Editoriali

Tutto quello che ricorderemo di questa estate grazie alle nostre storie di Instagram

L'editoriale di Settembre in cui la direttrice Susanna Minelli ragiona sul leitmotiv del social più usato durante questa insolita estate 2020.

#EDITORIALE
Di: Susanna Minelli


Esiste una realtà bellissima a questo mondo: quella di Instagram e delle sue storie. In questa estate che abbiamo appena attraversato, forse complice l’austerità subita durante il lockdown, siamo stati letteralmente bombardati da foto e immagini di benessere e bellezza assoluta su quel social, chiamato Instagram, che ormai rappresenta una realtà a sé stante. Una realtà composta da inquadrature sempre giuste e sorrisi smaglianti confezionati in vite perfette.

Instagram ormai è la cartina tornasole della nostra vita, della nostra realtà. Foto e video che ci parlano di un paese che tutto sommato si è rialzato dallo spauracchio del Covid e da quello ben più terribile di non permettersi più gli agi dell’anno prima. Le mascherine di colpo non compaiono più nelle foto, come non compare più lo sfondo della cucina o della camera da letto, o della visuale confinata che si gode dal terrazzo di casa. Ora, e per tutta l’estate, ci sono state le spiagge bianche della Sardegna, gli aperitivi prima di pranzo, gli aperitivi al posto della cena, la gita in montagna e quella al mare di prossimità. I video delle serate in discoteca. Gli irriducibili hanno varcato anche il confine nazionale in questa estate smemorata e si sono precipitati, accalcandosi, tra la Grecia e la Spagna, passando per Malta. Perché si deve pur continuare a vivere, a mettere in esposizione permanente la propria vita, a farsi osservare. A drogare la realtà di felicità apparenti. Di pose, di sorrisi, di ostentazione di fatti reali e sentimenti fittizi. Perché sotto sotto quello italiano è un popolo di negazionisti, tout court.

E allora non può e non deve stupire che una piazza si riempia di migliaia di “no mask” e “no vax” , irrimediabilmente “no brain”. Perché non poteva essere altrimenti guardando le condivisioni sui social che ormai sono diventati fondamentali per studiare la società nella quale viviamo. Significa semplicemente che qualcuno ha mollato l’aperitivo a bordo piscina vista mare, per protestare contro il distanziamento sociale e riprendersi il sacrosanto diritto di essere libero di contagiare e di essere contagiato. Perché la società dell’immagine nega tutto ciò che ripugna: la sofferenza, la morte e la non convenzionalità. La modella Armine insegna. E insegnano anche i numeri dei contagi che invece che calare, tornano a salire vertiginosamente. Anestetizzati dalle immagini di piacere sui social  il ricordo degli anonimi uomini e delle anonime donne in terapia intensiva dei mesi scorsi sono ormai solo uno sbiadito ricordo.  Hanno fatto spazio agli influencer asintomatici che dal loro isolamento forzato, nonostante lo sbuffare per l’ingiustizia del confinamento subito, continuano a fare il loro lavoro. Far parlare di loro per il bello e pericoloso nulla che impacchettano tra un selfie e l’altro. Un’edulcorazione della realtà che il potere conosce bene: confondiamoli con un desiderio. Creiamo un bisogno futile. Ma infarciamolo di cose serie. Come a Foligno: fai un figlio e ti diamo un bonus. Il lavoro in regola, però, non te lo garantiamo.  

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