
#AMBIENTE
Di Mario Lolli
In foto: uno scarico abusivo (foto del 2017).
Chiunque passi nella Valle Spoletana non fa altro, successivamente, che decantarne le meraviglie: le rocche medievali di Spoleto, Trevi, Campello, Montefalco, Giano, Castel Ritaldi, le vestigia romane e medievali di Bevagna, la fierezza rinascimentale di Foligno, le colline costellate di oliveti, i filari diritti di Sagrantino e di Trebbiano spoletino, le antiche e preziose cantine e gli ameni frantoi, le primizie conosciute in tutto il mondo e le grandi varietà gastronomiche. Ci siamo fatti conoscere per la bellezza delle nostre terre e della nostra storia, per un modello di vita garbato, genuino, armonioso e sereno, che ha messo in relazione l’uomo, la natura che lo circonda e lo scorrere del tempo. Insomma una specie di Eden, dove tutto è bello e fatato. Umbria, “cuore verde d’Italia” recitava uno slogan degli anni ‘70. E fato vuole, oltretutto, che la nostra valle e le nostre terre stiano al centro di quel cuore, crocevia della bellezza e dell’incanto da esportare. Almeno ad un occhio superficiale.
Ad un occhio attento, però, questa descrizione suona ingannevole: non sarà difficile accorgersi della mutazione del paesaggio in questi ultimi cinque decenni, dell’incredibile cementificazione che ha unito Spoleto a Foligno e ha reso la Flaminia uno sterminato avvicendarsi di costruzioni e di zone artigianali e commerciali.
In seguito ai rapporti dell’Arpa Umbria, che descrivono un progressivo degrado del sistema idrografico della Valle Umbra Sud e dei conseguenti ecosistemi acquatici, ma soprattutto dopo una serie incessante di disastri ambientali (morie di pesci, sversamenti arbitrari, scoperta di scarichi illegali, colorazioni e condizioni abnorme delle acque superficiali, inquinamento delle acque sotterranee, costante impoverimento del regine idrico dei fiumi e dei laghi carsici), è diventato prioritario un intervento di riqualificazione dello stato eco ambientale dell’intero apparato fluviale. E’ un’esigenza sanitaria ed economica, prim’ancora che ecologica, un intervento necessario per salvaguardare fiumi e piane circostanti, proteggere le coltivazioni che vivono di quell’acqua e difendere il tessuto economico della valle.
La grande antropizzazione che, dagli anni ’60-’70, ha interessato questa vasta area centrale dell’Umbria ha reso questo sistema di acque assai fragile e critico, esposto senza tutele a speculazioni ed affarismi che ne hanno originato il degrado. Le ragioni, in generale, sono attribuibili ad un modello economico incentrato sullo sfruttamento del suolo e della terra, che ha privilegiato un urbanizzazione civile e industriale selvaggia e incontrollata, che in virtù della legge 10/1997 “Bucalossi” è stata utilizzata dai comuni per salvaguardare i bilanci. Più si costruisce e più si fa cassa: un principio pericoloso se mal gestito, che ha messo in ginocchio interi territori e intere economie. La pratica delle varianti dei piani regolatori e di fabbricazione e le costruzioni in deroga hanno prodotto un’edilizia disorganica e illogica, causa ora di gravi dissesti idrogeologici: zone artigianali e industriali ora dismesse, costruite senza lungimiranza, incoerenti con il paesaggio, spesso a ridosso di centri storici di pregio. A questo si assomma la presenza di aziende agro-zootecniche, in alcune zone dislocate fuori dalla portata della depurazione, che scaricando direttamente nei fossi e nei fiumiciattoli hanno aumentato il livello di inquinanti nelle acque, dal Topino, al Clitunno, al reticolo Marroggia-Teverone-Timia.
La risultante è la presenza di metalli pesanti nei sedimenti fini in quasi tutto il sistema idrico della valle: zinco, cromo, arsenico, piombo soprattutto. Non ne sono immuni il Clitunno e vari tratti, soprattutto a monte di Foligno, del Topino. Nelle acque superficiali, in alcune zone ci sono residui di nitrati, fosfati, componenti ammoniacali e azotati in concentrazione molto preoccupante. E poi l’Escherichia coli, batterio fecale che in alte concentrazioni può risultare molto pericoloso, o del tricloroetilene, la trielina, o del tetracloroetilene, presente nelle falde, anche in quelle di media profondità, che ha spinto alcune amministrazioni, tra le quali quella di Bevagna, ad innalzare i limiti di concentrazione delle sostanze tossiche nell’acqua di rete, e autorizzarne la diluizione con acque meno contaminate per renderle “potabili”. A tutto questo si aggiunge la presenza di schiume non meglio identificate, di idrocarburi e di tensioattivi galleggianti sulle acque superficiali, all’interno dei sedimenti e a volte anche nelle falde.

