
#CULTURA #USCENDODALCINEMA
Di Roberto Lazzerini
In foto: Tela raffigurante Sant’Angela, ora nel monastero delle Contesse
Nel calendario liturgico, il 4 gennaio ricorre la celebrazione della Santa Angela da Foligno, a lungo beata, canonizzata dall’attuale Pontefice il 9 ottobre 2013, in conclusione del lungo processo istruito all’uopo. Così voglio disporre alcuni ricordi, richiamare alcune connessioni, attorno alla figura di questa santa. La clausura per la pestilenza genera in me singolari associazioni, non lo nego, circondato come sono, quasi soltanto da stimoli culturali concentrati e lisergici. Qualche sera fa ho potuto vedere, ahimè in linea, al Trieste Film Festival, che un tempo frequentavo, uno dei film del suo bel programma, quello del serbo Boris Miljkovic, Marina Abramovic. Homecoming (2020, 71’). Nel 2019 l’artista è tornata con una sua imponente retrospettiva a Belgrado, dove era nata (1946), aveva avviato la sua attività artistica e da cui era fuggita (1976), senza tornare più indietro. Nel ritorno, Marina da Belgrado, rievoca una delle sue prime performance, Ritmo 5 (1974), che il regista mostra da un repertorio: una doppia stella lignea a 5 punte giace a terra, in un cortile spoglio, tra l’una, maggiore, e l’altra, minore, arde un fuoco robusto, dove l’artista, stavo per scrivere la santa, getta capelli ed unghie che si taglia con insistenza, infine con un salto audace si getta nel mezzo, adagiandosi come crocifissa e sviene tra i vapori. Soccorsa, dichiara di essere in dispetto per i limiti del corpo corporato di contro a quello immaginale, della loro mancata unità, aggiungo io. Avrei bisogno di altre pagine per spiegare perché, nel vedere questa sequenza, ho pensato subito a Sant’Angela – la più bella donna della valle spoletina in cui la Trinità pausat – cioè all’analogia tra performing art ed esperienza mistica. Forse, però, per un’antecedente che risale alla sua canonizzazione. E ad una serie di tentativi mancati. In quell’occasione, Emanuele De Donno aveva radunato in Viaindustriae, la sua sede non solo editoriale, alcuni, quorum ego, ed alcune (non ricordo tutti i nomi, non esistono verbali degli incontri) per elaborare un quaderno laico che evocasse, come in una seduta spiritica, la Santa in questione e ne rimandasse le esperienze ad analogie e corrispondenze nella contemporaneità. Per quell’occasione mi ero perfino spinto ad una nuova traduzione interlineare di alcuni brani del romanzo À rebours (1884) di Joris-Karl Huysmans (1848-1907), scrittore, critico d’arte, dandy, infine, negli ultimi 5 anni della vita, oblato laico benedettino, in cui rivide il giudizio sulla nostra santa, in verità una polemica contro le pie sdolcinatezze di Ernest Hello (1828-1885), apologista cattolico e traduttore di Angela da Foligno. Il Libro delle Visioni di Angela (così tradotto) è “un libro di una sciocchezza senza eguali”, a suo primo parere, ma nella prefazione della ristampa del suo romanzo più fortunato nel 1904, si corregge: “soprattutto non scriverei più che le visioni di Angela da Foligno sono sciocche e fluide: è vero il contrario. Ma devo dire, a mia discolpa, che le avevo lette solo nella traduzione di Hello, il quale aveva la mania di sfrondare, di addolcire, di snervare i mistici per paura di offendere il fallace pudore dei cattolici. Ha messo sotto pressa un’opera ardente, piena di vigore, e ne ha cavato un sugo freddo e scolorito, mal riscaldato al vapore sulla pallida lampada del suo stile”. Ecco, pensando anche alla lettura angelana di Georges Bataille (1897-1962) nel primo tomo della sua Summa Atheologica (1954, ma in verità scritto nel 1943), avrei commentato l’esperienza interiore, così detta (… emozione meditata. Ma penso meno all’esperienza confessionale, cui ci si è dovuti finora attendere, che a un’esperienza nuda, libera da legami, anche di origine, con qualsiasi confessione…) ad un tavolino della seduta, ma il tavolo non sobbalzò e la Santa non rispose, il tutto si sciolse per un altro tempo, che non venne più. Ne andava della potenza performativa del corpo femminile, in quel giro mancato di sedute, più che del linguaggio, come invece aveva insistito Massimo Baldini in una conferenza Il linguaggio della beata Angela da Foligno il 21 marzo del 1998 all’Auditorium, convocato dal Comitato di coordinamento “La città di Foligno e la beata Angela”: insisteva, tra l’altro, in un profilo del linguaggio mistico, che molto doveva all’inquadramento canonico delle teologie successive, mancando, secondo me, la particolarità angelana, che vive negli stessi anni di Dante, Jacopone da Todi, Chiara da Montefalco, Margherita da Cortona, la cui forte oralità umbra si scolpisce nel pur greve latino ecclesiastico di frater A, anzi scuotendo il suo sequestro religioso.

