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La crisi dal di dentro

Francesca Cesarini, presidente della cooperativa sociale La Locomotiva ci racconta com'è stato portare avanti i servizi, laddove possibile, o ripensarli, in altri casi, nel periodo dell'emergenza legata al Coronavirus.

#SOCIETÀ #CITTÀINVISIBILE
Di Francesca Cesarini

(Foto di http://www.vita.it)


Sembra che niente possa cambiare, nella tua pur movimentata routine viaggi in uno spazio noto o più o meno facilmente conoscibile. All’improvviso, come quando senti che l’aria è cambiata prima di un temporale, ma ancora non sai che pioverà, cominci a percepire che qualcosa si sta muovendo e per prima cosa ti rassicuri: è lontano, non è qui. Invece fin troppo velocemente abbiamo dovuto fare i conti con una globalizzazione che annulla tutte le distanze, compresa quella di sicurezza dal contagio. Immediatamente dopo la consapevolezza, arriva la necessità di capire come muoversi per la salvaguardia dei nostri utenti, spesso fisicamente fragili, e di chi è con loro ogni giorno. E allora devi fare i conti con pensieri e modalità nuove, imparare a ragionare in un modo diverso dal precedente, constatare ancora una volta la triste realtà che nessuno conosce i servizi alla persona e nessuno li pensa e per questo ogni norma, ogni decreto deve essere “liberamente tradotto” per le cooperative sociali, che spesso si assumono il compito di evidenziarne limiti o difficoltà di applicazione nei contesti di servizi alla persona. 

Per quanto riguarda gli utenti, c’è stata una riduzione progressiva delle frequenze già dai primi tempi della pandemia perché i familiari temevano che i loro congiunti potessero venire a contatto con il virus, sia nelle strutture semi-residenziali dove per loro stessa natura i servizi creano “assembramenti” (d’altronde che sociale sarebbe se non fosse vicino, collettivo, plurale, relazionale, senza distanze; il distanziamento, se pur necessario, è a-sociale) e ancora di più nei servizi domiciliari, che prevedono che gli educatori nell’ambito del loro orario giornaliero si rechino in sequenza in più case, con il rischio di diventare veicolo inconsapevole di infezione. Tutti i servizi che la nostra cooperativa gestisce sono stati chiusi nel mese di marzo, tranne i due servizi residenziali, uno per minori fuori famiglia e uno per disabili adulti, e un domiciliare, seguendo l’orientamento dei servizi scolastici (nidi, servizi 0-6, animazione distrettuale, domiciliari sociali, incontri protetti, semi-residenziale minori) oppure con la chiusura dei centri socio-riabilitativi (disabili adulti, minori con disturbi dello spettro autistico, domiciliari socio-sanitari). 

Questo stato di cose ha comportato per gli adulti con disabilità una riduzione degli spazi relazionali e di socialità, il rischio di perdere le competenze acquisite o di non poter proseguire i percorsi di autonomia, la mancanza delle attività laboratoriali, dei progetti musicali, teatrali; per i minori in qualsivoglia difficoltà tutto questo più la mancanza o maggiori difficoltà di accesso ai servizi alternativi alla scuola tradizionale; per i familiari un aumento complessivo del carico gestionale a seconda delle potenzialità o delle problematiche di figli, fratelli sia da un punto di vista dell’accudimento che della gestione di orari prolungati senza servizi e, oltretutto, senza la possibilità di uscite; per gli operatori una remunerazione ridotta perché il FIS non copre economicamente come lo stipendio e non tutti gli istituti contrattuali sono compresi; per le cooperative la riduzione del fatturato e l’aumento del rischio di tenuta.

Abbiamo riconvertito e rimodulato i servizi il più velocemente possibile per non lasciare le persone troppo a lungo senza risposte, cercando di capire quali potessero essere nuovi bisogni o come rispondere in forma nuova a quelli già noti.  Abbiamo spaziato dalle forme di intervento da remoto (con l’utilizzo di diversi strumenti a seconda delle capacità e delle possibilità dell’utente e dei suoi familiari, dalla telefonata, alla videochiamata con WhatsApp, all’uso di piattaforme digitali) alla spesa a domicilio per situazioni note ai servizi, al collegamento compiti tra scuola e casa e viceversa per quei bambini che erano spariti dalle attività scolastiche dopo il 5 marzo, all’utilizzo del camper per consentire colloqui con i servizi sociali alle persone che non avevano possibilità di accedere al web. Abbiamo ripreso diverse attività ma ancora c’è molta strada da fare per ritornare ai livelli precedenti la pandemia.

Il futuro è molto incerto e, anche se siamo storicamente abituati alla precarietà, siamo preoccupati per i servizi e per le ripercussioni che questi mesi di lockdown avranno per il nostro territorio e per l’Italia. Abbiamo già affrontato la crisi sismica del 1997, quando quello che mancava era la sicurezza delle case compensata da una fortissima socialità e da una solidarietà tangibile, con la gente che si spostava da tutta Italia per venirci ad aiutare; ora invece abbiamo case sicure ma in solitudine, con un aumento di diffidenza tra le persone, nuove abitudini prese per sentirsi sicuri, ma che purtroppo avranno una lunga ripercussione sulle modalità relazionali e su molti aspetti di quella che sarà la società dopo Covid. Siamo tutti chiamati ad una seria assunzione di responsabilità per fare in modo che il dopo epidemia non confermi il divario educativo, culturale, di competenze che si è creato in questi mesi tra chi ha avuto possibilità e accesso a strumenti e chi è rimasto fermo a causa di condizioni fisiche, sociali, economiche, perché allora le disuguaglianze diventerebbero incolmabili. Un’ultima cosa…… prima ho detto case sicure, ma per tutti? Non dimentichiamoci delle donne vittime di violenza domestica, dei bambini che assistono a questa violenza o ne sono vittime essi stessi, così come dell’incuria, del maltrattamento o di abusi. 

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