
Migranti, una legislazione da rifare
#LACITTÀINVISIBILE
Di Stefano Mingarelli
In foto: migranti durante la traversata della rotta balcanica
Ha suscitato un certo allarme, nelle scorse settimane, la notizia della presunta “fuga” di sedici ragazzi richiedenti asilo dalla struttura di accoglienza dell’ARCI SOLIDARIETÀ sita in Colfiorito Loc. Pian di Ricciano. Abbiamo chiesto all’avvocato Stefano Mingarelli di chiarire gli aspetti giuridici della vicenda e illustrare la disciplina dei procedimenti volti al riconoscimento della protezione internazionale.
Con riferimento al recente fatto di cronaca, va immediatamente chiarito che appare quantomeno improprio parlare di “fuga”. Infatti, i ragazzi ospitati presso la struttura non avevano commesso nessun reato e non erano sottoposti ad alcuna misura restrittiva della loro libertà personale. Erano semplicemente in attesa che lo Stato italiano definisse la loro richiesta di protezione internazionale.
Il Regolamento di Dublino
Sul punto va chiarito che la questione è disciplinata da una serie di disposizioni normative internazionali e nazionali. In primis, occorre far riferimento al c.d. “Regolamento Dublino II” (Regolamento 2003/343/CE) normativa europea entrata in vigore nel 2003, durante il Governo Berlusconi II. Secondo questa normativa è lo Stato di “primo approdo” dei migranti quello competente a conoscere dell’intera procedura di protezione internazionale, finalizzata al riconoscimento del c.d. asilo politico o della protezione umanitaria o sussidiaria. Risulta di tutta evidenza che nella stragrande maggioranza dei casi il paese di primo approdo sia l’Italia. Dunque, questi ragazzi in fuga da guerre fame povertà e carestie, o semplicemente alla ricerca di una vita e di un lavoro dignitoso, dopo aver affrontato viaggi estenuanti attraverso il mare ed il deserto, giungono in Italia e formulano richiesta di protezione internazionale . Va chiarito che anche coloro che in astratto si potrebbero permettere un viaggio aereo verrebbero bloccati in aeroporto perché per i cittadini dei Paesi Extra Ue da cui per lo più provengono è molto difficile, se non impossibile, ottenere i visti.
La legge Bossi-Fini ed il decreto flussi
Va anche precisato che a causa della legislazione interna vigente sul punto (legge 189/2002 c.d. legge Bossi – Fini che ha parzialmente modificato il precedente Testo Unico sulla immigrazione legge n. 40 del 1998 c.d. legge Turo Napolitano) la richiesta di protezione internazionale viene utilizzata per far ingresso in Italia non solo dai soggetti che scappano da guerre, carestie, persecuzioni, discriminazioni fondate sul sesso, opinioni politiche, religiose, filosofiche, di orientamento sessuale ecc. (i c.d. richiedenti asilo) ma anche da c.d. “migranti economici” cioè, secondo l’UNCHR, da persone che lasciano il proprio paese di origine per ragioni puramente economiche che non sono in alcun modo collegate alla definizione di rifugiato, al fine di cercare di migliorare i propri mezzi di sostentamento. Questo perché ai sensi della predetta legge, ogni anno il Governo stabilisce con un decreto, detto decreto flussi, il numero dei lavoratori stranieri non comunitari che possono entrare in Italia per motivi di lavoro o di studio. A partire dal Governo Berlusconi II il numero dei lavoratori migranti si è andato via via sempre più restringendo ed in ogni caso caso non si è mai riusciti a raggiungere numeri uguali o superiori alle offerte di lavoro. Per chi è obbligato a lasciare il proprio Paese di origine per cercare di migliorare la propria condizione economica e costretto ad affrontare viaggi estenuanti, il più delle volte attraverso il deserto ed l mare, l’unico modo per rimanere in Italia e cercarsi un lavoro dignitoso, è presentare domanda di protezione internazionale, sperando che sia accolta. Il diritto di emigrare per migliorare le proprie condizioni, garantito ai cittadini comunitari, viene di fatto negato ai cittadino non comunitari con una inammissibile disparità di trattamento e violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.