In foto: una pagina dello spartito di Pier Giuseppe Arcangeli
Il tavolo delle sedute non rumoreggiò nemmeno per Pier Giuseppe Arcangeli (1944), musicista e compositore folignate, da un ventennio fattosi viterbese, a cui chiesi in quell’occasione un contributo. Mi ha ricapitolato l’iter del suo progetto musicale, ambizioso ed impegnativo, Con i piedi dell’amore, che prevedeva dovesse essere rappresentato ed eseguito nella Basilica di Assisi, in una recente lettera (4 febbraio scorso). Invece ne rimase un frammento, ché l’impresa era troppo ambiziosa, a suo dire. E ritradusse da quel latino in volgare due laudi, trovate a margine delle frettolose e spaventate compilazioni del cugino frate A., senza che lasciasse nemmeno quelle in originale; una lauda andò poi a finire in un altro progetto: eseguita e registrata, come Cor in spettacolo di coro e danza nel 2000, in Spagna per un festival di Musica Sacra e ripreso dalla Sagra Musicale Umbra. Lo spartito che mi inviò allora riguarda questo frammento.
Non poteva mancare ciò che manca sempre del corpo corporato a vantaggio di quello immaginale: un progetto cinematografico, perciò.
Enrico Bellani (1942), documentarista folignate ed assistente tecnico di Michelangelo Antonioni negli ultimi film, tentò di realizzare un colossal sulla santa ma nel novembre del 2000 presentò il suo film La mistica Angela (2000 – 61’), prodotto dalla società di produzione Giotto e la RAI, di fronte a cui, oltre la buona prova attoriale di Silvia Budri come Angela, non si riesce a superare l’impressione di osservare un torso audiovisivo – nel doppio senso di torso: ciò che resta del frutto, la parte seminale, dopo che si è mangiato, e la forma di una statua, cui manca qualche parte, sia testa, gambe o braccia, una volta ritrovata o, nell’esecuzione, interrotta. Se fosse stato colossal, con ogni probabilità l’estetica non sarebbe cambiata: qui è all’opera più lo spavento e la prudenza di fratello A. che non la potenza corporale di Angela (trapelante soltanto in una intensa scena), lo spavento del pictor pingens e la prudenza del frater scriptor, che circoscrive nella bellezza del paesaggio e racchiude nelle magnifiche architetture questa potenza, consegnandola ad una apologia, che finisce nell’urna esposta nella chiesa di San Francesco (in verità, nei primi 15 minuti). Questo è l’omaggio che si deve alle committenze, come l’happy end nelle commedie di Hollywood. L’estetica del mezzo (televisivo) è l’equivalente del memoriale di fratello A: bisogna strappargli le parole di bocca per intravedere quell’esperienza. Il film rimane perciò nell’ambito di un buon prodotto televisivo, che non riesce però a respingere il fantasma della grande opera. Più tardi, con altro mezzo, l’assistente alla regia di questo film, Michelangelo Bellani, figlio maggiore di Enrico, che ha intrapreso un’attività nell’ambito teatrale con La società dello spettacolo, ha scritto e realizzato un lavoro teatrale, di ottima qualità (2016), Io sono non amore, ispirato all’esperienza di Angela, con la regia di C. Grugher e la presenza potente di Caroline Baglioni, Emanuela Faraglia, Flavia Gramaccioni, lui