
Se gli aerei restano a terra
#DOSSIER #LAVORO #AEROSPAZIO
Dossier a cura di: Vincenzo Falasca, Fausto Gentili, Diego Mattioli
In foto: l’ingresso dello stabilimento OMA, di Francesca Romana Felici
C’è una crisi nella crisi, tra le molte conseguenze dell’epidemia, e ci riguarda da vicino. Nasce dal crollo dei voli dell’aviazione civile, investe compagnie aeree, grandi produttori internazionali e indirettamente, ma con conseguenze pesantissime, le imprese impegnate nella subfornitura. Cioè una parte fondamentale del tessuto produttivo della regione e in particolare del nostro territorio, quella che nella crisi avviatasi nel 2008-2009 lo ha in parte preservato dal declino dell’economia umbra (tanto per farsi un’idea: tra il 2000 e il 2017, cioè già prima dell’epidemia, l’Umbria perde più di un terzo del PIL pro capite).
I primi segni si colgono con facilità: perdita di occupazione per i lavoratori interinali, cassa integrazione per una parte dei dipendenti a tempo indeterminato, inasprimento delle relazioni sindacali (è il caso della OMA-Tonti), passaggi di proprietà, ingresso di capitali esterni. Viene messo in discussione, insomma quel modello di capitalismo familiare e vagamente paternalistico che può piacere o non piacere ma, tra innovazione tecnologica e welfare aziendale, ha caratterizzato nel nostro territorio il primo ventennio del secolo.
La questione è seria, perché si tratta di quella che ci siamo abituati a pensare come la “parte sana” del tessuto economico locale e perché non è facile, oggi come oggi, delineare strategie efficaci e realistiche di riconversione produttiva. Per questo, nell’intento di offrire ai lettori di Sedicigiugno un’informazione accurata ed una pluralità di punti vista, abbiamo deciso di dedicare al tema alcune pagine di approfondimento: un pacchetto di schede informative, qualche considerazione sul decisivo tema della riconversione, due ampie interviste: una con Claudio Gonzato, responsabile del settore difesa-aerospazio per la Fiom Cgil nazionale e l’altra con Antonio Baldaccini, Amministratore delegato di Umbra Group e presidente dell’Umbria Aerospace Cluster. Come i lettori più attenti noteranno, le previsioni dei nostri interlocutori non coincidono ed anche i dati proposti dalle diverse fonti sono sostanzialmente omogenei ma non del tutto sovrapponibili, così come è ovvio che le loro opinioni non necessariamente coincidono con quelle di Sedicigiugno. Ma è condivisa da tutti la convinzione di trovarsi ad un punto di svolta, che richiederà coraggio, chiarezza di idee e capacità di innovazione. Anche per questo continueremo, nei prossimi numeri di Sedicigiugno, ad ospitare interventi, contributi ed opinioni . Il dibattito, come si suol dire, è aperto.

Schede
#SCHEDE #DOSSIER #LAVORO #AEROSPAZIO
A cura di: Fausto Gentili
In foto: l’ingresso dello stabilimento NCM, di Francesca Romana Felici
Quanto vale in Italia l’industria aerospaziale
- Oltre 4.000 aziende, il 90% delle quali ha meno di 50 dipendenti;
- Indotto complessivo di 13,5 miliardi di euro (0,65% del pil);
- Oltre 159.000 posti di lavoro, di cui circa 1/4 ingegneri;
- Moltiplicatore economico: 2,6: per ogni euro di valore creato dal settore, si genera nell’economia un valore aggiuntivo di 1,6 euro;
- Investimenti in ricerca e sviluppo: 1,4 miliardi, il 10% del fatturato;
- Prevalenza dalla domanda estera: oltre il 70% della produzione viene esportato.
