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La ragazza che disegnava il cinema

Roberto Lazzerini ci porta alla scoperta dell'universo artistico di Antonietta Innocenti.

La ragazza che disegnava il cinema

#UCENDODALCINEMA #CULTURA
Di Roberto Lazzerini
In foto: le opere di Antonietta Innocenti


[…] incontrando Antonietta Innocenti, motivato all’incontro da una sua nipote, per le ragioni di cui scriverò in coda, mi sono reso conto del mio rapporto particolare con il civico 16 di piazza San Francesco, una delle più strane della città, che non è mai stata fatta oggetto di uno sguardo attento, almeno a giudicar dai risultati urbanistici, se non di quello di automobilisti/e, che cercano il posto dove posteggiare appunto con comodo. Certo la sua forma, lunga ma non ampia, non invoglia alla sosta e alla socialità, ma se si togliessero le automobili, cesserebbe la fretta del transito, un altro sguardo sarebbe disponibile. Un punto fermo del vortice, che ha investito l’esercizio commerciale della città, perciò anche della piazza, rimane tuttora il civico 16, che è l’atelier e la galleria d’arte della pittrice dal 1986. Bisogna certo infilarsi sotto il tendaggio, chi ha corpo lungo fa un inchino infatti, per sostare davanti alle sue vetrine, che le ripara però dai riflessi della luce che abbaglierebbero il passante voyeur o il devoto osservatore, che hanno così l’agio di guardare con calma: sempre le novità pittoriche dell’artista, senza soluzione di continuità, sono state esposte là, da almeno un trentennio. Nel frattempo il mio sguardo è mutato. Non solo quello. E la sbrigativa, se non rapida, occhiata che gettavo alle sue figure femminili, tanto tempo fa, era accecata da una luce interna, mi rimandava all’architettura delirante del mio eros. Cresciuto al cinema nel culto infantile della ballerina cubana, attrice di peplum nei primi anni ’60 in Italia, Chelo Alonso (1933-2019) e più tardi dell’attrice austriaca Hedy Lamarr (1914-2000), poi hollywoodiana in molti film, tra cui l’eccitante “Sansone e Dalila” (1949) di Cecil B. De Mille, visto pochi anni dopo, ancora in fasce, evitavo quelle inquietanti bellezze pittoriche, nonostante fossi già entrato nell’età della ragione e avessi preso congedo dal cinema in costume, sotto il segno indimenticabile del film di Jean-Luc Godard “Il disprezzo” (1963), dal romanzo di Moravia, arrivato da noi più tardi però, con il massacro al sonoro e alla durata di Carlo Ponti, verso la fine degli anni sessanta, in cui ho sempre visto, nel più tardo delirio, un messaggio personale recapitatomi dal cineasta parigino. Qualche anno fa, ho visto per la prima volta “Quattro notti con Alba” (1962), un film in bianco e nero di Luigi Filippo D’Amico, un poliedrico sceneggiatore, qualche volta regista in proprio, forse qui al meglio, in cui Alba, la protagonista, è Chelo. La sua figura di sbandata prostituta in un gruppo di soldati in Libia, cui si è aggiunta, sfuggita ad un bombardamento inglese, scambiata per crocerossina, lascia, alla dipartita finale, un rimpianto nel giovane tenente, al quale non sono rimasto indifferente. Questa estate, invece, a Bologna, ho potuto vedere, per la prima volta, “Estasi” (1933) del ceco Gustav Machatý, uno splendido melodramma in bianco e nero, in cui Hedy, come Eva, in una cavalcata in cui perde il cavallo e il vestito, resta nuda per una buona decina di minuti mostrando così la sua fulgida bellezza. In entrambi i film ho riconosciuto il mio vecchio eros infantile e l’ho giustificato, ma in loro ho accolto non più l’aureola leggendaria ma l’embrione di due film moderni sulla donna emancipata, sfuggita al sequestro erotico e