stesso, che trasferiscono nella contemporaneità quell’esperienza, avvicinandola alla performatività di cui parlavo all’inizio, tanto da costringermi ad un rovescio della sentenza di Lucian Pintilie (1933-2018), grande regista teatrale e cinematografico rumeno, che cito spesso, in cui si festeggia l’evento audiovisivo e si deprime la ripetizione teatrale. Ora posso dire, anche, che un certo evento teatrale sta all’esperienza mistica come lo spettacolo cinematografico alla pratica devozionale. A riprova di ciò, nel 2019, le edizioni Kurumuny hanno edito un disco Amor mortoconcerto mistico di e con Silvia Pasello (attrice) e Ares Tavolazzi (violoncello e contrabbasso), commentato in libretto da Bruna Filippi e Pier Giorgio Giacché (antropologi teatrali). Il concerto dedicatario riprende un lavoro di Carmelo Bene, mosso da una committenza umbra, nel 1998, che purtroppo non si realizzò (duemila non più mille), per insipienza, in cui l’artista nella tensione e fusione tra azione e visione aduna i più grandi mistici, da Angela da Foligno a Maria Maddalena de’ Pazzi, con San Giovanni della Croce. Nella performance, che poi sarà disco, realizzata a Perugia nel settembre del 2017 per l’occasione “Nessun Bene”, però scompare la performer eucaristica Angela a vantaggio di Maria Maddalena de’ Pazzi e San Giovanni della Croce e il Concerto mistico per il nuovo millennio (forse così il titolo benevolo) si restringe al duetto mistico.
Addenda non trascurabili: nell’aprile (29) e nel maggio (6 e 8) del 1985 l’allora Movimento delle donne di Foligno, attivo dalla fine degli anni 70 e per quasi tutto il decennio successivo del secolo scorso, in occasione del VII centenario della conversione, testimoniando l’interesse laico e femminile per questa figura, promosse tre incontri nella Sala Riunioni (ora Fittaioli) del Comune con due storici, Anna Maria Vacca e Boris Ulianich ed una teologa Adriana Zarri ma non si creò poi quell’auspicata continuità di studi e di interessi nei decenni successivi. Di recente compare un saggio del sociologo Roberto Segatori Il santo come risorsa sociale di riserva. Il caso di Sant’Angela da Foligno, raccolto in Religione e santi in Umbria. Esercizi di sociologia (Morlacchi 2020), a cui rimando, se non altro per saggiarne la tenuta del titolo e verificarne la sostanza in corpore vili, cioè a dire della mancata pienezza della santa nel rispondere alla produttività religiosa. Con questo però si apre un vivace dibattimento e si mette in discussione, almeno per me, l’asserto giovanile marxiano nella lettera a Arnold Ruge del 1843 in cui si afferma la coscienza mistica (l’aggettivo mistica omesso da Pasolini e reintegrato da Fortini nella richiesta dell’intero testo che il primo fece al secondo attratto dal sogno di una cosa che gli servì da titolo per un suo romanzo giovanile) come oscura a se stessa. Tutt’altro. Anzi, è importante non lasciare la santa alle sole cure sacerdotali e a quelle laiche troppo interessate. La santa performer conosceva le prigioni, mentali e corporali, in cui siamo fatti e disfatti. Per questo gridava sulla soglia della chiesa, saltava sulla linea del fuoco.