In foto: fanghi rossi sul Marroggia (foto del 2014).
E’ una situazione che sta volgendo al collasso, al degrado totale, difficilmente sanabile con interventi ordinari. Ma non sono bastate le ordinanza di chiusura di alcuni pozzi tra Foligno e Spoleto, le dodici morie di pesci negli ultimi sette anni, gli incendi e incidenti più o meno gravi, le acque colorate, le chiazze di idrocarburi, ecc… a destare la necessaria attenzione.
E’ incomprensibile che all’atto del rifacimento delle pavimentazioni di Foligno si siano separate le acque chiare e le acque scure, per poi riunirle però fuori dalle mura cittadine e convogliarle unitariamente al depuratore del Casone, quando sarebbe stato facile canalizzare le acque bianche nel Topino, che scorre tra l’altro vicinissimo. Ad ogni precipitazione, per evitare il collasso del sistema di depurazione, intervengono due scolmatori di piena a monte del depuratore, che deviano i reflui fognari di Foligno direttamente nell’Alveolo e quindi nel Teverone e poi nel Timia.
Discutibili sono anche il cambio della tipizzazione della prima parte del torrente Marroggia durante l’ultima stesura del Piano Regionale delle Acque, per declassare l’asta fluviale e suoi affluenti e potenzialmente escluderla dagli interventi di riqualificazione della direttiva CE 2000/60, e l’estromissione delle nostre acque dai “Contratti di fiume”. Il “Contratto di Fiume del Topino – Clitunno – Marroggia” era stato, nel 2014, il primo ad essere preso in esame, il primo ad essere discusso, il primo ad avere terminato il primo ciclo documentale, a cui sarebbero seguiti i passaggi progettuali. Tutto questo, a parte un accenno all’inquinamento del Marroggia, è sparito nel maggio del 2020, quando all’interno del Disegno Strategico Territoriale Regionale è stato presentato il Contratto di fiume per il Paglia, al quale si sono affiancati quello del Nera, quello per i territori montani del folignate, quello per il Trasimeno, quello per il Tevere.Il problema dell’inquinamento delle nostre acque non è solo naturalistico, ma investe la sfera dell’economia e della salute pubblica, giacché quell’acqua è prelevata, praticamente in tutto il reticolo idrografico, per irrigare coltivazioni intensive e persino le piccole proprietà ortive che lambiscono le rive dei fiumi e che, con le loro produzioni, dovrebbero essere il punto più alto delle tipicità agroalimentari del territorio, da Foligno a Spoleto, da Trevi a Montefalco, a Bevagna, fino a Cannara, Il Comitato per la difesa dell’acqua e dell’aria di Bevagna, costituito nel 2013, ha all’attivo una lunga serie di indagini video fotografiche e documentazioni sullo stato dell’ecosistema fluviale della Valle, e reclama da tempo la convocazione di “Stati generali sulla situazione dei fiumi della Valle Umbra Sud”, ai quali devono partecipare i vertici politici e tecnici regionali, le amministrazioni pubbliche locali, le categorie imprenditoriali, industriali artigianali e agricole, i comitati e le associazioni di salvaguardia ambientale a .difesa dei cittadini. Siamo assolutamente convinti che solo un grande intervento politico, un cambiamento del modello di sviluppo e un’ampia riorganizzazione gestionale del territorio, con le conseguenti adeguate risorse finanziarie, può determinare un inversione di rotta. Naturalmente, questo grande intervento politico non può prescindere dalla disponibilità, proposizione e ragionevolezza di tutte le parti, politiche, sociali e imprenditoriali, e dalle scelte che sapranno mettere in campo le amministrazioni locali e regionale. Solo con una pianificazione condivisa sarà possibile mettere in campo politiche cautelative che riducano il rischio e salvaguardino le economie locali, in primis i posti di lavoro delle aziende. Ma ci vogliono coraggio, apertura mentale e una coscienza politica nuova, che guardi all’avvenire del territorio e più in generale del mondo.

In foto: moria di pesci sul Teverone (foto del 2017).