Cultura Parole e Idee

Il PD, il Sanremo della sinistra

Matteo Santarelli riflette sulla scena politica, dopo la lettura dell'articolo di Roberto Frega "Requiem per il PD".

#CULTURA #PAROLEEIDEE
Di Matteo Santarelli
In foto: Enrico Letta


Qualche giorno fa, Roberto Frega ha pubblicato un interessante articolo dal titolo: Requiem per il PD. La tesi dell’articolo è tranchant: perché gli italiani devono occuparsi dei drammi del PD come se fossero dei drammi nazionali, un po’ come le crisi cicliche di Alitalia? Cito dall’articolo: “Amministratori straordinari si succedono in un caso come nell’altro a distanza di pochi anni, con l’obiettivo di traghettare il moribondo verso nuovi scenari di sostenibilità, costi quel che costi, perché non c’è alternativa. In entrambi i casi viene allora da chiedersi se non sia inutile e controproducente continuare a investire risorse, siano esse economiche o simboliche, in un progetto che non decollerà mai perché troppe sono le contraddizioni che ne impediscono la necessaria trasformazione”. La soluzione proposta da Frega, direttore di ricerca presso il CNRS di Parigi, è semplice: dividere due gruppi politici ormai in disaccordo su tutto, tranne un vago sentire comune nei confronti dei diritti civili, e formare finalmente due partiti che facciano discorsi diversi a parti diverse della società. Questo funziona sia nel caso di una mancata futura alleanza, sia nel caso in cui si riuscirà nei prossimi anni a trovare una qualche quadra elettorale – ad esempio, seguendo per una volta il modello vincente delle destre. Da un lato, una sinistra più o meno radicale, che ha a cuore i temi dell’uguaglianza sociale e l’idea di uno Stato che interviene nelle politiche pubbliche, e guarda in modo positivo all’alleanza con i 5 stelle e forse persino alla leadership di Conte; dall’altro, i liberali che vedono l’avvocato del popolo e i grillini come la sabbia negli occhi, e che da decenni tentano di archiviare la sinistra del Novecento.

Tutto logico, no? Infatti come da copione il dimissionario Zingaretti tiene in piedi la baracca, tirando fuori dalla manica la carta nascosta, ossia: Enrico Letta. Un segretario colto, europeo, che odia abbastanza Renzi da poter essere amato dalla sinistra, e che è abbastanza democristiano da non offrire ai renziani rimasti dentro il PD la scusa per fare una scissione e raggiungere Renzi e Calenda verso lidi più liberali(isti). 

Chiunque abbia sentito il discorso di Letta, concorderà che si tratta di un discorso di livello, che il nuovo segretario ha di sicuro una visione, e che le sue posizioni non possono certo essere ricondotte pienamente a quelle di Renzi. Ma quanto durerà? Cosa succederà quando il PD si troverà di fronte alle questioni concrete relative al blocco dei licenziamenti, al reddito di cittadinanza, al tanto ventilato – durante la prima ondata, oggi il tema è magicamente svanito – ritorno in grande stile della sanità pubblica? E quanto potrà durare la riacquistata serenità di Letta?

Insomma, anche questa volta il PD è rimasto in piedi. E di questo, le persone che invece sperano nel suo tramonto definitivo – tra cui me, che sposo in pieno il ragionamento di Frega – non possono accusare soltanto la dirigenza del partito. Ancora oggi, mancano delle alternative reali. Renzi e Calenda appena escono rispettivamente dalle manovre di palazzo e da Twitter vantano cifre da sinistra radicale; la sinistra radicale a sua volta vanta a rigor di logica “cifre da sinistra radicale”, altrimenti non la chiameremmo così. 

Forse la debolezza dell’offerta politica è uno dei motivi per cui il PD è ormai il Festival di Sanremo degli elettori di sinistra: tutti ne parlano male, ma poi alla fine tutti lo seguono, e la maggior parte finisce pure per (tele)votare il leader di turno.

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