
#CENTROEPERIFERIE #CITTAINVISIBILE
Di: Matteo Bartoli
In foto: dettaglio di Sportella Marini
La signora Carla [nome fittizio per tutelarne l’anonimato] ha chiamato al centralino di Foligno Solidale la mattina di Domenica 13 Dicembre. Io avevo il turno del Sabato pomeriggio e ancora non avevo consegnato il telefono al volontario che lo avrebbe tenuto il Lunedì, così mi sono trovato a dover rispondere. E, per essere onesto, ricordo che lo feci anche un po’ scocciato, perché la Domenica il nostro servizio non doveva essere attivo. La signora aveva provato a farsi mandare dei farmaci dalla farmacia comunale a pochi metri dal suo appartamento in un palazzo di Sportella Marini, ma essendo lei positiva in quarantena e non avendo le farmacie abbastanza operatori per offrire un servizio domiciliare, era stata consigliata dai farmacisti stessi di rivolgersi alla Croce Rossa. Ora la Croce Rossa, che è sicuramente più organizzata e meno spontaneista di noi, è basata su una forma di volontariato che non conosco direttamente ma che non esito a ritenere diversa; fatto sta che non risposero. Così la signora richiamò la farmacia che questa volta consigliò di contattare il nostro centralino e qui intervenni io che con la gola ancora secca e la voce rauca risposi e mi feci spiegare le sue esigenze.
Il problema è che la nostra prassi prevede che quando ci chiama qualche positivo o qualche famiglia in isolamento preventivo mandiamo qualcuno dei nostri volontari che ha già avuto il Covid e che quindi gode dell’immunità di cui personalmente ancora non godo, ma in questo caso avrei dovuto svegliare anche il Logista ovvero colui che si procura di trovare un volontario per ciascuna richiesta, senza contare che era Domenica anche per loro. Decisi quindi di munirmi di mascherina ffp2, guanti e gel igienizzante e di andare io stesso. La signora giustamente approfittò dell’occasione e si fece comprare anche delle casse d’acqua. Dopo averle dato scontrino, resto e busta chiusa dalla farmacia, mi spiegò imbarazzata quasi a doversi giustificare che il farmaco che stava aspettando era un calmante che in quel momento stava assumendo perché suo marito era intubato all’ospedale per Covid, che molti nel palazzo si stavano ammalando e che due persone degli appartamenti in cima erano morte. Mi si ruppe il cuore e riuscii a dire solo qualcosa tipo “che disastro questo virus”. Lei intanto era diventata furiosa sostenendo bastasse avvertire gli altri abitanti del condominio del rischio nell’usare l’ascensore per impedire che il contagio si fosse propagato in tutto l’edificio. Come darle torto? Pensai che, con la preoccupazione di un marito anziano in terapia subintensiva, si rischia di non avere il lusso di mettersi nei panni degli altri per cercare di comprendere le motivazioni delle loro scelte.
Ritenni comunque opportuno non assecondare fino in fondo il suo motivato rancore e provai a dirle che la situazione del contagio è assai complicata e che se si abita sotto lo stesso tetto, anche se qualcuno è stato negligente, cosa difficile da determinare visto il tasso di asintomatici e la varietà del periodo di incubazione, è meglio immaginare che lo sia stato in buona fede. Poi le lasciai un volantino del servizio, le dissi di non farsi scrupoli a chiamarci per ogni evenienza e la salutai; lei mi ringraziò e si commosse. Ricordo bene quei suoi occhi e quel suo timbro di voce, ma dovevo restare lucido per impedire di contagiarmi. Così, anche un po’ brutalmente, scesi le scale e prima di rientrare in macchina mi igienizzai più volte le mani avendo cura di non avvicinarle alla faccia e appena tornai a casa, facendomi aiutare da mia sorella senza toccare alcuna maniglia, misi subito i vestiti in lavatrice e mi diressi sotto la doccia. Appena uscito tornai ad igienizzare maniglia dello sportello, volante, cambio e freno a mano della macchina per assicurarmi di non diventare io stesso vettore di contagio di questa infame malattia. Questa è la prassi che replicai quando la signora richiamò il centralino, chiedendo di me, il 23 Dicembre. Intanto un’altra volta, intorno al 18 o 19, aveva chiesto nuovamente aiuto a Foligno Solidale ma io ero impegnato ed era andata un’altra volontaria. Questa volta dedicai più tempo per parlare al telefono. Le chiesi come stava il marito e mi disse che stava molto meglio tant’è che, malgrado avesse ancora bisogno dell’ossigeno, lo avevano riportato. Ne fui sollevato, perché in quei giorni pensavo spesso alla situazione della povera signora Carla, pensionata asintomatica logorata dall’ansia per la salute del marito e immaginavo i pensieri di Aldo [nome fittizio anche questo] lontano da casa, dopo una vita di chissà quale lavoro, che non riusciva a comunicare se non tramite sms coi propri cari per palesare le sue preoccupazioni e i suoi stati d’animo. E poi pensavo a quanto aveva detto la signora sugli altri condomini. La sua poteva essere una reazione irrazionale o istintuale alla paura, poteva essere qualcosa che aveva sentito parlando con la vicina di pianerottolo, poteva essere qualcosa che le avevano messo in testa o che si era messa in testa per naturale autoassoluzione; oppure poteva avere perfettamente ragione e i suoi pensieri potevano essere puntuali e motivati. D’altronde in un condominio, come in tutte le vite associate, le dinamiche possono essere virtuose o negative. D’altronde una pandemia delle vie respiratorie è più facile da fronteggiare se si coopera sotto allo stesso tetto. D’altronde, in Italia come altrove, l’impressione è che, malgrado i leitmotiv, mica è tanto vero che siamo tutti uguali di fronte alla pandemia. Lo sapevo da prima che non è vero che siamo tutti sulla stessa barca: c’è chi vive in case singole monofamiliari chi in piccoli condomini. Lì si rischia molto meno mentre chi vive o lavora in zone densamente abitate ha molte più probabilità di incontrare un positivo nell’arco della giornata, a maggior ragione se per vivere si ha bisogno di lavorare, e mica tutti i lavori sono uguali, specie se si torna a casa stanchi con basse autodifese mentali e fisiche. E insomma la mia testa viaggiava, e sentivo che la signora poteva aver colto parte di verità, e il marito rischiava la pelle ed io ero stato un coglione idealista, dunque un insensibile, a non esprimere la mia più totale comprensione quando tentai di stigmatizzarle lo sfogo. Così fui davvero sollevato dal fatto che Aldo era tornato a casa.

