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Cronaca di un pettegolezzo pericoloso

Che succede se il giornalismo locale online è più preoccupato della vendibilità della notizia piuttosto della sua veridicità?

#INPRIMOPIANO #LAVORO
Di: Lorenzo Monarca


Chi bazzica nei gruppi cittadini di Facebook è stato in questi giorni testimone suo malgrado di una delle peggiori pagine del giornalismo locale mai viste. In sostanza accade che all’inizio della scorsa settimana una ragazza viene ricoverata al pronto soccorso folignate in gravi condizioni. I sintomi sono insufficienza renale ed epatica acuta. Nonostante una prima assistenza in dialisi i medici dell’ospedale di Foligno si rendono conto della gravità della situazione e ne dispongono il trasferimento d’urgenza in elisoccorso presso l’ospedale di Ancona, specializzato in malattie ed intossicazioni epatiche. Questo è tutto ciò che si poteva dire e tutto ciò che si poteva sapere, perché è quanto trapelato dai vari comunicati ufficiali diffusi da Usl Umbria 2. Ma, evidentemente, non era una notizia sufficientemente succulenta per l’informazione online locale. Così ad un certo punto della storia (praticamente subito dopo il ricovero in ospedale) salta fuori che la ragazza la sera antecedente al ricovero ha consumato del sushi in un noto locale della città: adesso la notizia può essere servita. Perché la diagnosi è presto fatta da testate online e laureati all’università di Facebook: avvelenamento da sushi. Chiaramente non è una diagnosi fatta da un medico, non ce n’è bisogno e non c’è nemmeno bisogno di aspettare i bollettini dell’azienda sanitaria: cibo etnico e assenza di igiene nei locali, un sodalizio giornalistico vecchio di decenni, ma che funziona sempre. Rapporto causa-effetto questo sconosciuto, ci verrebbe da dire: perché è come dire che la ragazza da piccola aveva fatto il battesimo e che quindi dopo anni e anni si è rovinata il fegato. Stesso nesso: due eventi consecutivi nel tempo ma non necessariamente correlati da causalità. Però finalmente abbiamo le condivisioni in massa della notizia e una pletora di pesci che abboccano commentando in modi più o meno razzisti non difficili da immaginare contro la categoria dei ristoratori di sushi. Eppure bastava poco: chiedere ad un esperto o semplicemente fare una ricerca in internet per cercare le cause di un’intossicazione epatica acuta. Dalla ricerca il giornalista attento avrebbe visto che l’avvelenamento da ingestione di cibi ha una serie di sintomatologie che però sono a carico di altri organi e che i danni al fegato, frequenti in eccessivi sovradosaggi di farmaci come il paracetamolo, hanno sintomi che solitamente vengono riscontrati molti giorni dopo, quindi in nessun caso un quadro sintomatologico del genere poteva essere imputabile alla cena a base di sushi del giorno prima. Ma questo le testate che giocano al chi arriva prima a pubblicare la notizia hanno omesso di farlo, presi troppo dalla competizione di essere i vincitori della gara al click selvaggio.

In realtà, va detto, esistono anche rari giornalisti che aspettano a rilanciare la notizia e cercano di andare più a fondo. Infatti col tempo si viene a sapere in via ufficiosa che si sospetta per la ragazza un caso di leptospirosi, malattia zoonotica che colpisce tutti i mammiferi e che si diffonde in situazioni di promiscuità, come ad esempio nelle colonie di roditori o tra animai domestici in stretto contatto con l’uomo: questa sì che potrebbe essere una spiegazione più ragionevole, anche se ad oggi ancora non sono stati rilasciati comunicati ufficiali. La voce della leptospirosi comunque nei giorni comincia ad affermarsi ma invece di chiedere scusa per la “diagnosi” errata i nostri amici alcune testate rincarano la dose: continua la pubblicazione di notizie false che accostano la sorte della ragazza alla parola sushi, con tanto di foto. E i commenti si fanno sempre più implacabili: i social non solo danno la diagnosi, ma chiudono anche il caso. Per molti utenti infatti la causa sono i topi che defecano e urinano sul cibo che compriamo in questo tipo di esercizi. A poco servono i tentativi di altri utenti di riscrivere la storia a colpi di razionalità e di nozioni scientifiche. Le conseguenze di questa campagna diffamatoria senza il minimo fondamento sono immediate: gli esercenti, già in crisi a causa della pandemia, denunciano subito che i clienti sono spariti, così come sono evaporati gli incassi, già dall’uscita dei primi articoli. “Di media facevamo 35, 40 ordinazioni a serata, nella serata di giovedì abbiamo cominciato a ricevere telefonate che annullavano le ordinazioni e nella giornata di venerdì ci siamo ritrovati con soli 3 ordini” spiega Lin Jing, proprietaria del ristorante Osaka di viale Firenze, dalle pagine del Corriere dell’Umbria di oggi. Una triste evidenza confermata anche da Yang, titolare del ristorante Tokyo. Lei, insieme agli altri ristoratori cinesi e italiani del settore, ci tengono a sottolineare la serietà del loro lavoro e la qualità delle loro materie prime; una difesa che non sarebbe stata necessaria in tempi normali. Molti di loro stanno valutando la possibilità di agire per vie legali, denunciando le testate che riportando la notizia falsa hanno arrecato un pesante danno di immagine che ci vorrà comunque tempo ad essere dimenticato. Per la serie “piove sempre sul bagnato” la situazione si è ancora più aggravata quando dalla giornata di venerdì la notizia è stata diffusa anche da celebri testate nazionali, diffondendo la diffamazione a tutto il territorio italiano. La ciarla, la voce da bar che diventa elemento di crisi per centinaia di attività già fortemente provate dalla fatica di questi mesi: i responsabili si mettano una mano sulla coscienza e chiedano scusa, che non è mai troppo tardi.

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