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Il settore dell'arte e dello spettacolo è indubbiamente uno di quelli che è stato colpito più pesantemente dall'emergenza legata al Coronavirus. Quali sono le difficoltà correnti e future dei lavoratori di quest'area? Marco Del Gatto lo ha chiesto a quattro artisti folignati: Silvio Impegnoso, Maria Teresa Cesaroni, Lucia Guarino e Matteo Ciccioli.

#CULTURA #SPETTACOLO
Colloqui a cura di Marco Del Gatto


Teatri, palestre e locali sono per definizione luoghi d’assembramento e di socialità, motivo per cui sono stati chiusi, di pari passo con le scuole, prima ancora che il Paese entrasse in quarantena. Sempre per la stessa ragione saranno verosimilmente gli ultimi a riaprire, o perlomeno a tornare alla normalità. Ma cosa succede all’arte se la si priva dei suoi spazi performativi? Come si evolve, come sussiste un settore che già prima dell’emergenza sanitaria stava attraversando una crisi e interrogandosi sul suo ruolo all’interno della società? I teatri saranno gli ultimi luoghi a riaprire perché, oltre che ad essere luoghi di aggregazione, non producono beni materiali, e di conseguenza l’arte (in ogni sua forma) si ritrova ad essere percepita da molti come non indispensabile. Ma è sufficiente seguire un criterio esclusivamente economico per dichiarare più o meno importante un fatto di cultura? Ed i diretti interessati, come stanno rimediando professionalmente all’impossibilità dell’uso degli spazi? Su che sostegno (economico e sociale) hanno potuto contare? quali sono i disagi portati dall’emergenza sanitaria? Che idea si fanno riguardo al futuro? Sedicigiugno ha già dato voce (nel numero di marzo, in quello di aprile e con alcuni interventi nella pagina online) agli artisti della nostra città. Torniamo sull’argomento sintetizzando le considerazioni emerse in quattro nuovi incontri (telefonici).


(In foto: Silvio Impegnoso)

Silvio Impegnoso, attore: lavora da anni in radio e teatro, è membro della Compagnia dei Giovani del TSU, guida alcuni laboratori ZoeGarage,collabora con la compagnia Lacasadargilla

“L’attività teatrale in quanto tale è stata sospesa, le performance multimediali ideate nell’emergenza, per quanto efficaci, non possono essere definite teatro. Ne è un esempio l’esperienza del laboratorio ZoeGaragea distanza. La traduzione di un percorso teatrale in audiovisivo è stata fatta per garantire una restituzione ai ragazzi che hanno partecipato, l’obiettivo principale è di tenere vivo il contatto con l’audience. Economicamente ho potuto contare sull’indennità di disoccupazione, ma da luglio in poi non è detto possa continuare ad usufruirne. I principali disagi sono legati alla frustrazione, la grande sospensione che ci sarà a livello artistico rende di difficile previsione l’evoluzione del ruolo della cultura nella ripresa. Comunque vada a finire è difficile tornare alla normalità di prima, la realtà ha superato la finzione, è cambiata la percezione sociale.”


(In foto: Maria Teresa Cesaroni)

Maria Teresa Cesaroni, acrobata e insegnante di aerea. Direttrice della Scuola di Circo Corsaro e del progetto Mondi Possibili, formatrice dei formatori per il Cirque du Soleil e nella formazione nazionale Fix