La richiesta di protezione
Tornando alla richiesta di protezione internazionale, va specificato che la stessa deve essere esaminata da strutture periferiche del Ministero a ciò dedicate, chiamate Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. I tempi tra la richiesta e la decisone della Commissione sono però lunghissimi (in media parliamo di 2-3 anni). Nelle more della decisone ai richiedenti asilo viene rilasciato un permesso di soggiorno della durata di 6 mesi, rinnovabile alla scadenza qualora la decisione della Commissione impieghi più di tale periodo (come purtroppo nella stragrande maggioranza dei casi avviene). Le Prefetture dunque, quali Uffici territoriali del Governo, predispongono il sistema di accoglienza (vitto, alloggio, istruzione, ecc.) in favore di tali soggetti, individuando attraverso apposite gare dì appalto l’Ente che poi materialmente erogherà tali prestazioni. Anche i sedici ragazzi ospitati a Colfiorito rientravano nel sistema descritto, essendo ospiti della Associazione ARCI, la quale si era aggiudicata un bando della Prefettura di Perugia ed erano muniti di regolare permesso di soggiorno e dunque legalmente presenti sul territorio italiano in attesa che un Ente pubblico a ciò dedicato decidesse sulla loro richiesta di asilo. Non si tratta dunque né di “clandestini” né di persone fuggite giacché non avevano commesso alcun reato né erano sottoposti ad alcuna misura restrittiva della libertà personale e, dunque, potevano (e possono tutt’ora) liberamente circolare su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art.16 della Costituzione, fatta salva l’osservanza delle disposizioni in materia di COVID.
L’iter della domanda di di protezione
La domanda può essere accolta e dunque riconosciuta la protezione internazionale – che dà diritto ad un permesso di soggiorno della durata di 5 anni, – la protezione “sussidiaria” – permesso di soggiorno sempre di 5 anni – o la umanitaria – permesso di soggiorno di 2 anni. In caso di rigetto della richiesta è data facoltà di impugnare il diniego dinanzi al Tribunale . In caso di ulteriore rigetto da parte del Tribunale, per i ricorsi depositati prima dell’entrata in vigore del c.d. “Decreto Minniti- Orlando” (D.L n. 13 del 2017) è possibile proporre appello ed eventualmente ricorso per Cassazione, così come previsto per i cittadini italiani. Durante il processo, poi, è ovvio che ai richiedenti asilo vengono rinnovati i documenti ogni 6 mesi in attesa della sentenza definitiva e possono, se vogliono, rimanere ospiti dell’Ente che gestisce il progetto di accoglienza. Per i ricorsi depositati dopo l’entrata in vigore del c.d. Decreto Minniti il rigetto della richiesta del Tribunale non è appellabile ma unicamente ricorribile per Cassazione. In sostanza ai richiedenti asilo, solo perché tali e solo perché hanno esercitato un diritto dopo una certa data, viene tolto o fortemente compromesso il diritto di difesa, attraverso la eliminazione di un grado di giudizio. In più, pur potendo rimanere sul territorio nazionale sino alla sentenza della Cassazione non possono più rinnovare i documenti e non possono più essere ospitati nei progetti di accoglienza, non potendo nemmeno più lavorare essendo sprovvisti di permesso di soggiorno, trovandosi di fatto “in mezzo alla strada” senza mezzi di sostentamento e, dunque, possibili prede di sfruttatori ed organizzazioni criminali.
I rimpatri mancati
In caso di rigetto definitivo della domanda, poi, secondo la legge gli ex richiedenti dovrebbero essere rimpatriati nei Paesi di origine, ma per farlo occorrono accordi internazionali bilaterali, che l’Italia ha stipulato con pochissimi Stati. Ciò comporta che l’ordine di espulsione intima ai destinatari di lasciare il nostro Paese a proprie spese. Ça va sans dire che nessuno o quasi di questi ordini venga rispettato. Gli ex richiedenti, dunque, si trovano senza documenti, senza reddito ed in mezzo alla strada, finendo il più delle volte nelle grinfie di sfruttatori e criminalità organizzata. Il problema dunque non è l’immigrazione né la nazionalità, ma la situazione di mancanza di documenti in cui possono venire a trovarsi queste persone ad un certo punto della loro permanenza in Italia, a causa delle nostra legislazione ingiusta, farraginosa e palesemente dannosa per i diritti di queste persone. È questa legislazione che, in definitiva, crea l’immigrazione irregolare che a parole vorrebbe contrastare.