In foto: uno dei palazzi di Sportella
Mi istruì sulla spesa che andai a fare all’alimentari Conad Margherita dove lei era solita andare, trovai una positiva collaborazione del personale che già aveva preparato tutte le buste in un carrello. Alla consegna Aldo non c’era, doveva essere ancora allettato in camera, ma la signora ringraziandomi per la spesa natalizia -si trattava di beni primari per alcuni giorni, poi un torrone, uno spumante, un panettone – voleva darmi qualche soldo dal resto. Io rifiutai, le dissi che il nostro servizio era perentoriamente gratuito e solidale, ma lei insisteva. Le dissi allora che qualche giorno prima, grazie alla solidarietà della comunità folignate, avevamo distribuito ad alcune famiglie bisognose dei pacchi solidali e che, se le faceva piacere, i soldi li avrei destinati per questo. Lei quindi tirò fuori una banconota da venti e me la diede. Io la misi dentro un guanto vuoto per isolarla. Poi ci salutammo. Commossi entrambi stavolta, commossi anche dall’arrivo delle feste che rendeva tutto più simile al lieto fine del racconto di Dickens, la salutai liberatomi dall’angoscia che aveva tormentato i giorni successivi alla mia prima visita. Se sei l’unico o uno dei pochissimi esseri umani che vede una persona isolata -col marito con 99 di ossigenazione- durante il periodo del Natale, le tue parole contano molto. Stavolta che non potevo che aver lasciato un buon ricordo ed un messaggio solidale alla signora Carla, mi sentivo davvero, nel piccolo, un po’ come lo Scrooge che cambia vita. E poi se la signora ha sentito di donare 20 euro al gruppo significa che ho restituito il senso dell’impegno di Foligno Solidale e che ho praticato quello che ci siamo detti fin dall’inizio: non limitarci all’erogazione di un servizio, umanizzare la nostra prassi cercando di far scattare qualcosa di solidale ed emancipatorio fra i cittadini, costruire relazioni laddove il Covid le nega rendendo la vita invivibile per troppi.
Sono tornato, dopo il Natale, per la spesa e per portare la legna per il camino ed ho avuto il piacere di vedere gli occhi luminosi, vispi e vitali del signor Aldo, ma ho avuto anche modo di sentire la sua voce affaticata e il suo respiro affannoso. Lui è ormai negativo ma ha i postumi della pesante fatica trascorsa, la signora Carla ha invece una carica virale che le impedisce di uscire e non so fino a quando dovrà stare in attesa di un nuovo tampone. So per certo che, quando potrò, andrò ad abbracciarli perché non volendolo mi hanno dato una lezione di gran dignità, come solo chi non vuole insegnare niente riesce a fare o come chi per insegnare parte dal guardare sinceramente in faccia l’interlocutore. Non so se ne usciremo migliori, intanto già solo uscirne tutti interi mi pare una discreta vittoria. Ma, se proprio dovessimo continuare con l’abuso di frasi fatte, mi farebbe piacere che non fossero rivolte ad un uditorio semplicemente individuale. Il covid ci ha insegnato che non possiamo continuare a pensarci come soli individui astratti dal contesto. Anzi, ora che la socialità fisica risulta impossibile, abbiamo capito quanto in realtà siamo dipendenti dagli altri, quanto per ritenerci completi e felici abbiamo bisogno di pensarci in relazione alla vita collettiva delle comunità cui apparteniamo. Secondo me, secondo noi, ne usciremo migliori se faremo tesoro di questa lezione. Perciò lunga vita a Foligno Solidale.
[articolo scritto la notte del 2 Gennaio 2021. Aggiornamento: la signora Carla è ora negativa e il signor Aldo fa piccoli progressi. Quanto prima li andrò a trovare]