I fattori di debolezza
- Il “caso Boeing 737”, l’aereo più venduto della storia: molte imprese piccole e medie, tra cui ad esempio Umbria Group, che hanno saltato la mediazione di Finmeccanica (ieri Alenia,oggi Leonardo) e sviluppato negli anni un rapporto diretto con il colosso americano, hanno risentito del brusco taglio delle commesse per il blocco dei voli internazionali imposto a seguito dei due incidenti del 28 ottobre 2018 (Indonesia) e il 10 marzo 2019 (Etiopia), che hanno causato la morte di 346 persone. La produzione di nuovi 737Max da parte della Boeing è scesa nel tempo da 55 a 8 aerei al mese, con conseguenze pesantissime sui fornitori sia in termini di fatturato che di mancato utilizzo delle scorte di magazzino. E’ noto peraltro che anche i fornitori di Leonardo devono a loro volta scontare un fortissimo ritardo nei pagamenti: si parla di fatture non saldate che a fine anno potrebbero superare i cento milioni di euro.
- La “tempesta perfetta” che si è abbattuta nel 2019 sul settore commerciale per l’ epidemia Covid: tra gennaio e aprile due voli su tre sono stati annullati, i viaggiatori sono più che dimezzati, sia per ragioni di sicurezza, sia per il crescente ricorso al lavoro a distanza. La seconda ondata dell’epidemia ha ulteriormente ridotto la propensione al volo e oggi solo un italiano su cinque si dichiara disposto ad imbarcarsi. La crisi ha colpito non solo agenzie di viaggio, compagnie aeree e industrie produttrici, ma subfornitori, manutentori e fornitori di pezzi di ricambio. Il rischio paventato è (citiamo da uno studio di Deloitte) “perdere competitività nello scacchiere internazionale, veder dispersi competenze e know-how unici, fronteggiare una riduzione delle quote di mercato”.
- La pressione finanziaria sulle imprese: come sempre nelle crisi, molte aziende sono uscite dal settore, altre sono state oggetto di fusioni e acquisizioni da parte di soggetti finanziariamente più forti. Altre, in crisi di liquidità, hanno aperto a nuovi soci, prevalentemente provenienti dal mondo della finanza. Questo potrebbe accadere anche nel nostro territorio e porta sollievo alle casse, ma in genere ridefinisce le strategie aziendali, orientando il management in direzione di vantaggi immediati (taglio dei costi, licenziamenti, riduzione del “welfare aziendale”) piuttosto che su strategie di lungo periodo. Rischia di chiudersi, così, una lunga fase di gestione delle imprese orientata alla riduzione del conflitto e ad una relativa pace sociale.

Gli elementi di forza
- Il settore difesa, tradizionalmente meno sensibile alle oscillazioni di mercato, resterà invariato, almeno nel tempo breve e medio, anche per i forti investimenti del governo USA e della Francia. In Italia lo stabilimento di Leonardo a Cameri (Novara), per cui produce parti la OMA, assembla gli F35, occupa oltre 1000 dipendenti e lavora a pieno ritmo.
- Il contributo prevalente (70%) del mercato estero, notoriamente più dinamico di quello interno e più reattivo nelle fasi di ripresa (una storica debolezza della manifattura umbra è appunto quelle di lavorare soprattutto per il mercato interno, ma questo non riguarda il comparto aerospaziale).
- La decisone dell’Agenzia statunitense per il volo (FAA), che ha autorizzato la ripresa dei voli per i 737Max: questo dovrebbe consentire una graduale ripresa della produzione e quindi delle commesse per i subfornitori, che potrebbero via via svuotare le scorte accumulatesi in magazzino.
- Nuovi ingressi nel settore: la sfida della possibile ripresa sembra attrarre nuovi investitori. Questo presenta i rischi che abbiamo già indicato, ma potrebbe per altro verso portare nuove idee e contribuire a accelerare l’ innovazione sia di prodotto che di processo. Al tempo stesso, la possibile minaccia rappresentata dalle operazioni di acquisizione da parte di soggetti a prevalente vocazione finanziaria può essere meglio fronteggiata, almeno rispetto ad attacchi dall’estero, grazie al Golden Power (la possibilità per il Governo di intervenire a tutela di posizioni ritenute strategiche), ora esteso con il DPCM “Liquidità” emanato in aprile a seguito del Covid19.
