
#SOCIETÀ #LAVORO #EPIDEMIA
A cura di Redazione
Come è noto, i decreti del 25 e 28 ottobre su chiusura alle 18 di bar e ristoranti e relativi indennizzi economici hanno suscitato reazioni, per lo più negative, tra gli operatori del settore. Tra le eccezioni, segnaliamo l’intervista che Fabio Barcaioli, titolare dell’Osteria numero 13 di Perugia, ha rilasciato al Corriere dell’Umbria (https://corrieredellumbria.corr.it/news/umbria/25057200/perugia-coronavirus-chiusure-ristoranti-ristoratore-controcorrente-giusto-fermarsi-ora.html), suscitando a sua volta commenti e reazioni. Abbiamo allora provato a capire, con una serie di interventi e di conversazioni, che cosa ne pensano i ristoratori di Foligno. Cominciamo con Ivan Pizzoni, titolare dello storico forno-bar di Largo Volontari del sangue e dell’Osteria Bacerotti di piazza Duomo
Sarà un problema serio
Conversazione con Ivan Pizzoni a cura di Redazione
Ivan Pizzoni è molto preoccupato: «capisco», dice, «la necessità di fronteggiare la diffusione dell’epidemia, e devo vedere meglio il dettaglio del decreto sugli indennizzi, ma a prima vista c’è il rischio concreto che molte imprese del settore chiudano, e chiudano male, schiacciate da debiti che non riusciranno a pagare». Debiti vecchi e anche debiti nuovi, contratti per adeguarsi alle precauzioni previste dai decreti precedenti. «Anche un’azienda sana come la nostra (né debiti né mutui, a parte i 25mila euro del decreto di primavera) si troverà inevitabilmente di fronte a grandi difficoltà. Se davvero si trattasse di un mese -aggiunge–ce la faremmo a fronteggiare la situazione, ma nessuno può dire che un mese basterà». Gli chiediamo – giacché si mostra pienamente consapevole della gravità della situazione sanitaria- che altro si potesse fare. «Intanto -dice – la legge è uguale per tutti ma le realtà sono diverse. Per esempio è sbagliato trattare bar e ristoranti allo stesso modo: noi gestiamo sia un bar che un ristorante e pensiamo che chiudere un bar alle 18 è un sacrificio, ma ha senso: garantisci un minimo di incassi e riduci gli assembramenti dell’ora dell’aperitivo. Ma il grosso del lavoro i ristoranti lo fanno di sera, un buon cinquanta per cento addirittura aprono solo di sera: chiudere alle 18 significa non aprire proprio e per chi ha mutui o affitti da pagare significa fallire. Credo che un’apertura limitata, dalle 20 alle 22, nelle condizioni previste dai protocolli di sicurezza, andava tentata. Abbiamo già perso la Pasqua, se perdiamo anche il Natale sarà difficile salvarsi: anche per le aziende più sane». Gli diciamo che per provare a salvare il Natale bisogna appunto stringere adesso, fare in modo che le persone circolino il meno possibile, e gli chiediamo un giudizio sui cosiddetti ristori previsti dal decreto del 28 ottobre: «Può darsi che per qualcuno, specie se aveva già un movimento modesto, possano servire, ma per chi aveva entrate significative non compensano neanche gli investimenti fatti nel 2020 per adeguarsi alle norme anti epidemia. Nel caso dell’Osteria Bacerotti, poi, è anche peggio perché a primavera il calcolo è stato fatto sul fatturato dell’anno precedente e nella primavera del 2019 noi praticamente dovevamo ancora partire». Dunque non c’è niente da fare? «No, qualcosa di utile potrebbero farlo: ridurre l’incertezza. Non quella dell’epidemia, che dipende da tante cose; ma almeno quella che dipende dal Governo. Penso alle prossime scadenze fiscali e contributive di novembre (dobbiamo pagare o ci sarà un rinvio ?), oppure a come regolarsi con il personale: noi abbiamo appena assunto un collaboratore e non vorremmo licenziarlo né metterlo in cassa integrazione, ma non sapremo che cosa fargli fare. Anche il contributo di 25mila euro passato attraverso le banche e stato utile ma prima o poi sarà un problema, perché è un prestito e andrà restituito».