
#EDITORIALE #PRIMAPAGINA
Di Susanna Minelli
(In foto: Norma Cossetto)
La mattina del 5 ottobre scorso, per volere dell’amministrazione comunale, al parco degli Orti Orfini di Foligno è stata apposta una targa per ricordare la figura di Norma Cossetto. Per chi non la dovesse conoscere Norma fu una ragazza istriana, seviziata, uccisa e gettata in una foiba il 5 ottobre del 1943. Venne uccisa dai partigiani slavi di Tito. Norma, di madrelingua italiana, come tanti altri uomini e donne della sua folta comunità in terra d’Istria (che allora era sotto la giurdiszione italiana) fu uccisa brutalmente. Le fonti a disposizione ci parlano di una giovane universitaria, appartenente ad una famiglia di possidenti ben inserita nel contesto sociale in cui gravitava. Norma, ci dicono sempre le fonti, sognava di fare l’insegnante. Ma la sua vita si è interrotta brutalmente a 23 anni, quando venne prelevata da casa, venne imprigionata, e dopo una serie di indicibili sevizie , subite anche a fronte di non aver accettato la proposta di unirsi alla fazione dei partigiani comunisti di Tito, fu uccisa. Il tassello che molte volte sfugge, o che spesso in molti fanno sfuggire, è che Norma che pare proprio non si interessasse di politica, fu sequestrata e uccisa perché suo padre era un dirigente del Fascio locale. Norma era con ogni probabilità una ragazza. cresciuta all’ombra della cultura fascista, ma non era una militante. Una sorte che toccò a molte altre donne in quel terribile contesto storico fagocitato da odi etnici sanguinari che, non bisogna dimenticare, andavano avanti da decenni.
Ciò, chiaramente, non giustifica e non assolve gli uccisori di Norma, come quelli di altre migliaia di vittime delle Foibe. Ma restituisce ad un delitto orribile uno sfondo che contestualizza una violenza così aberrante. Per questo credo che ogni tipo di attuale strumentalizzazione politica – e nel corso degli ultimi anni se ne sono ripetute molte – sia offensiva. Offendono le teorie giustificazioniste e negazioniste di certasinistra, quanto quelle di chi non perde tempo ad usare il bel viso e la bella figura di Norma per sdoganare la belva fascista. Piuttosto, pensando a Norma e alle ragioni che hanno portato alla fine
della sua esistenza terrena, mi viene da pensare che lei come tante altre donne e tanti bambini e bambine delle Foibe, siano stati vittime di una cultura senza tempo e senza confini: quella patriarcale e viscerale del possesso. Quella della figlia o del figlio di. Quella della donna di. Che non spiana, apparentemente e superficialmente, solo strade ma apre
anche voragini e spirali di odio. E quindi rende i soggetti in causa tutte e tutti vittime della barbarie umana. Non di certo simboli, né tanto meno eroi e eroine, o vittime di serie b, tutti quanti costruiti con dolo o fantasia, con un macabro e opportunistico gusto per la mistificazione dei fatti, al fine di farli diventare pilastri di un patrimonio culturale di parte. Piuttosto tutte queste vittime erette a totem sarebbe bello tornare a farle sembrare degli esseri umani. Come noi, vicino a noi. Perché io, Norma la vedo così: un essere umano.
Non un mezzo. Non uno strumento. Non un simbolo. Ma una giovane donna che è stata massacrata, come molte altre lo sono state nel corso delle guerre e dei secoli, in nome dell’odio e dell’ignoranza. Perché quando la violenza entra in gioco significa che la ragione
ha alzato bandiera bianca. Perché in un mondo di menzogne e scuse, la verità è sempre una ferita. Una ferita, però, che fa luce. E quindi occorre infliggercela.
Per questo ho voluto parlarvi di Norma.