
#SCUOLA #ASCUOLADIBUONSENSO
Di Sabina Antonelli
In foto: Bambini al lavoro – di Sabina Antonelli tratte dall’attività “Piantare la meraviglia nel cuore dei bambini” ovvero scoprirsi foglia, fiocco di neve, fiore, per sentirsi parte di un tutto.
La scuola, in questo momento come non mai, è al centro di ogni dibattito ed è oggetto di mille domande che faticano però a trovare risposte coese, chiare ed esaustive. D’altronde ognuno ha il proprio sentire. Dipende dalle esperienze vissute, dal contesto di riferimento, dal modo di essere e dagli interessi personali ma ciò che riguarda la scuola, in realtà, riguarda tutti e tutte e, quanto meno, bisognerebbe trovare linee comuni di pensiero, di proposte, di scelte.
La scuola è il luogo privilegiato della responsabilità individuale e collettiva, è la bussola che indica i fondamentali punti di riferimento del cammino verso un’identità matura, attiva, aperta all’inclusione, testimone di legalità ed è, o almeno dovrebbe essere, lo spazio di crescita di un’intera comunità. Eppure lo scontro sui temi della scuola è all’ordine del giorno.
Come in tutte le cose, ci sono gli eccessi. Da una parte i fautori della DAD (didattica a distanza), della DDI (didattica digitale integrata), dei LEAD (Legami educativi a distanza) e delle scuole chiuse ad oltranza, dall’altra i sostenitori delle scuole aperte senza se e senza ma, senza distinzione di ordine e di grado, che negano l’esistenza di qualsiasi pericolo o difficoltà.
Personalmente io sono per “il buon senso”. Lo so che questa affermazione farà rabbrividire chi è per la progettazione rigida e minuziosa di obiettivi, tempi, percorsi, traguardi. Il buon senso? Il buon senso è effimero, impalpabile, non misurabile oggettivamente. Non ha parametri, non è strutturato, si basa su elementi inconsistenti, non valutabili. Assolutamente no. Eppure se cerco sul vocabolario la definizione di “buon senso” trovo: “Capacità naturale dell’individuo di valutare e distinguere il logico dall’illogico, l’opportuno dall’inopportuno, e di comportarsi in modo giusto, saggio ed equilibrato, in funzione dei risultati pratici da conseguire”. Non è poi così male no?
Trovo anche: “saggezza applicata alla vita quotidiana”, “capacità di discernimento che ogni persona possiede così da poter prendere decisioni coerenti basate sulla logica e sulla ragione che portino al bene comune”. ll buon senso, per esempio, ci dice che dovremmo condurre una vita più sana. Dovremmo limitare il consumo di cibi spazzatura, eliminare il fumo, camminare, vivere consapevolmente ogni istante, ridere, sorridere, coltivare i nostri interessi e i nostri talenti. Ci dice che se abbiamo un pezzo di carta da buttare non dovremmo lasciarlo a terra, lanciarlo dal finestrino della macchina, mischiarlo con altri rifiuti ma renderlo riciclabile. Ci dice anche che non dovremmo mai usare il cellulare mentre guidiamo, che un bambino ha bisogno di ascolto, di tempi dilatati e lenti, che se il Subasio porta il cappello…pioverà e dunque sarebbe meglio uscire con un ombrello in mano.
Eppure, spesso, ci dimentichiamo di lui. Voltaire affermava che il buon senso è in realtà il meno comune dei sensi. Io penso che spesso noi andiamo avanti per “non senso”, per contrapposizioni, punti presi, paure, diffidenze e non ci rendiamo conto che applicarlo alle nostre azioni quotidiane, in termini di valore, di rispetto e condivisione di obiettivi, ci aiuterebbe a stare tutti meglio.
Applichiamo il buon senso alla scuola.
In questo periodo di lockdown si è lavorato tantissimo, come insegnante posso testimoniarlo, ma veramente questo tipo di didattica è un abito consono ai nostri bambini e ragazzi? Quanto si è allargata la forbice tra chi ha seguito facilmente gli incontri e le lezioni da casa e chi invece non ha potuto farlo per mille motivi, personali, familiari, economici? Le conoscenze e le abilità che gli alunni hanno di certo acquisito con la didattica a distanza, possiamo veramente definirle “competenze”? Magari il buon senso mi suggerisce che la competenza non è una somma di elementi ma è un intreccio, in cui atteggiamenti, comportamenti, valori si sovrappongono e si mescolano con le informazioni e con l’esperienza diretta, vissuta sulla propria pelle, interiorizzata profondamente. Così e solo così, secondo me, si costruiscono competenze di vita. Quali conseguenze dunque avranno i bambini e i ragazzi che sono stati privati della loro vita di relazione, all’interno e all’esterno della scuola? In questo tempo così terribile e strano, sospeso e solitario, imbevuto di paure, problemi e incertezze, essere scuola assume un valore inestimabile e “l’essere”, lo abbiamo imparato da tempo, è strettamente legato al pensare, così come ogni nostra altra azione.