Il Polo della meccatronica umbra e l’ Umbria Aerospace Cluster
- Nel 2011, mentre la crisi colpiva pesantemente altri settori dell’economia regionale, è stato costituito il PMU (polo della meccatronica umbra): un’ottantina di aziende per un totale di circa 6500 addetti (operai qualificati, tecnici ed ingegneri), prevalentemente impegnate nella fornitura di componenti alle multinazionali dell’aerospazio e dell’automotive. Il PMU ha avviato negli anni successivi progetti di innovazione e trasferimento tecnologico, finanziati per il 50% da fondi europei, che hanno coinvolto una trentina di aziende e consentito al settore di risentire in misura contenuta della seconda fase della crisi (2012-2014). Si tratta peraltro di aziende relativamente più grandi della media (oltre 100 addetti) e prevalentemente proiettate sui mercati esteri.
- Già nel 2008, sulla scia di esperienze analoghe già in atto in Lombardia e in Piemonte, era nato l’ Umbria Aerospace Cluster, con lo scopo di implicito di emanciparsi dall’intermediazione della federazione AIAD (Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza) e quello esplicito di realizzare il collegamento tra le imprese, favorire la partecipazione a programmi di ricerca e innovazione, promuovere percorsi formativi di aggiornamento, manifestazioni, incontri, convegni, visite e viaggi di studio L’associazione schiera 28 imprese (4 grandi, 4 medie, 20 piccole), molte delle quali del Folignate, per un totale di 2900 dipendenti ed un fatturato di 400 milioni (dato 2016) ed è presieduta da Antonio Baldaccini, amministratore delegato di Umbria Group. Nel Consiglio direttivo siedono tra gli altri tre imprenditori del nostro territorio: Claudio Becchetti (Comear), Renato Cesca (NCM) e Umberto Tonti (OMA).

Gli aiuti comunitari e di Stato e la partita del Next generation fund
- Il settore, anche per la connessione tra civile e militare, ha tradizionalmente goduto di aiuti di Stato. A metà del decennio scorso, in particolare, l’industria aeronautica ha visto in Umbria un aumento significativo delle erogazioni (legge 808/1985, Contratti d’area e sostegno ad attività di Ricerca e Sviluppo) mentre nel decennio in corso si collocano i finanziamenti comunitari già citati per i progetti del PMU.
- Una nuova partita è ora aperta sull’utilizzo delle risorse del Next generation plan (meglio noto come Recovery fund), un’imponente massa di risorse comunitarie, parte delle quali a fondo perduto, che dovrebbero servire a guarire più o meno tutti i mali del Paese: mettere al sicuro il welfare, modernizzare le infrastrutture, avviare la svolta ecologica e rilanciare su nuove basi l’economia, creando le premesse per un progressivo allentamento della morsa del debito. Passando dalla poesia alla prosa, è già partita la corsa ad indirizzare i finanziamenti (anche i recenti sommovimenti nel sistema dell’informazione possono essere letti in questa chiave) e l’industria dell’aerospazio giocherà un suo ruolo per almeno due ragioni: il suo ruolo strategico-militare e il peso relativo dell’innovazione tecnologica. La bozza licenziata dal MISE (Ministero per lo Sviluppo Economico) propone infatti investimenti pari a 12 miliardi e mezzo di euro per l’industria aerospaziale italiana e un miliardo di euro per la space economy.
- Vale in proposito il caso della Francia. In Francia il comparto comprende 1.300 industrie, 300.000 posti di lavoro, un fatturato di 58 miliardi di euro, un saldo commerciale positivo di 34 miliardi. Il governo, impegnato a sostenere Airbus nella sfida con i concorrenti americani e cinesi, ha dichiarato lo stato di emergenza per l’industria aeronautica e annunciato già nel giugno scorso un piano da 15 miliardi, a valere sui finanziamenti a venire del Recovery plan: garanzie sui prestiti, sussidi per i lavoratori licenziati, un fondo per le piccole imprese, finanziamenti alla ricerca con l’obiettivo di realizzare emtro il 2035 un aereo ad idrogeno, cioè a zero emissioni.
Per saperne di più:
- Deloitte, From now on-Sfide e opportunità per il settore Aerospace & Defense, Novembre 2020;
- Banca d’Italia, Economie regionali. L’economia dell’Umbria. Giugno 2016;
- Agenzia Umbria Ricerche, Stato e imprese. Le politiche in Italia e in Umbria, rapporto MET 2007, a cura di Raffaele Brancati.