Cultura Spettacolo

Vincenzo per Ambrogio. Frigolandia nacque da un equivoco

Roberto Lazzerini racconta di quando l'ex sindaco di Giano dell'Umbria diede in concessione lo spazio dell'ex colonia fascista dove attualmente sorge la Repubblica di Frigolandia.

#CULTURA #SPETTACOLO #TEMPOLIBERO
Di Roberto Lazzerini

(In foto: Buster Keaton)


In attesa di conoscere i dati quantitativi, e le riflessioni che ne scaturiranno, se avverranno, della ripresa cinematografica nelle arene estive e nelle sale, dalla data ufficiale del 15 giugno, poiché entrambe le attività proseguiranno per tutto il mese di settembre, turbolenze meteorologiche permettendo, mi permetto un’altra divagazione, su cui molto ho esitato, prima di scrivere. L’argomento è spinoso e a toccarlo ci si punge, soprattutto nella nostra area politica di riferimento. Non ci si crederà, ma per scrivere quattro righe su questo punto ho invocato Ariele, lo spiritello dell’aria della Tempesta shakespeariana, che si intende di isole, anche di quelle repubblicane. Malgrado le mie invocazioni, ho esitato ancora. Ma la visione di un film, non straordinario, ma efficace, segnato dalla presenza di Buster Keaton – stanno restaurando tutti i suoi film dal 1920 al 1928, anche di quelli non firmati da lui, e questo è il caso,  The Saphead (Lo sciocco di Herbert Blaché, 1920, b/n 77’) –  dal suo volto di flemmatico scolpito nella pietra, in una sequenza straordinaria dove volge le spalle al pubblico, per rivolgersi ai cancelli della Stazione Centrale di New York, con un mazzo di fiori in mano, in attesa della sua bella, che mancherà, mi ha fatto scaturire quell’impulso a scrivere, che latitava. 

(In foto: Buster Keaton)

In fondo da quel percetto si può ricavare un concetto non ovvio: quella sequenza non è solo un’immagine sintetica appropriata dei fatti raccontati ma potrebbe fungere perfino da sintomo della modernità come la cornice di ciò che potremmo chiamare il corteo degli  incontri mancati. Bene, lo scriverò, perché le parole che rimangono in bocca, cadono nello stomaco e inacidiscono. Mi riferisco alla questione Frigolandia, la repubblica eurotibetana di Vincenzo Sparagna, situata sul monte di Giano dell’Umbria, per concessione o contratto comunale dal 2005, luogo splendido, vicino alla cerchia di monti Martani, i cui sentieri spesso ho percorso in compagnia e da solo. Ho insegnato per molti anni in quel distretto scolastico e conosco persone, di opposte visioni, e fatti, di natura diversa, che sviano dal sentiero narrativo principale. Di questa questione molti hanno già scritto, in favore del valore di questa presenza culturale e in soccorso di Sparagna e del suo diritto a rimanere, fino alla scadenza concordata, con la sua ricca collezione di stampe, giornali, quadri e manufatti. La pronta intervista sul posto, nel numero di maggio, di Susanna Minelli direttrice e di Matteo Bartoli redattore, di questa rivista, offre a Sparagna tutto lo spazio delle sue ragioni, che sono ovvie e quasi del tutto condivisibili, riassumono il suo punto di vista, spirante quell’aria di sarcastica bonomia e pungente affabilità, tipiche del personaggio, che non conosco di persona. Altrettanto ha fatto Ulderico Sbarra nel numero di luglio-agosto di Micropolis, la rivista umbra mensile, inserita con Il Manifesto,  raccontando in un lungo articolo tutto quello che si poteva raccontare dal punto di vista giornalistico dominante, favorevole a Sparagna, poiché nel frattempo la giunta gianese, che ha scorciato con una certa avvocatesca brutalità il percorso dei rapporti, è formata da una lista civica di centro-destra, il cui sindaco è avvocato appunto, a cui insegnai molti anni fa per un biennio lingua italiana, se non ricordo male. Ho parlato, per telefono, di tutto questo con un giovane, già di sinistra o di area, che ora partecipa alla giunta e che è di svelto ragionare e di passionale impegno, che mi ha sciorinato le sue ragioni favorevoli alla cessazione del rapporto, tra cui l’impegno preso con la popolazione in campagna elettorale; ho ascoltato, di persona, un altro uomo, meno giovane, di vivace impegno civico, di opposizione all’attuale giunta, che invece difende per affetto e amicizia   le ragioni e i valori della permanenza di quel rapporto, ancorché guastato da anni di controversie. Aggiungo un fatto di cui sono a conoscenza, che ho sempre serbato in me senza divulgarlo: l’allora sindaco, di centro-sinistra, che istituì la convenzione e che più tardi tentò di annullarla, lasciò cadere, in una conversazione privata dove esprimevo la mia sorpresa, non so se ad arte o dal sen fuggita o addirittura inventata ex post, un’ammissione incredibile: la concessione era nata da un equivoco, si pensava ad Ambrogio, l’etnomusico, e si trattava con Vincenzo, il satirico. L’ammissione risplendeva di logica perché a Giano esisteva da tempo una banda musicale. E spiegava anche il ripensamento tardivo ed ostinato: siamo al terzo tentativo di sfratto. Dai resoconti di questa controversia mancano molti punti: la chiara sequela dei tentativi di affidamento dell’area; i veri rapporti con la popolazione e le giunte che si sono succedute da quell’insediamento, la natura di Frigolandia (è sede di una redazione, è una collezione privata, che ha interesse pubblico, è un’associazione libertaria, è un monumento eco-culturale?). Da quell’equivoco, che avrebbe potuto essere creativo come molti fraintendimenti, se le ragioni politiche e culturali si fossero davvero incontrate, avremmo avuto un’occasione straordinaria, che entrambe le parti in causa, per diversi motivi, mancarono.  A rimarcare forse un destino della modernità. Non so chi dei due sia il Buster Keaton citato con il mazzo di fiori in mano, perché ci volge le spalle: forse è figura sintetica della non coincidenza di questa esperienza, che presto è diventata un esperimento che giunge ai tribunali invece che ai teatri.

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