domestico. Tutto questo divagare sull’erotismo e sulle sue mutazioni in mezzo secolo, è tornato pochi giorni fa, nella corrispondenza epistolare con Leonardo Seràgnoli (1980), in occasione dell’uscita del suo ultimo film “Gli indifferenti”, anch’esso dal romanzo omonimo di Moravia, che anche Citto Maselli (1930) realizzò nel 1964, su cui tornerò appena avrò l’occasione, perché è un bel film ed è fonte di numerosi stimoli e permette uno sguardo comparativo sulle due epoche, in cui entrerebbero anche le figure femminili della nostra pittrice. Antonietta Innocenti mi conduce per queste vie, non posso fingere che il cinema le sia estraneo, anzi è per questo che scrivo. Suo padre è stato esercente del cinema Vittoria fino al 1964, l’anno della morte, e per tutta la prima metà di quel decennio, studentessa delle belle arti, disegnava ed era chiamata a disegnare i manifesti cinematografici dei film che il cinema programmava. Sotto gli archi del Palazzo delle Logge, nell’atrio del cinema, le foto di scena inviate dalla distributrice e, all’inizio del corso Cavour, in bacheca, i suoi disegni, la cui collezione ne conta oggi 56, forse erano anche di più, qualcuno regalato o venduto, comunque una bella e ricca collezione, che varrebbe la pena di accogliere pubblicamente. Non le sono mancati in questi decenni premi, riconoscimenti ed esposizioni. Richiamo la grande retrospettiva di Salerno, la più completa, dopo quella all’Auditorium di Foligno (2000), a palazzo Fruscione, per la curatela di Rita Rocconi e il sigillo del connoisseur Philippe Daverio (1949-2020), nella tarda primavera del 2017 (21 aprile – 14 maggio), che conserva ora la sua memoria nell’imponente catalogo, edito dall’Editoriale Umbra, in cui molti altri conoscenti hanno lasciata traccia scritta, la più rimarchevole delle quali mi sembra quella di Alfred Hohenegger (1928), per la pertinenza stringente alla materia. In questa mostra era presente anche l’intera collezione dei manifesti cinematografici, che era stata già mostrata in due importanti occasioni, in occasione del centenario della prima proiezione Lumière, la cosiddetta nascita del cinema: alla Sala della Corte del Palazzo Comunale del Comune di Foligno nel 1995 (20 maggio – 4 giugno), per l’Assessorato alla Cultura, e alle sale espositive dell’ex Monte di Pietà di Spoleto nel 1996 (9 novembre – 1 dicembre), per il Comune di Spoleto. Infine, nell’ambito del progetto “Tutta mia la città” promosso dall’Officina della Memoria, in occasione della riapertura dell’ex Cinema Vittoria, dopo lunga inattività, come sala polivalente “Zut!”, nel 2014, furono di nuovo mostrati i suoi manifesti e Tommaso Giri con Emma Tramontana realizzò un breve video (11’) “Memorie del Vittoria” con un’intervista ad Antonietta come figlia del gestore Innocenti  e allo scrivente come spettatore ed organizzatore di numerose rassegne cinematografiche in quel locale. Varrebbe la pena di non disperdere questa collezione e un ente pubblico cittadino dovrebbe accoglierla. Se così non fosse, si potrebbe cercare un’altra collocazione. Mi impegnerò in questo compito. 

p.s. l’effigie di un’opera suggestiva di Antonietta Innocenti “La mela” (2015) occupa lo spazio del mese di giugno nel calendario che il cineclub A(s)trazioni, che presiedo, mette in vendita questi giorni (12 euro), in numero limitato di copie (100): ogni mese l’opera di un artista (Antinori, Battoni, Buffa, Innocenti, Janowski, Klopfenstein, Orru, Querin, Riccobene, Ryan, Serio, Troiani). Se qualcuno volesse acquistarlo, a fin di bene e di estetica, può farlo al mio indirizzo postale (lazzrobb@gmail.com). 

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