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Ora che siamo tutti invisibili

"Non c'è divieto che tiene quando a guidarti è la dipendenza che è l'equivalente della disperazione". Susanna Minelli riflette sul ritrovamento, pure in questi giorni di quarantena, di tre siringhe alle Conce e ci lascia con un complesso interrogativo: quando l'emergenza sanitaria finirà, saremo in grado di fare tesoro di questa invisibilità temporanea che ora stiamo vivendo?

#CITTÀINVISIBILE #SOCIETÀ #SALUTE
Di Susanna Minelli

(In foto: una delle siringhe abbandonate presso le Conce)


Tre siringhe usate a terra. La città invisibile che di colpo diventa visibile.
Perché quella visibile se ne è andata in quarantena, e le leggi e le regole della prima rispondono ad un solo imperativo: quello dettato dalla disperazione.

Ci troviamo nel centro di Foligno, in uno degli angoli più belli della città: il portico delle Conce. Un luogo che, nel rigore del silenzio e del deserto, diventa, se si può, ancora più bello di quello che è. Una bellezza antica, scevra di fraintendimenti architettonici dettati dalla modernità, che incute un fascino attrattivo risucchiante.
Percorri il portico e non sai dove finirai, perso nell’incanto della visuale. E ciò è semplicemente la visione parallela di quello che da tempo si consuma sotto questi archi, è che nonostante le grandi paure, continua.

Non possiamo dire che resiste, perché la disperazione, non ha bisogno di prove di forza, è proprio lei la forza, il motore di certi atti  come quelli del “bucarsi”, che non sono quasi mai scelte, ma condizioni che avvengono ad un certo punto e non si riesce a capire il perché. Si darà la colpa alla famiglia, alle compagnie sbagliate, a quell’ essere senza spina dorsale e scegliere quella che per alcuni è la via più facile: l’evasione.
Tutte stronzate, per trovare un colpevole che non c’è e che non si può trovare, perché la colpa in questi casi è qualcosa di fin troppo secondario. La disperazione non si cura rintracciando i colpevoli, ma cercando i motivi per cui vale la pena allontanarsi da tale condizione.

Le cronache di questi giorni sono per forza di cose impegnate dalla grande battaglia che il mondo sta conducendo contro il Covid-19. Mi chiedo in maniera pressante se le persone che costrette all’atto del buco, che è più forte di ogni tipo di paura e di amore, abbiano pensato ai divieti. La risposta è già nella domanda. Non c’è divieto che tiene quando a guidarti è la dipendenza che è l’equivalente della disperazione. E il segreto celato dalla confusione della società che fino a venti giorni fa conoscevamo, rimane coperto da un anonimato inquietante, ma allo stesso tempo liberatorio.
Gli emarginati, in questo congedo forzato dal mondo che richiede rifugio nelle tiepide case, dove sono a consumare i loro demoni? Dove lo hanno sempre fatto.  Come se nulla fosse cambiato dall’11 marzo. Perché loro vivono un tempo fermo da più tempo di noi: spazio e tempo non hanno confini ordinati.

E allora la disperazione continua a tenersi in uno scenario distopico, lasciando segni, però, nel loro caso, decisamente chiari in questa situazione. Che diventano vessilli che occupano in maniera vistosa le strade deserte. Un simbolo che ci ricorda ciò che abbiamo cercato di evitare in tutti i modi: la paura del mondo visibile, della società che conoscevamo, di toccare con mano la disperazione.
Disperazione che si declina in tante piaghe, dalla tossicodipendenza alla violenza di genere, dalla povertà alla malattia mentale. Fino agli sfruttati nei posti lavoro, che sono tanti. Troppi. Ricordandoci che siamo in un paese in cui si denunciano i senzatetto per violazione delle restrizioni imposte dal decreto. 

(In foto: un’altra delle siringhe ritrovate alle Conce)

Ora, tornando alle Conce, quelle siringhe rimangono idealmente lì, anche se verranno rimosse, a ricordarci della città invisibile di cui parlavamo a bassa voce tra un aperitivo e una chiacchiera da bar. Noi, i visibili, gli immortali, i bellissimi. Dèi con la certezza di poter cambiar le sorti altrui e la propria in meglio. Peccato che la maggior parte di noi non lo  faceva. Persi tra un commento social e un’emozione soffocata per ottenere il privilegio fugace dell’intoccabilità.
Sicuramente saranno tempi duri quelli che verranno. Mi auguro allora che le lacrime e il sangue che verseremo siano il frutto di una visione globale di ciò che eravamo. Mi auguro che l’essere diventati tutti invisibili, soprattutto quelli che erano più visibili un tempo, tutti numeri potenzialmente occupanti di terapie intensive, ci dia la cifra di quanto in realtà la natura non faccia distinzioni quando decide di riprendere il comando. Perché oggi siamo tutti davvero invisibili. Perché tutti indistintamente stiamo facendo i conti con la fragilità del nostro essere umani. Quando torneremo ad essere visibili, l’obbligo morale, sarà quello di portare con noi quelli che da più tempo vivono l’invisibilità. Se non lo faremo, significa che non avremo capito la lezione. 

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