
#SOCIETÀ #SCUOLA #EPIDEMIA
Di Sabina Antonelli
La scuola del 2020-2021 è venuta alla luce dopo giorni di dolore, sconcerto e paura, in un tempo fuori dall’ordinario e dunque straordinario. Straordinario è stato ed è anche l’impegno di chi insegna che si trova a vivere percorsi educativi nuovi e obbligati. Non tutte e non tutti però, vivono questa “straordinarietà” come meraviglia. Il termine infatti può assumere diverse connotazioni semantiche: qualcosa di magnifico, notevole, eccezionale ma anche qualcosa che sia semplicemente fuori dall’ordinario.
E se l’ordinario già di per sé contenesse la meraviglia, l’incanto, la bellezza del crescere insieme? Se l’osservare, lo sperimentare, l’ascoltare, il condividere, l’aiuto reciproco fossero prassi già consolidate e interiorizzate? Se la scuola fosse vissuta già come una comunità dove si agisce con coscienza verso se stessi e gli altri, dove il “noi” è l’obiettivo primario e il mondo entra ed esce da ogni porta, ogni finestra, ogni cuore? Se la scuola fosse già uno stato dell’essere in continuo divenire, un luogo dotato di anima che si connota per la varietà e la diversità dei respiri, dei vissuti e dei sentimenti di tutti e di ciascuno? Se tutto questo fosse già la scuola di “ieri” non sarebbe logico domandarsi quale “straordinarietà” potrebbe avere oggi una scuola che tiene distanti, che impedisce contatti, che spinge verso l’individualismo, che obbliga a lezioni frontali.
Sinceramente non invidio quelle e quegli insegnanti della scuola primaria e delle scuole superiori che da tempo coglievano e praticavano lo straordinario nell’ordinario dei loro percorsi educativi. Rabbrividisco, invece, quando penso a quelli che finalmente sono contenti di essere tornati mille anni indietro. Ma questa è un’altra storia.
Per fortuna io sono una maestra di scuola dell’infanzia e vivo in una “bolla”. Così vengono chiamate le nostre sezioni. Dentro la bolla i bambini e le bambine non hanno mascherine, giocano, si abbracciano, vivono la loro corporeità che è scoperta, intelligenza, meraviglia, cura, rispetto e bellezza.
Hanno diritto allo stupore oggi più che ieri, hanno bisogno di essere ascoltati, di tirar fuori il loro dentro e le loro fragilità, di vivere pienamente l’avventura più bella che è quella di crescere insieme, dentro una comunità che si prende cura di te, che riconosce il valore infinito della scuola, la bellezza sconfinata di una conoscenza che non è trasmissione di contenuti ma ricerca continua di soluzioni, accoglienza di domande, dubbi e incertezze, sostegno delle intuizioni, della creatività, dello sguardo che va oltre l’immediato.
Noi maestre, con mascherina e visiera, con gel disinfettante e massima attenzione alla sicurezza, abbiamo il compito e la possibilità di trasformare, come sempre (e vorrei che questo fosse molto chiaro a tutti), anche questo anno in uno stra-ordinario viaggio. Occorre scardinare paure e pregiudizi, nel rispetto delle regole, mescolare attenzione e cura, sorprendere, accettare consapevolmente il rischio di vivere e costruire insieme le competenze necessarie per affrontare al meglio ogni giorno che ci viene regalato: saper prendere decisioni, costruire relazioni positive, rispettare regole condivise e comuni. Saper gestire le emozioni, entrare in empatia con l’altro da sé, usare la creatività per risolvere situazioni anche complicate e difficili.
Nasce così “La Ragnatela dell’amicizia”. Una semplice cornice di legno che i bambini e le bambine della mia sezione hanno rivestito di lana colorata, sistemandosi attorno ad essa e lanciandosi diversi gomitoli che si sono incrociati, intrecciati, annodati. Lanciare un gomitolo è una dichiarazione di amicizia, una domanda in attesa di risposta. È dare fiducia all’altro da te, è tessere legami. Nello stesso momento sei colui che dona e colui che riceve perché lo scambio è continuo, potente, giocoso e, in profondità, crea sicurezze. Nessuno è escluso dal gioco e quando la ragnatela è completata, per forza ci viene il desiderio di cantare. Perché la musica è racconto, vibrazione di anime, felicità. E poi…può finire qui l’esperienza? Assolutamente no. Occorre farsi ragno, diventare leggeri, delicati, tessitori nell’arte dell’amicizia, perché bisogna passare attraverso la ragnatela senza romperla, trovando lo spazio giusto, piano piano, con cura e rispetto. Esattamente quello che l’amicizia richiede. E se si rompe un filo? Nessuna paura. Succede nella vita. I legami si allentano, a volte si spezzano, possono rimanere così ma si possono anche riannodare e la ragnatela torna ad essere di nuovo completa. Due capi di filo, sembra impossibile rimetterli insieme ma se si avvicinano entrambi, se ognuno fa un piccolo passo verso l’altro…ecco che accade la magia. Si incontrano, si scelgono di nuovo e si intrecciano magari per sempre. L’importante è essere in due a fare la scelta. Può anche accadere che un filo si perda. Scivola fuori dalla ragnatela per andare altrove. Un amico che si traferisce, un nonno che ha finito i suoi giorni, un gatto che non torna. Come si fa a colmare quel vuoto? È in queste occasione che la ragnatela si stringe intorno a quei fili che sono rimasti senza legami. Si annodano altri intrecci, altre connessioni che non annullano ciò che è stato perché nessuna vita può essere dimenticata, ma modificano il presente e lo sostengono. D’altronde ogni giorno è diverso dal precedente e da quello che seguirà. Noi siamo un divenire, continuo, infinito, meraviglioso.
I bambini e le bambine imparano tutto questo? No. Per fortuna no. Loro giocano, ridono, si divertono, si abbracciano, si aiutano reciprocamente, annodano fili, allargano spazi, battono le mani gli uni agli altri. Semplicemente vivono la loro infanzia. Non sanno che giocando imparano la vita. E questo è il bello.Di certo quella che impara più di tutti sono io e questo mi conferma che la scuola serve ad insegnare. Ad insegnare ai grandi la vita.