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Edilizia residenziale pubblica: un’altra (inutile) guerra ai poveri

Partendo dalle dichiarazioni del sindaco Zuccarini sulla questione dell'assegnazione degli alloggi popolari, Vincenzo Falasca commenta la proposta di modifica leghista sull'edilizia residenziale sociali e sottolinea come, al di là degli slogan propagandistici, tale modifica non cambi di molto la legge precedente del 2019. Un'ultima riflessione, infine, sulla mancanza di un grande piano di Edilizia Pubblica.

#COPERTINA #VITACITTADINA
Di Vincenzo Falasca

(In foto: il nuovo complesso residenziale e commerciale in costruzione nella zona del vecchio ospedale).


Era il 10 gennaio quando il Sindaco Zuccarini, toglieva la parola all’Assessore Cetorelli, evidentemente troppo moderato, per denunciare: «Rappresento un’amministrazione di centrodestra e voglio dire con molta franchezza che su 337 persone aventi diritto ad un alloggio di edilizia residenziale pubblica ce ne sono 260 che non sono italiane […] Io penso che nelle graduatorie prima debbano venire gli italiani, poi gli altri. Per questa volta abbiamo potuto fare poco, ma ci mobiliteremo presto chiedendo un nuovo regolamento regionale che favorisca l’accesso degli italiani in primis, che devono ricevere il dovuto rispetto. Faremo una battaglia per questo. Poiché non è possibile che su 10 case disponibili, 6 vadano agli stranieri».

Finalmente un po’ di chiarezza: il Sindaco Zuccarini non si sente di rappresentare la Città di Foligno ma una amministrazione di Centro destra… ce ne eravamo accorti! Poi Italiani sono solo quelli nati in Italia e da genitori Italiani e, mi raccomando, che si chiamino Ricci o Donati o Angeli perché se hanno un cognome non autoctono, non posso più dire che 6 su 10 sono stranieri (?) quando invece solo 3 dei primi 10 in graduatoria sono con altra cittadinanza ma residenti a Foligno da molto tempo e gli altri 7 sono tutti cittadini italiani.

E da ultimo il tanto italiota “Ghe pensi mi”: ora lo facciamo noi un regolamento giusto e a giusta percentuale di veracità. E così il 3 febbraio è stata presentata in Consiglio Regionale dalla Lega la proposta che modifica ed integra la legge sull’edilizia residenziale sociale.

Ci saranno, direte, tutte quelle novità che i folignati aspettavano.

E invece il nuovo regolamento regionale proposto, al di là dei roboanti proclami e dei titoloni della stampa ossequiosa, assomiglia molto a quello precedente e soprattutto a quello Folignate, perché già questo si era spinto molto in là nel favorire la componente locale dei richiedenti e prestare attenzione alle fasce più deboli della popolazione.

Già nella versione del 2019 era infatti previsto che, oltre ad un reddito ISEE non superiore ai 12.000€ per l’intero nucleo familiare, il requisito fondamentale fosse la residenza anagrafica o un  lavoro stabile e continuativo in Umbria da almeno cinque anni consecutivi; in più erano previste progressive premialità a chi risiedeva nel Comune di Foligno da più tempo (4 punti se da più di 15 anni, 3 da almeno 10 anni, 2 da sette e uno da cinque anni), utilizzando tutti i punti aggiuntivi a disposizione di ogni amministrazione per poter caratterizzare le proprie scelte. Erano inoltre già previsti punteggi per la presenza nel nucleo familiare di minori o componenti con invalidità o handicap, per i nuclei costituiti da ultra sessantacinquenni e per le famiglie monoparentali (genitori single, separati, divorziati, vedovi). Niente di nuovo, quindi. Infine erano già stabiliti punteggi aggiuntivi per nuclei oggetto di sfratto o ordinanze di sgombero, o di profughi ed emigrati folignati che intendessero rientrare “a casa”, oppure per componenti delle Forze dell’Ordine, Armate e di Pubblica Sicurezza che avessero necessità di trasferirsi per motivi di lavoro nel nostro territorio. Insomma, un sistema di regole che univa criteri di necessità economica con quelli della territorialità e quelli della fragilità sociale: forse migliorabile ma sostanzialmente equilibrato.

È pertanto totalmente fuorviante descrivere una assegnazione calibrata, per essere chiari, a favore delle famiglie di “immigrati con tanti figli” come comunemente viene propagandato. È altresì vero che sono molte più le persone in difficoltà provenienti da altri Paesi e da tempo risiedenti in Umbria che presentano la domanda di assegnazione degli alloggi di ERS, mentre c’è una certa reticenza da parte degli Italiani “di vecchia data”: un po’ per ragioni culturali (c’è una ritrosia notevole nel richiedere sussidi per la povertà come case popolari e contributi sociali, mentre si preferiscono interventi assistenziali più generalisti come assegni di cura o reddito di cittadinanza). C’è poi un po’ di diffidenza per il sistema dell’edilizia residenziale pubblica, immaginata erroneamente come sempre rispondente a requisiti di scarsa qualità e sicurezza. E c’è anche da tenere conto della capacità di adattamento di tanti che magari preferiscono cogliere diverse opportunità, potendosi appoggiare ad una rete di relazioni sociali ancora funzionanti nel nostro territorio. Tutto ciò determina sicuramente gran parte dello squilibrio nel pacchetto di richiedenti l’alloggio e, conseguentemente, nella composizione della graduatoria e quindi nella gestione delle assegnazioni.

In realtà il vero grande problema che nessuno sembra voler affrontare, un po’ perché di difficile e complessa risoluzione, un po’ perché meno utilitaristicamente spendibile  a fini elettorali, è l’assenza di un grande piano di Edilizia Pubblica che sia in grado di rispondere alle sempre maggiori difficoltà delle famiglie del nostro Comune, e più in generale del Paese: una necessità che tocca tutte e tutti e che ogni decennio vede aggravarsi le condizioni  generali, venendo meno l’eredità del tessuto sociale precedente.

Perché nessuno si preoccupa del fatto che in Umbria mancano oltre 1000 alloggi per coprire la domanda attuale? Perché nessuno si preoccupa che a Foligno si parla di una decina di assegnazioni quando le domande sono molte di più e molte di più potrebbero essere?
Perché nessuno dice che la situazione in Umbria e ancor più a Foligno è meno pesante che in altre parti di Italia, ma non per questo meno indegna di un Paese civile?

È una grande questione di giustizia sociale e di politica redistributiva: forse, insieme a quella del lavoro e del giusto compenso, la più grande emergenza contemporanea. E darle una risposta adeguata vorrebbe dire attivare una grandissima risorsa economica con il rilancio degli investimenti, sia da parte del pubblico che dei privati, e contemporaneamente mettere in atto un grande strumento di pianificazione urbanistica puntando innanzitutto (senza ulteriori aggravi edificatori) al recupero del patrimonio edilizio esistente  e non utilizzato.

Ecco, se ci si occupasse delle necessità e delle opportunità di ciascuno, invece di battersi per favorire alcuni escludendo altri, probabilmente staremmo meglio tutti: non è solo una questione di umanità ma anche di intelligenza.

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