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La cooperazione sociale ai tempi del Coronavirus

Vincenzo Falasca analizza la situazione di un'altra "Cenerentola tra gli invitati al ballo dell'emergenza Covid", il mondo della Cooperazione Sociale. Tra difficoltà e caparbietà, tra spirito di adattamento e la sensazione di non essere stati ascoltati. Contiene anche un'intervista a Fabrizio Dionigi, presidente della Cooperativa Sociale Ariel.

#SOCIETÀ #CITTÀINVISIBILE
Di Vincenzo Falasca


Si è fatto giustamente un gran parlare delle necessità degli operatori economici legati alla produzione di beni ed al commercio, ma quasi nulla si è sentito attorno al mondo della Cooperazione Sociale che, come spesso accade, si è dimostrata, insieme alla scuola, la Cenerentola tra gli invitati al ballo dell’emergenza covid.

Eppure niente come i servizi offerti da questo settore avrebbe dovuto essere al centro dell’attività dei governi, nazionale e locali, non solo per il grande ruolo che occupano nel quadro economico complessivo ed in particolare in quello umbro, ma soprattutto perché direttamente legati alla vita di centinaia di utenti e famiglie: il loro mondo è cambiato da un giorno all’altro, colpito dalle difficoltà generali e contemporaneamente da quelle particolari e personali. Parlare di cooperazione sociale significa infatti parlare di uomini e donne di ogni età che usufruiscono per necessità di servizi e assistenza e che senza il supporto del pubblico sono totalmente inermi.

Abbiamo provato a tratteggiare la fitta rete di servizi presenti nel nostro territorio per comprendere quanto la vicenda del covid abbia imposto cambiamenti e quanto questa maglia abbia retto alle diverse sollecitazioni. 

Alcuni di essi non hanno mai interrotto la propria continuità mantenendo sostanzialmente invariata la propria natura ma adattandosi ai nuovi parametri di sicurezza e spesso applicando in proprio strategie cautelative. E’ questo il caso delle Residenze protette per anziani o persone non autosufficienti presenti nella nostra città e nel circondario, strutture che in altre Regioni sono state l’anello più debole nella battaglia contro la diffusione del virus, con l’esposizione alla malattia e spesso alla morte di centinaia di pazienti ed operatori. Grazie ai protocolli immediatamente attuati su iniziativa degli stessi gestori (ancor prima che uscissero indicazioni più stringenti e strutturate) nel nostro ambito non si sono verificati focolai o situazioni di pericolo. Sin da subito, seppur con le comuni difficoltà di reperimento, sono stati utilizzati tutti i dispositivi di protezione individuale per gli operatori e sono state interrotte le interazioni con l’esterno, con la limitazione degli accessi di parenti e fornitori e la separazione netta del personale attivo nelle varie strutture (Foligno, Trevi, Spello, Bevagna, Nocera). Inoltre le persone più esposte sono state monitorate e sottoposte ad ulteriori controlli, anche lavorando con ingegno ed inventiva tra le pieghe dei vari protocolli e determinazioni sanitarie, spesso non rispondenti alle tempistiche e necessità della situazione.

Dal punto di vista della continuità del servizio, completamente opposta è stata invece la situazione nei centri diurni-semiresidenziali e domiciliari, dove purtroppo l’attività è stata sostanzialmente interrotta in maniera brutale dai primi di marzo, con immediate ricadute sugli utenti e sui loro nuclei di riferimento. Per chi non vive direttamente queste situazioni, è quasi impossibile comprendere quante e quali siano le conseguenze dell’interruzione di questi rapporti, sia dal punto di vista umano che terapeutico: lì dove anche giungere ad una carezza può essere il frutto di mesi di lavoro, una cesura così prolungata può riportare indietro di anni, caricando ancora di più il peso sulle famiglie che non sempre sono in grado di sopportarlo o di rispondere alle esigenze dei propri cari. E dove non hanno pesato le direttive sanitarie ha fatto il resto la paura, con la legittima preoccupazione delle famiglie di far entrare persone nella propria abitazione e degli operatori di andare in contesti talvolta critici dal punto di vista igienico: tutto ciò ha determinato la sospensione pressocché totale dei servizi domiciliari. Per alcuni operatori sono così scattati la cassa integrazione o differenti ammortizzatori sociali. Altri, finito il periodo di tirocinio hanno visto sfumare la possibilità di assunzione, altri ancora hanno risposto alla domanda di personale sanitario da impiegare temporaneamente nelle strutture pubbliche: tutto ciò con la dispersione di un grande capitale umano e professionale che rischia di non essere recuperabile.