“Facendo circo è stato difficile trasportare a casa il lavoro, tuttavia i laboratori sono proseguiti online; lo stesso laboratorio sociale con i ragazzi di Scampia è proseguito: la valenza sociale supera quella artistica, per questo è importante non interrompere. Per questa ragione la fondazione che finanzia l’associazione continua a garantire la presenza di fondi. La cultura non dovrebbe esser vista solo come ricreativa, se ne sottovaluta così il ruomo sociale e ciò significa fraintenderne la reale funzione. Il settore artistico non è nuovo alla poca considerazione istituzionale, e la mia stessa associazione è in piedi grazie ad una forma di finanziamento privata. L’interruzione delle attività non ha smorzato l’entusiasmo di quelle persone che hanno bisogno del corpo per interagire, naturalmente però la chiusura forzata genera malessere. Il proseguimento online delle attività sopperisce alla punta dell’iceberg dei problemi: mantiene solo i contatti sociali, mentre il contatto reale viene meno. Tornare alla normalità di prima non sarebbe una vittoria per il mondo dell’arte: se la cultura continua ad esser vista solo come un’occasione ricreativa diventa d’importanza secondaria, e se non produci meriti meno attenzioni. Intanto la ripresa a pieno regime rimane un’incognita: andrebbero pensate alternative valide, e non palliativi come l’attività online.”

(In foto: Lucia Guarino)

Lucia Guarino, danzatrice freelance, interprete all’oggi per Alessandro Carboni; insegnante Dance Well for Parkinson; coreografa per la compagnia Baglioni Bellani. Sta creando progetti col sostegno di Spazio Zut! e di Kilowatt Festival.

“Ho dovuto bloccare sul nascere nuovi lavori, tra cui la residenza presso lo Spazio Zut!, così come collaborazioni in Italia ed Europa. Da casa è possibile solo l’allenamento, che non è paragonabile alla normale attività; motivo per cui sono state interrotte le classi che seguivo, svuotate della loro funzione. Le uniche eccezioni sono quelle realtà per cui un laboratorio ha un significato particolare, per esempio il proseguimento a distanza per le classi di danza per i malati di Parkinson. E’ stato difficile poter ricorrere al sussidio economico per via dei criteri per la garanzia delle giornate lavorative: nello spettacolo il lavoro è discontinuo. Le varianti attuate a distanza non sono soluzioni, ma palliativi, viene meno l’incontro dei corpi; tuttavia il grande vuoto causato dall’emergenza ha dato spazio alla riflessione. Il ritorno alla normalità deve poter portare al riconoscimento dello status dell’artista. Sono momentaneamente confusa, qual è ad oggi il ruolo della cultura per lo Stato? Credo comunque che si deve avere la lealtà artistica di ascoltare il vuoto che si è prodotto, uscire almeno in questo settore dall’ottica dell’iperproduttività.e prendersi il tempo necessario”

(In foto: Matteo Ciccioli)

Matteo Ciccioli, attore folignate neodiplomato alla Civica Accademica d’arte drammatica Nico Pepe:

“Lo stop forzato ha comportato la completa interruzione dei progetti che avevo, che tuttavia sono continuati online esclusivamente a livello di discussione. Stavo seguendo una formazione post-diploma alla Societas Raffaello Sanzio di Cesena, diventata online in seguito alla chiusura dell’Emilia Romagna. Per sussistere ho potuto contare solo sui miei risparmi: essendomi diplomato alla Nico Pepe a dicembre, non potevo garantire il numero di ore di lavoro necessario. Ho preso parte in questo periodo ad una raccolta firme per la stesura di un manifesto dei lavoratori dello spettacolo, che si rifaccia alle normative e ai sussidi già vigenti ad esempio in Francia e Germania; un’altra iniziativa a cui anche il David di Donatello ha dato risalto è la campagna #iononhovoce. All’inizio la quarantena l’ho vissuta in maniera strana, venendo dall’Emilia Romagna ho dovuto fare giorni di isolamento, perciò quando sono tornato a fare spesa ho vissuto le misure restrittive in maniera netta. Usciti da questo periodo è auspicabile che non si segua la diffidenza esacerbata dai giornali; il teatro può essere il posto che, anche nel rispetto delle norme sanitarie, continui a conservare il ruolo di aggregazione sociale. Il momento di riflessione ha portato alla luce un sistema teatrale malato già da prima; si dovrebbe approfittare per costruire ex novo il sistema artistico.”

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