellerato di usare le vittime delle Foibe come contrappeso delle vittime della Shoah (amaro destino, quello di essere usati anche da morti). Perché, se da un lato abbiamo, appunto, un orribile crimine di guerra, uno tra i tanti che – prima e dopo quella tragedia – hanno punteggiato di sangue la storia dell’umanità; dall’altro c’è un unicum senza precedenti, vale a dire il tentativo di porre le conquiste della modernità (organizzazione del lavoro, scienza, tecnologia,…) al servizio di un progetto volto a cancellare dalla faccia della terra un popolo che era a sua volta un unicum: una nazione dispersa per il mondo, unita non da un territorio ma da un libro e da una tradizione. L’altro errore, che incredibilmente dilaga sugli schermi, nei,blog e sulla carta stampata, e che ha piuttosto l’aria di una mascalzonata, è usare le vittime delle foibe per rinfocolare il nazionalismo, vale a dire la bestia che, colpevoli o innocenti, li ha divorati. E questo significa davvero mancare loro di rispetto e, non potendo più giocare sulla loro pelle, giocare sulla loro memoria