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Sagre no, Quintana sì. Perché?

Intervista a Claudio Monarca presidente della Sagra della Rocciata a cura di Lorenzo Monarca sull'estate 2020, un'estate senza sagre.

#COVID19 #LAVORO
Di: Lorenzo Monarca
In foto: un tendone della Sagra della Rocciata


L’estate umbra di questo a dir poco turbolento 2020 ce la ricorderemo per tantissimi motivi: la totale assenza delle sagre di paese potrebbe non essere stata rilevante per tutti, eppure ha avuto dei gravi risvolti assolutamente significativi. Anche se la pandemia è stata sicuramente un evento determinante per questa moria, le motivazioni sono anche politiche, ed hanno radici ben più antiche del covid.

Per capire cosa è successo negli ultimi mesi abbiamo parlato con Claudio Monarca, il presidente della Sagra della Rocciata (organizzata dalla Pro Loco di San Giovanni Profiamma), uno degli eventi più noti non solo a Foligno ma anche in tutto il centro Italia, che quest’estate ha dovuto rinunciare alla sua XVIII° edizione.

Come era stata ideata la Sagra di quest’anno?

“Avevamo in mente un progetto che avrebbe rispettato tutte le linee guida sanitarie proposte a livello nazionale: tetto massimo di persone, distanziamento sociale, termo-scanner, prenotazioni, autocertificazioni e recapiti telefonici. Inoltre avremmo programmato spettacoli con i posti seduti e distanziati.”

Però non si è fatto niente. Cosa è successo?

Abbiamo iniziato chiedendo i permessi necessari al sindaco, che era d’accordo, già a metà giugno, ma bisognava aspettare l’ordinanza della Regione. La presidente Tesei però ha firmato l’ordinanza solo il 17 di luglio, rendendo di fatto impossibile organizzare la sagra.

Perché?

“L’ordinanza non vieta le sagre, però mette delle condizioni talmente stringenti che di fatto le abolisce. In particolare le permette fino ad un massimo di 4 giorni: che è un tempo del tutto insufficiente per poter rientrare nelle spese, per esempio quelle relative all’affitto delle tensostrutture. Anche se poi si fosse deciso di farla comunque, le tempistiche hanno fatto il resto: aver tergiversato fino a metà luglio ha reso impossibile la realizzazione, visto che per richiedere ed ottenere tutti i permessi ci vuole oltre un mese. Questa ordinanza è fatta per potersi smarcare dalla responsabilità di avere formalmente vietato le sagre, avendole però di fatto rese irrealizzabili attraverso ostacoli burocratici ed economici.”

Cosa c’entra l’ordinanza con l’emergenza sanitaria?

“Poco o nulla, perché il rischio sanitario di alcune sagre, tra cui la nostra che viene fatta in un enorme spazio all’aperto, non è maggiore rispetto ad un ristorante. Anzi, come dicevo, noi avevamo un piano ben preciso per fare le cose in sicurezza, mentre nei ristoranti ci sono stati pochi controlli e molti hanno fatto un po’ come volevano. L’ordinanza è stata fatta proprio per aiutare i ristoratori, che tramite la Confcommercio fanno la guerra al mondo delle sagre da vent’anni. E la cosa ci andrebbe anche bene, ma di certo avremmo preferito un’ordinanza più chiara in questo senso: era meglio dire che quest’anno non si potevano fare questi eventi e basta, senza giri di parole che a noi sembrano una presa in giro. Siamo nel mirino da molto tempo, spero che il covid non sia la scusa per farci fuori anche per gli anni prossimi.”

Eppure dietro alle sagre c’è un incredibile mondo lavorativo…

Secondo i dati dell’Unpli, l’Unione delle Pro Loco italiane, in Umbria nel 2018 ci sono state 342 tra sagre e manifestazioni popolari, a cui hanno partecipato circa 928mila persone e che hanno generato una spesa di 13 milioni di euro, attivando un valore della produzione che sommando l’effetto diretto, indiretto e dell’indotto, raggiunge circa 40 milioni, con un effetto moltiplicatore pari a 3. Questo indotto va diviso tra i fornitori (carni, bibite…) e i lavoratori dello spettacolo, ovvero un sottobosco di DJ, complessi da ballo, musicisti, attori amatoriali di teatro, intrattenitori vari. Tutti questi soggetti lavorano quasi esclusivamente con le sagre, quindi è chiaro che questi eventi non hanno solo una valenza sociale ma anche economica diretta e indiretta, ovvero l’indotto incalcolabile proveniente dai turisti che attirano. Alcuni fornitori sono aziende con decine di dipendenti. Molti piccoli borghi, oltre che molte associazioni sportive, vivono con l’indotto generato dalle sagre. Solo noi facciamo decine di migliaia di euro di contratti per lo spettacolo.”

Insomma, le sagre possono piacere o no, ma esistono dei caratteri di oggettività secondo cui il territorio ha un enorme beneficio dal volontariato che anima queste feste. Inoltre, secondo le associazioni delle Pro Loco, le utenze dei ristoranti sono per lo più molto diverse da quelle che frequentano le sagre paesane, quindi il conflitto con il privato non esisterebbe o sarebbe molto più limitato rispetto a quanto si possa credere. Ma ciò che a livello politico rende la decisione regionale ancora più questionabile a nostro dire è altro: perché alle sagre è stato imposto il limite dei 4 giorni mentre alle rievocazioni storiche vengono permessi periodi di attività che sfiorano i 20 giorni? I ristoratori si sentono meno minacciati dall’apertura delle taverne rispetto alle sagre? O forse la differenza sarà nella pressione politica che alcuni eventi riescono a fare o a non fare? 

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