
#EDITORIALE #SOCIETA’
Di: Susanna Minelli
In foto: assembramenti per gli acquisti natalizi [foto di Francesca Romana Felici]
È il 15 dicembre 2020 e il bollettino quotidiano dei morti parla di 846 persone decedute a causa del Covid nelle ultime 24 ore. Domani ci sarà un altro bollettino che riferirà di altre morti. Dopodomani lo stesso. E così sarà per molti altri giorni a venire. Giorni che diventeranno settimane, che muteranno in mesi. Persino il giorno di Natale moriranno persone nella solitudine delle terapie intensive. E questo, credo proprio, che rimanga difficile pensarlo. E così rimane difficile pensare che corpi vivi e caldi ora, febbricitanti ma combattivi, possano essere freddi già fra poche ore. Rimane difficile quanto dare un’anima ad un numero. Ottocentoquarantasei: lo devo trascrivere in lettere per rendermi conto di quanto sia gigantesca questa cifra. Proviamo a descriverlo questo numero, proviamo a pensare, per esempio ai numeri che lo procedono. Perché ad ogni numero corrisponde un corpo. L’involucro di un essere umano, di una coscienza, di un’anima, di qualunque cosa voi crediate che ci sia dietro e dentro un uomo. Di sicuro sempre una storia, che va al di là della cartella clinica o della tessera sanitaria nascosta in chissà quale scompartimento della borsa da viaggio portata in ospedale.
Allora immagino il numero 756, immagino una signora sugli ottanta, i capelli bianchissimi raccolti, l’aspetto ancora curato. La vedo scendere le scale del palazzo in cui abita sola, il salutare educatamente la portiera. I figli lontani, forse tutti stimati professionisti, l’aspetto da vecchia ragazza di buona famiglia. Forse un ex professoressa di lettere. Scendo al 343 e vedo un uomo. Decisamente più giovane. Sulla cinquantina. Un autista di autobus. 25 anni di turni alle spalle, una moglie un po’petulante ma decisamente affettuosa e quel figlio maschio che gli ha dato sempre troppi pensieri prima per la scuola, poi per le cattive compagnie. Ora chi ci penserà a lui? Risalgo al numero 601. Ha un nome di quelli da nonno, ma in realtà non è nonno di nessuno. Perché non si è mai sposato. Ha sempre vissuto solo da quando i suoi genitori sono morti, ormai una trentina di anni fa. Burbero e scontroso come pochi, lo ricordano in paese. Nessuno lo ha mai chiamato al telefono durante i 15 giorni di ricovero. Ma all’infermiera, quando si è accorta che non c’era più, è scesa una lacrima. Era un anziano così remissivo quando gli si avvicinavano per somministrargli cure e dolori. E i primi numeri? L’8 era un ex direttore di banca. “Una brava persona”. Carattere mite. Se ne è andato con grande dignità. Ha lasciato di stucco gli amici del circolo. Al 9 troviamo un 75enne immunodepresso. Si stava curando per la terza volta. Perché quel male riusciva sempre fuori ad un certo punto, ma lui era più forte. Magari 10 anni in più, senza il Covid, li avrebbe campati, robusto com’era. E poi al 33 c’è una bambina. Una bambina nata con una grave malformazione. Se l’è portata via in pochi giorni. Non aveva amichette. Non ha mai frequentato una scuola. E poi il 42 e il 44, due sorelle morte lo stesso giorno. La prima 87 e la seconda 92 anni, braccianti agricole. Abbiamo il 102, un ex operaio metalmeccanico, una vita di fatiche vere e di lotte sindacali. La 227 una cuoca in pensione. Ai nipotini mancherà molto. Dall’1 all’846. Storie che si susseguono, storie che si accavallano. Televisioni spente. Rubinetti gocciolanti in bagni di case in cui i proprietari non faranno mai ritorno. Vecchie foto recuperate da figli orfani maturi eppure bambini per sempre.
È anche questo il covid. Non so rendere meglio di così, in questa sera, in cui il dibattito politico e pubblico è tutto concentrato sullo psicodramma del divieto di spostamento tra comuni a Natale e Capodanno. Sul Governo che autorizza le uscite, sulle persone che non sanno autoregolarsi, e non riescono a non assembrarsi ed in ogni caso è sempre colpa dei politici. E poi molto altro. Fino ad arrivare agli slogan più beceri che parlano di aziende chiuse e porti aperti. Di guerre tra poveri, di cattiverie da ricchi.
Ottocentoquarantasei. Non so ripetermi altro. E non so che altro raccontare. Anche l’indignazione, a dieci giorni dal Natale, ha consumato tutto l’ossigeno a sua disposizione.