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Intervista con Maria Rita Trampetti, Dirigente scolastica dell IP Orfini, a cura di Miriam Abu Eideh
Come sta affrontando questo momento?
Ringrazio il destino di avermi dato un ruolo di responsabilità, altrimenti forse sarei stata presa dallo scoraggiamento. Io che ho reagito con forza durante il terremoto, e ho trasmesso questa forza alla mia famiglia, non nascondo la mia paura di fronte alle terribili notizie che arrivano giornalmente: siamo in guerra contro un nemico invisibile e questo mina profondamente le nostre sicurezze.
Credo, però, che si debbano mantenere calma e lucidità, affrontando il quotidiano e mantenendo uno sguardo aperto e fiducioso nel futuro. Forse è l’insegnamento più grande di questo bruttissimo momento storico: vivere bene ogni giorno, apprezzando il tempo che abbiamo a disposizione, anche il tempo per noi, che spesso è mancato.
Cosa ha pensato nelle giornate immediatamente precedenti alla chiusura delle scuole, quando si moltiplicavano le notizie allarmanti?
In quei giorni ha prevalso il senso di responsabilità. Genitori e insegnanti erano molto preoccupati e io ho infuso calma in tutti, rassicurando sul fatto che sicuramente di lì a poco sarebbe arrivata la comunicazione della sospensione delle attività didattiche, richiesta anche da noi Dirigenti assieme alla possibilità dello smart-working per il personale di segreteria. Il timore che possa avvenire qualcosa di irreparabile è sempre dietro le quinte, in questi casi, ma il capitano non pensa mai a sé bensì al suo equipaggio; ho agito per cercare di “difendere” i miei ragazzi e i miei insegnanti, mettendo in pratica tutte quelle misure di protezione indicate dalle autorità sanitarie e controllando che venissero applicate.
Quali problematiche ha incontrato nell’attivare la didattica a distanza?
Grazie alla competenza e alla buona volontà di alcuni docenti, in tre giorni abbiamo attivato la piattaforma GSuite, ci siamo dati una nuova organizzazione oraria, i docenti hanno collaborato con entusiasmo e partecipazione. Non mancano, però, problemi, dovuti alla carenza di strumentazioni informatiche da parte dei ragazzi (e in un momento di difficoltà economiche non si può certo domandare loro di acquistare pc o tablet) e alle problematiche di connessione. Vi è, poi, la difficoltà a raggiungere la totalità degli alunni perché alcuni, fortunatamente una minoranza, considerano questo periodo come una vacanza e non partecipano alle videolezioni.
Cosa pensa di questa forma di insegnamento? Quali sono secondo lei i lati positivi e quelli negativi?
Credo sia da un lato una grande sfida e dall’altro una grande opportunità di rinnovare la didattica. La DAD offre un mondo di possibilità: lavorare per gruppi di livello, recuperando abilità e competenze, o, elemento spesso trascurato dalla scuola italiana, curando le eccellenze. Non è da trascurare che essa parla il linguaggio delle giovani generazioni, per cui può rappresentare un valido strumento per avvicinare gli studenti più demotivati e a rischio di drop out. Occorre, però, formare e aggiornare il corpo docente e ciò può incontrare la diffidenza dei docenti più anziani. Fortunatamente nel nostro caso questa diffidenza non c’è stata.
Sono del parere, tuttavia, che il processo di insegnamento/apprendimento necessiti anche e soprattutto di didattica in presenza, per l’insostituibile relazione che si instaura nella classe reale, fatta di sguardi, di gesti, di dialogo aperto o sommesso tra l’insegnante e l’allievo.