
#SALUTE #EPIDEMIA
Di Fausto Gentili
Dice il mio medico di base che tra qualche settimana, forniture permettendo, mi chiamerà per sottopormi al vaccino. Astrazeneca, perché sono un uomo di settant’anni e sembra che questo vaccino presenti qualche controindicazione per le giovani donne. Un mese fa, se fosse stato il mio turno, mi avrebbero inoculato un altro vaccino, perché allora sembrava il contrario. Nel mezzo, numerosi andirivieni: sospensioni, incontri, approfondimenti. Qualche divergenza, anche. Ancora oggi Francia ed Italia fanno scelte diverse in relazione alla seconda dose per le donne giovani che hanno ricevuto la prima, mentre il Regno Unito, forte del fatto che quel vaccino lo fanno a casa loro, procede a vele spiegate e senza troppe incertezze verso l’immunità di massa. Insomma, c’è molta confusione, alimentata da un sistema della comunicazione che era malato già prima dell’epidemia, ansiogeno perché vive dell’ansia dei suoi utenti, e che certo non sta vivendo la tragedia come un’occasione per redimersi e, come si diceva un anno fa, “uscirne migliore”..
Ne avremmo fatto a meno, della confusione. Tanto più dopo un anno vissuto pericolosamente come non si vede neanche al cinema. Infatti l’andirivieni delle scelte ha prodotto sconcerto, sgomento, diffidenza. E’ parso a molti che, dopo aver additato prematuramente “la luce in fondo al tunnel”, le autorità sanitarie di tutta Europa abbiano poi esitato a comunicarci una verità sgradevole ma diversa, rivelandocela un po’ alla volta, a pezzi e bocconi, e quando proprio non potevano farne a meno. Molti insomma si sono sentiti (la parola è pesante, ma di questo si tratta) traditi: dagli esperi, dalle istituzioni, dall’Europa.
Questa reazione è comprensibile, per molti versi giustificata, ma non credo che le cose stiano esattamente così.
Perché è evidente (lo era fin dall’inizio, ma bisognava spiegarlo meglio, invece di gridare al miracolo) che siamo tutti al centro di una gigantesca sperimentazione di massa, la quale fornisce via via sempre nuove informazioni, che a loro volta producono ipotesi e previsioni in continuo aggiornamento. Aggiustamenti minimi, ma continui. Perché un conto sono le evidenze che raccogli sperimentando un vaccino su quarantamila volontari, tutti presumibilemte in buona salute, e monitorando i soggetti per qualche mese, un conto quello che impari dopo quaranta o quattrocento milioni di vaccinazioni, e a distanza di anni. Perché la scienza funziona così: non è una collezione di verità accertate e definitive, disposte in bell’ordine nei libri come pacchi di pasta negli scaffali del supermertcato, ma una sperimentazione continua, un’avanzata incerta, per prove ed errori, che si avvale dei risultati già acquisiti per procedere oltre e talvolta contraddirli. La scienza non “trova la via” ma la costrusce: un pezzo alla volta, come i Romani costruivano strade man mano che i loro eserciti avanzavano in terra incognita. Infatti la sperimentazione dei vaccini richiede di norma tempi molto più lunghi, e verifiche ancora più accurate.
Stavolta però avevamo a che fare con una pandemia disastrosa, per la quale non è stata ancora trovata una cura efficace (2,8 milioni di vittime; solo in Italia 35mila nella prima ondata, ed altre 80mila, per ora, tra la seconda e la terza), e che si alimenta di continue varianti, quindi la scelta che avevamo di fronte era secca: ci prendiamo tutto il tempo che normalmente ci vuole, e accettiamo che per due o tre anni si continui ad ammalarsi e morire su larga scala, oppure ci prestiamo a questo grande esperimento di massa. Cavia (almeno un po’) e beneficiario, ciascuno di noi, nello stesso tempo.
Se il problema ci fosse stato presentato in questo modo, credo che avremmo scelto, senza troppo esitare, la stessa strada che stiamo in effetti percorrendo: acquisita la relativa, notevole sicurezza iniziale grazie ai quarantamila volontari della prima fase, e consapevoli del rischio – infinitesimo ma reale – che ogni sperimentazione comporta, avremmo chiesto di essere vaccinati nel più breve tempo possibile. Ma mettere la cosa in questi termini avrebbe significato, per le istituzioni, trattare i popoli da cittadini adulti e, per i popoli, condividere con le istituzioni la responsabilità di una decisione insidiosa ma giusta e probabilmente salvifica: due mezze rivoluzioni in un gesto solo, e infatti non è andata così.
Quanto a me, aspetto il mio turno con una certa impazienza e cerco di non intristirmi troppo per i ritardi, le improvvisazioni, i contrordini, la demagogia, le furbate e le speculazioni; poi, quando il medico mi chiamerà, mi sottoporrò al vaccino con la stessa imperfetta serenità con cui oggi vado a fare la spesa in un negozio semivuoto, sperando che non sia quell’unico altro avventore, proprio lui, a mettere a rischio la mia vita.