Pensate a quando andiamo a fare la spesa: non scriviamo su un foglietto l’elenco delle cose da comprare? Ce lo suggerisce il buon senso, per non dimenticare niente, per evitare acquisti inutili, per non sprecare tempo nella ricerca di ciò che ci serve. Gli elenchi dunque sono preziosi ma non solo se dobbiamo andare al supermercato. Almeno per me. Io amo scrivere elenchi: di oggetti che sono o sono stati importanti per la mia vita, di sogni che non voglio dimenticare e che mi prefiggo di realizzare, di parole che hanno senso e significato per me, di ricordi che voglio mantenere intatti, di frasi, poesie, pensieri di altri che sento vibrare dentro di me e così via. Hanno tutti una forte potenza evocativa, imperfetta magari, vulnerabile forse, ma densa di significati e sempre attuale. Non sono mai “tempo perso” secondo me. Almeno quelli che nascono dall’osservazione, dall’ascolto, dall’esserci dentro, fisicamente e emozionalmente, immersi nel tutto, senza dare niente per scontato.
Così, se parlo della scuola, mi viene da scrivere l’elenco “Essere scuola è…” e lo condivido con voi in questo mio intervento del mese di marzo. Potrete aggiungere, sostituire, togliere quello che volete: gli elenchi servono a questo. Non sono chiusi ma sono porte aperte, mettono in ordine, una cosa sotto l’altra, ma costruiscono un cerchio perché non c’è un prima, non c’è un dopo: c’è soltanto un tutto. Sottraggono l’inutile, sommano il necessario, fanno fiorire scintille e sanno farsi ponte, facilitare scambi, incontri, conoscenze, mescolanze. Ci aiutano a riflettere e ci indicano la strada, definendo poeticamente concetti che, a volte, rovesciano il mondo. Anche se sono dedicati a qualcuno in particolare, si allungano, si stirano, si accorciano, si allargano e vestono chiunque. Non ci credete? Allora leggete un rigo alla volta e, semplicemente, pensatelo per i bambini del nido, della scuola dell’infanzia e della primaria ma anche per i ragazzi della scuola secondaria di primo e secondo grado.
Ci sono tutti, ci sono sempre.
E c’è anche il tipo di scuola che in tanti amiamo. Basta pensare all’esatto contrario di ciò che è scritto. Ecco…quella è la scuola che dovremmo rifiutare. La scuola della competizione, del distanziamento, dei voti e dei giudizi. La scuola degli sguardi grigi, privi di fiamma, delle lezioni esclusivamente frontali, del “qui ed ora”, delle nozioni (sterili elenchi senza anima), delle prove “oggettive” basate sulla soggettività di chi sta in cattedra, della distanza, della stanchezza. Essere scuola è altro.
Essere scuola è…
- Sentirsi addosso sguardi luminosi, colmi di curiosità, di domande, di sfide con se stessi e con il mondo.
- Accordare voci di biscotto che diventeranno dapprima voci di semi che crescono e, poi, voci di tempesta, come è giusto che sia.
- Guardare piedi che dondolano, che si posano sul pavimento, che non stanno mai fermi e sapere che saranno loro a camminare sulle strade di domani.
- Camminare accanto a bambini e ragazzi sapendo che, a volte, dovremmo portarli sulle spalle ma non ne sentiremo il peso.
- Aiutarli a crescere giocando, meravigliandosi, ragionando insieme
- Invecchiare con loro, sempre giocando, meravigliandosi, ragionando insieme
- Esplorare strade
- Essere nel mezzo delle storie
- Fare magie ed incantamenti
- Ascoltare domande
- Cercare risposte
- Educarci insieme alla felicità
- Sfogliare pensieri
- Osservare orizzonti lontani
- Entrare in punta di piedi nella vita degli altri e poi cantare, stare nel silenzio e agire, se necessario, per determinare cambiamenti
- Piantare semi e aspettare
- Piantare meraviglia e accudirla
- Cucire, cucire e ancora cucire
- Scucire se serve e ricucire di nuovo
- Affrontare una o mille burrasca ma riportare sempre le barche nel porto
- Trasformare specchi in finestre
- Tenere le finestre sempre aperte
- Accogliere il mondo
- Mischiare colori, pensieri, pelle, parole, respiri, sogni
- Camminare lentamente con piccoli passi per non lasciare indietro nessuno e godersi la strada
- Raggiungere ognuno i propri traguardi
- Ringraziare, e ringraziare sempre, chi ci insegna la vita dall’alto dei suoi anni anche se sono pochissimi rispetto ai nostri.
- Guardarli andare e rimanere dietro di loro con le braccia aperte
- Raccogliere sassolini bianchi e riempire le loro tasche perché non si perdano mai
- Essere casa per tutti
- Non arrivare mai che c’è sempre qualcosa da imparare
- Vivere la scuola pienamente, personalmente, dall’interno e non a distanza, con corpo, testa, emozioni, sentimenti, nel rispetto delle reciproche vite, aperte al mondo ma in totale sicurezza.
- Scegliere il Bene, semplicemente.
Ecco, il mio elenco finisce qui. È bello lungo ma non completo e perfetto. La perfezione, infatti, per fortuna non è di questo mondo. Se vi va, continuatelo voi, ve ne sarei profondamente grata.