
#AMBIENTE
Di Daniela Riganelli
(In foto: rivelazioni ARPA delle polveri sottili (PM10 e PM2,5) nelle città umbre)
Non vedo, non sento e non parlo. Sembra questo l’atteggiamento non solo dei politici locali ma anche della maggioranza della cittadinanza quando si parla di tematiche ambientali, in particolare quando si tira fuori il problema delle ormai famose PM10. Ovvero le polveri fini, quelle micro- e nano- particelle solide disperse in atmosfera di dimensioni inferiori a 10 o 2.5 micron (rispettivamente PM10 e PM2.5).
Il perché le polveri fini siano dannose per la salute soprattutto delle vie aeree superiori, e addirittura sembra che abbiano giocato un ruolo anche nella diffusione del COVID, è ampiamente riportato dalla letteratura scientifica, ma anche dai media. Un solo dato: secondo l’Agenzia Europea per l’ambiente, in Italia l’inquinamento atmosferico è responsabile di 908 morti ogni 100.000 abitanti (il COVID ha fatto ad oggi 112 vittime ogni 100.000 abitanti).
Un’informazione che però ci dimentichiamo, facciamo finta di non vedere, non sentire e di cui non vogliamo parlare quando le possibile soluzioni per abbassarne il livello si ripercuotono sulle responsabilità individuali, chiedendoci indicibili sacrifici quali limitare l’uso della macchina, cambiare sistema di riscaldamento, attivare azioni di risparmio energetico e altro ancora. Da qui parte poi lo scaricabarile, ormai sport nazionale: non è colpa delle macchine ma dei caminetti, no, i caminetti ci sono sempre stati è colpa delle industrie, no è colpa dell’agricoltura, eh no è solo il tempo etc.
La sfortuna vuole, soprattutto nel caso di Foligno, che la “colpa” sia un po’ di tutto e tutti: una colpa bipartisan. Secondo lo studio ARPA risalente al 2016, l’emissione delle PM10 a Foligno dipende per il 20% dal traffico veicolare, 22% dalla combustione delle biomasse (camini, stufe etc), 25% sono emissioni secondarie (nitrato di ammonio proveniente dall’agricoltura ad esempio o altre combustioni) e 33% dal suolo, ovvero da un misto non ben identificato che è suolo urbano e antropico in generale (es: sfaldamento asfalti) ed emissioni naturali.
In questa situazione è chiaro che quando si è verificato il cosiddetto “stato emergenziale” per cui la legge prevede la limitazione del traffico, il 18 dicembre sono scattate le prescrizioni basate sull’ordinanza invernale del Comune di Foligno: chiusura del traffico ad orari prestabiliti per le auto più inquinanti (da Euro 0 ad Euro 3), fatte salve le varie ed innumerevoli deroghe. In ogni caso la misura “emergenziale” non ha portato alcun effetto, anzi tra il 20 e il 22 dicembre abbiamo raggiunto quote rispettivamente di 155, 142 e 155 microgrammi/metrocubo nelle 24h: tre volte il limite giornaliero di 50 e record regionale in quei giorni. Quindi o le limitazioni non sono servite o nessuno le ha rispettate, visto poi che l’informazione non è stata divulgata e tantomeno sappiamo di eventuali controlli.
Nel 2020 a Foligno abbiamo avuto ben 43 sforamenti del limite massimo, ben oltre la soglia di 35 sforamenti possibili, conquistando la terza posizione regionale in termini di aria insalubre (i primi due spettano a Terni). Non solo: anche il dato delle polveri ultrafini, le PM2.5 mostra una crescita inquietante, registrando a Foligno il secondo dato medio più alto della regione.
Tolta quindi l’unica variabile che non siamo in grado di controllare, quella atmosferica, alla quale siamo tentati di addossare tutte le colpe proprio perché indipendente dalla nostra volontà o capacità di fare le cose, il resto dipende da noi -sempreché, ovviamente, ci lasciamo indirizzare da politiche attive di tutela della qualità dell’aria che respiriamo. E visto che le soluzioni dell’ultima ora non servono, è necessario un approccio integrato, strategico e a lungo raggio, che nel tempo può rappresentare l’unica soluzione possibile. L’impressione però è che servano azioni concrete e non solo leggi; infatti il piano regionale della qualità dell’aria c’è (è del 2013) ed è in corso una sua revisione, ma siamo certi che già ora viene applicato in modo corretto? Le attività di monitoraggio e studio di ARPA ci sono, ma servono a trovare soluzioni condivise a risolvere il problema? Anche le denunce e la comunicazione delle associazioni non mancano e il dossier annuale di Legambiente Mal’Aria ci fornisce un quadro nazionale della situazione, ma anche questo è sfruttato per capire le cause e trovare soluzioni?
Probabilmente si dice e si fa qualcosa, ma rimane lettera morta e non si vuole veramente agire perché dovremmo attivare misure veramente impopolari oppure aggredire la situazione come già stanno provando a fare alcune regioni quali l’Emilia Romagna e il Veneto (quindi basterebbe copiare e studiare?).
Ora è chiaro che problemi complessi come questi si affrontano con soluzioni articolate, su vari fronti (quantomeno traffico e riscaldamento insieme) e in modo strutturale, ma soprattutto partecipato perché l’esperienza ci dimostra che ogni soluzione calata dall’alto non solo è impopolare ma anche difficile da applicare e da verificare.
La soluzione in tasca non ce l’ha nessuno ma certo vorremmo, e parlo a nome della comunità ambientalista della città e della regione, aiutare le amministrazioni a far comprendere ai cittadini i rischi di un’aria insalubre per la salute pubblica e quantomeno avere una contabilità locale delle patologie e delle morti premature che ne conseguono (che ASL dovrà cominciare prima o poi a fare). La priorità sarà trovare soluzioni e strumenti per un drastico cambiamento a livello di trasporti, attivando strategie di mobilità attiva, con vere limitazioni del traffico veicolare inquinante (a Foligno delle circa 40mila auto immatricolate un terzo ha classificazione inferiore a EURO3), non solo a Foligno ma anche nelle città limitrofe. Al contempo bisogna aumentare l’uso della bicicletta, dei mezzi pubblici e sperabilmente del trasporto su rotaia, grande deficit strutturale di questa regione. Contemporaneamente servono misure adeguate anche per i riscaldamenti, in particolare per la combustione della legna, che facciano comprendere la necessità di abbandonare tecnologie inefficienti e che integrino varie tipologie di riscaldamento domestico attraverso soluzioni di divieto/incentivazione che, se attuate in modo intelligente, portano sempre buoni risultati.
Gli strumenti regionali o ad esempio i vari PUMS dei comuni (Piano Urbano Mobilità Sostenibile) o ancora i piani energetici dovrebbero servire prima di tutto a questo scopo: rendere la nostra aria respirabile. Ma vanno prima partecipati, poi attuati seriamente nei territori e infine praticati attivando i controlli necessari per far rispettare le regole.