Le cooperative più grandi e con maggiore diversificazione hanno avviato una complessa procedura di rimodulazione dei propri servizi, spesso giungendo a definirne alcuni completamente nuovi e non immediatamente in continuità con i propri indirizzi. Ma chi aveva una missione molto focalizzata su un determinato tipo di servizi (ad esempio chi lavora esclusivamente sul semiresidenziale) si trova ancora oggi senza poter svolgere alcuna attività, senza entrate e senza prospettive di riapertura in tempi brevi. Un barlume di speranza era arrivato dall’accordo stipulato tra Regione Umbria, ANCI Umbria e rappresentanze sindacali e di categoria che prevedeva, in attuazione dell’art.48 del decreto “Cura Italia”, il pagamento dei servizi sospesi ma comunque finanziati dalle amministrazioni locali. In questo modo si garantiva la piena operatività delle strutture in funzione della riapertura, la continuità retributiva del personale, la capacità di rientrare degli investimenti materiali e formativi predisposti. Purtroppo già tre giorni dopo la sottoscrizione, l’accordo veniva sospeso in attesa di chiarimenti da parte della Regione, non ancora arrivati.Ciò che più colpisce in tutta questa vicenda è la sensazione che non vi sia una chiara percezione della gravità della situazione e delle irreparabili ripercussioni che essa può avere su tante donne e tanti uomini estremamente fragili, così di come possa risultare eccessivamente gravoso o addirittura insopportabile il peso scaricato totalmente sulle famiglie. A questo si aggiunge lo sfilacciamento di una rete di servizi che vive solo di programmazione e pianificazione e che non può rimanere troppo a lungo in un limbo in attesa che si torni alla normalità. Perché, almeno in questo caso, si ha la certezza che il mondo che ritroveremo non sarà più lo stesso e sicuramente sarà ancora più vulnerabile di quanto già non fosse.

Abbiamo incontrato Fabrizio Dionigi, Presidente della Cooperativa Sociale Ariel, orientata principalmente verso l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Attualmente le attività si articolano principalmente attorno al settore della cura del verde, delle pulizie e alla gestione del Palasport comunale.

La prima domanda è personale: Com’è cambiata la tua vita a seguito dell’emergenza covid?

Diciamo che tutto è cambiato in attesa di un ritorno ad una vita normale. Il Coronavirus ha avuto un impatto importante sulle mie abitudini quotidiane, ma non sempre e solo in senso negativo. Ho notato effetti positivi nella mia quotidianità, avendo maggiore tempo per vivere le relazioni familiari e considerando questo periodo come un’opportunità per riflettere e dedicarmi alle cose in altri momenti trascurate, rallentando i ritmi quotidiani. Ovviamente è un tempo da investire diversamente ma ne ho approfittato per aggiornare i contenuti del sito e per migliorare l’e-commerce. Attraverso una piattaforma web sono riuscito ad avere contatti con tutti i miei soci e dipendenti per riorganizzare il lavoro, fare riunioni e condividere tutto ciò che abbiamo fatto. Purtroppo però si sono alternati anche momenti di solitudine dettati dal senso di isolamento e si è fatta sentire anche la mancanza di libertà, una realtà inedita densa di preoccupazioni e di incertezza del futuro, soprattutto in quello lavorativo

L’impatto di questa crisi è stato decisivo sul mondo del sociale: cosa è cambiato per la vostra cooperativa?

A seguito del lockdown del 10 Marzo molti servizi sono stati sospesi, così per alcuni dei nostri dipendenti siamo dovuti ricorrere alle misure di sostegno al reddito. Alcuni di loro hanno lavorato in smartworking con tutte le difficoltà del caso. Ci siamo riorganizzati per il settore delle pulizie attivandoci nel fare le sanificazioni certificate per garantire a tutti una continuità lavorativa. In questo particolare periodo abbiamo pensato anche all’ambiente specializzandoci in pulizie ecosostenibili: tutti i prodotti utilizzati da Ariel sono biologicamente certificati da Icea, Istituto per la Certificazione Etica ed Ambientale (web: http://www.icea.info/it/) come Eco – Bio detergenti, un’attestazione di qualità per l’intera vita del prodotto, dalla formulazione allo smaltimento, certificando così un corretto processo di pulizia eticamente rispettoso dell’ambiente e delle persone.

Questa specializzazione rende ancora più significativo il vostro lavoro, manifestando la vostra capacità di guardare al futuro con atteggiamento propositivo, come avete sempre fatto. Ma ora, nell’immediato, cosa vi aspettate?

Ci aspettiamo che lo Stato fornisca dei sostegni reali e concreti a tutela soprattutto dei lavoratori svantaggiati, e che il nostro settore sia tutelato in modo attento ed efficace, prevedendo l’utilizzo di risorse con i contratti stipulati con la Pubblica Amministrazione, la cui interruzione non può ricadere sulle cooperative sociali, sui loro soci lavoratori e dipendenti. Ci aspettiamo anche un supporto da parte del Comune per l’affidamento di alcuni servizi alle cooperative sociali ( tre l’altro, un diritto anche in tempi di normalità figuriamoci ora), le quali possono essere parte attiva nel contenimento del disagio sociale, soprattutto per le persone più deboli.

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