
#LAVORO #AMBIENTE #ECONOMIA
Intervista a Massimo Sisani a cura di Matteo Bartoli
(In foto: il Topino in secca questa estate)
La passata stagione, particolarmente siccitosa, ci ha spinto a discutere di modelli agricoli. Anche in virtù del tuo lavoro e delle tue recenti esperienze abbiamo pensato di intervistarti per cercare di stimolare il dibattito. Intanto spiegaci il tuo lavoro.
«La mia famiglia ha un’azienda agricola a vocazione olivicola, e cerealicola per la parte pianeggiante; all’interno della struttura agricola gestiamo anche un’attività di ricettività turistica. Negli anni scorsi e fino all’inizio di quest’anno ho poi ricoperto il ruolo di Vice-Presidente del Consorzio di bonificazione Umbra di Foligno e Spoleto, facendo una esperienza molto importante proprio nella gestione della risorsa irrigua in agricoltura. Noi sappiamo che l’acqua è una risorsa finita e quindi ha bisogno di una attenta razionalizzazione, che necessita di due punti fondamentali: uno è l’aspetto organizzativo, l’altro è quello infrastrutturale, che passa per gli investimenti della parte pubblica. Una gestione rigorosa e metodica della risorsa idrica è particolarmente importante nei periodi di ribasso di disponibilita (cioè in estate), ma anche durante tutto l’anno, per garantirne l’adeguata quantità ai soggetti fruitori».
Da diversi anni hai anche un ruolo nella Cia territoriale (Confederazione italiana agricoltori). Come hai voluto caratterizzare il tuo mandato?
«Io penso che il mondo agricolo non possa essere astratto dal contesto di economia interconnessa e globalizzata in cui ci troviamo. In questo senso le tre maggiori associazioni di categoria sono fondamentaliper gestire i rapporti e gli equilibri di una realtà complessa come quella agricola e sarebbe auspicabile un approccio olistico al tema. Anche mettendo da parte per un istante gli aspetti etici e le ricadute sociali, strumenti tipici dell’impresa come la delocalizzazione o lo sfruttamento del dumping salariale sono difficilmente applicabili in agricoltura. Inoltre i nostri agricoltori sono fondamentali anche nella cura del territorio: sono custodi della biodiversità, dei prodotti tipici, della cultura locale e di una sana economia circolare troppo sottovalutata. E’ poi difficile immaginare che un piccolo o medio imprenditore umbro riesca a competere con altre attività più grandi senza partecipare a percorsi di innovazione e di filiera. Questo non significa che non bisogna stare dentro il processo di potenziamento tecnologico, ma che anzi bisogna confrontarsi con l’innovazione tecnologica, culturale e anche di processo, facendola propria. Il che comporta che molti mondi debbono lavorare sinergicamente per ridare all’agricoltura la dignità e l’importanza che merita. Parliamo di intere filiere che, messe insieme, potrebbero fare molto per valorizzare i prodotti territoriali. Ma tutto ciò deve partire dall’interno del mondo agricolo. In questo può essere utile recuperare e rileggere in chiave attuale alcune esperienze virtuose del passato, dalle cooperative agricole ai consorzi. E’ un tema veramente complesso che tiene insieme tante cose che non sempre sono compatibili, ma si deve partire da queste priorità».
A questo proposito ti chiedo se pensi che ci sia bisogno di un dirigismo e interventismo centralizzato. Spesso poi questo discorso è legato a quello dei fondi.
«C’è bisogno che si parta da questo ma i modi si devono trovare di fronte alle situazioni concrete. Non c’è una formula magica da applicare. Per quanto riguarda i fondi bisogna tornare al discorso di prima. E’ chiaro che il mercato selvaggio sbatte fuori molte realtà aziendali, come è chiaro che la competizione non la si può far pagare ai lavoratori e all’ambiente. Per fortuna i nostri standard ambientali e sociali sono diversi da quelli di altri paesi e territori. Allora su questo è necessaria una scelta di campo, anche a livello europeo: se si pensa che i nostri agricoltori sono portatori delle culture gastronomiche locali, se si pensa che alcune porzioni di agricoltura garantiscano difesa del paesaggio, dell’ambiente e qualità del prodotto, se pensiamo che tutto ciò sia una valore, una seria politica degli aiuti è irrinunciabile. Se pensiamo che la nostra economia debba essere socialmente ed ambientalmente sostenibile, come collettività ci dobbiamo fare carico delle conseguenze. Invece se lasciamo fare al mercato duro e puro non andiamo molto lontano e facciamo anche danno all’equilibrio economico».
Torniamo al discorso iniziale. Stiamo vedendo giorno dopo giorno quanto il cambiamento climatico stia incidendo nelle dinamiche ecologiche e sistemiche. Quest’estate abbiamo visto tutti i nostri fiumi a secco, perché la quantità di acqua caduta nelle stagioni precedenti è stata inferiore a quella degli anni passati. Come facciamo a razionalizzare l’acqua in questo contesto. C’è un deficit infrastrutturale?
«Quando si parla di acqua si deve tenere a mente la complessità della situazione e la molteplicità degli interessi che tange. L’acqua è contesa dalla cittadinanza, dalle industrie, dall’industria dell’energia elettrica, dall’agricoltura e, come abbiamo detto prima, è una risorsa finita. Per quanto riguarda il deficit non so se questa è la parola giusta perché i dati dicono che il nostro territorio riesce a reggere sistemicamente molto meglio di altri. Anche pensando all’orografia difficile siamo discretamente tranquilli, soprattutto grazie al lavoro di Bonifica Umbra. Ma il discorso non può dirsi esaurito. Posso dirti che, anche in virtù dell’esperienza che ho fatto, ho avuto modo di vedere quanta progettualità sia sul piatto e quanta in itinere. Molto dipende poi dal decisore politico, avendo sempre presente che gli interventi hanno mediamente un costo alto e non sono direttamente spendibili sul terreno del consenso. A monte bisogna fare delle scelte oculate perché le risorse economiche, un po’ come l’acqua, sono anch’esse finite. Ma sempre più la gestione della risorsa irrigua è nell’interesse generale: è sotto gli occhi di tutti, il cambiamento climatico sta comportando momenti anche lunghi di siccità alternati a repentini sbalzi termici, bombe d’acqua e fenomeni estremi. Quest’estate ad esempio, dopo un lungo periodo di siccità, è caduta anche la grandine. Questo ha comportato danni significativi ad alcune colture. Anche le immagini dell’autunno sono sotto gli occhi di tutti: meglio prevenire che curare».