
#CULTURA #PAROLEEIDEE
Di Matteo Santarelli
Il ritorno con annessa conversione all’Islam di Silvia Romano, reduce da un lungo rapimento da parte di terroristi islamici in Somalia, ha colpito l’opinione pubblica italiana. Sorvolando sulle critiche più bieche levatesi un secondo dopo l’atterraggio del velivolo, hanno espresso i loro dubbi anche molte tra le persone che non credono che Silvia Romano sia una “traditrice”, un'”ingrata”, o peggio ancora. Ci si chiede se possa essere accettabile una conversione avvenuta in un contesto psichicamente e moralmente violento come un rapimento. Ci si domanda se il velo non sia un simbolo dell’oppressione maschile in quanto tale, e se non vada condannato in quanto tale e a prescindere dalla motivazioni addotte da chi lo indossa. In breve: se grande parte della destra più aggressiva implicitamente dipinge Silvia Romano come colpevole, una parte della sinistra bisbiglia: ma non sarà una vittima? E in quanto vittima, non è pericoloso difendere una scelta che non è in nessun modo autenticamente sua?
Questioni non facili, senza dubbio. Nel dettaglio, sospetto che si possa giudicare il caso singolo. Se è difficile negare che un sequestro sia una situazione di violenza psichica in sè – aggravato dalla composizione di genere: una ragazza in mano a terroristi maschi per sedici lunghi mesi – allo stesso tempo non si può ricostruire la posizione di Silvia Romano prescindendo dal suo contributo, da ciò che pensa, dalle ragioni e dalle motivazioni che adduce. Per non parlare del fatto che negli ultimi anni non si è mai chiesto conto a nessun altro/a della propria conversione con questa insistenza e voyerismo. Non mi sembra che si sia aperto un grande dibattito pubblico sulla trasformazione di Magdi Allam, un tempo editorialista laico del Corriere, in Magdi Cristiano Allam, neofita della religione cattolica e campione mondiale di islamofobia.
Qualcosa di più interessante si può dire sulle conversioni in generale, intese non solo in senso strettamente religioso, ma più in generale come radicale cambiamento dei propri orientamenti valoriali.
Intese in questa accezione, le conversioni sono quasi sempre collegate a esperienze sconvolgenti che mettono in questione la nostra identità e quello che pensiamo di noi stessi. Non sono mai dei fenomeni puramente razionali che avvengono in assenza totale di costrizioni o pressioni esterne. Negli ultimi anni, milioni di elettori di sinistra si sono convertiti a un’ideologia di destra. Dopo la seconda guerra mondiale, milioni di italiani si sono convertiti alla democrazia. In entrambi i casi non si tratta di decisioni a freddo, ma al contrario di cambiamenti radicali di valori avvenuti all’interno di situazioni sociali fortemente connotate in senso affettivo ed emotivo – la guerra, la crisi, la delusione verso la politica, lo smarrimento. Questi cambiamenti radicali possono essere certo valutati e considerati razionalmente – ad esempio, possiamo giudicare che questi cambiamenti hanno degli effetti negativi e pericolosi per altri gruppi sociali, o anche per gli stessi gruppi che hanno vissuto questo riorientamento. Tuttavia, è davvero difficile pensare a conversioni radicali che avvengano totalmente al riparo dall’influenza affettiva e materiale della società. Al di là del caso specifico di Silvia Romano, sul quale non ha molto senso pronunciarsi, la conversione di una ragazza all’Islam non è necessariamente un fenomeno più irrazionale di un vecchio dirigente comunista risentito che diventa leghista.
Nota di colore: Marco Vinicio Guasticchi, già Presidente renziano della Provincia di Perugia, nonché autore di Gavrilo, romanzo storico ispirato alle tristi vicende del primo conflitto bellico mondiale, ha recentemente commentato la vicenda di Silvia Romano con toni velatamente leghisti. Quindi abbiamo un renziano umbro, regione da poco convertitasi alla Lega, che parla col linguaggio del nemico. Anche lui vittima della sindrome di Stoccolma?