Cultura Parole e Idee

Diritti sociali vs. diritti civili

Matteo Santarelli riflette sulla contrapposizione tra diritti sociali e diritti civili.

#PAROLEEIDEE #CULTURA
Di Matteo Santarelli

La contrapposizione tra diritti sociali e diritti civili è uno dei grandi classici delle recenti faide interne alla sinistra. O meglio: uno dei cavalli di battaglia di chi “vuole spiegare a quelli di sinistra come essere veramente di sinistra”. Il ritornello di questa hit, che ormai da anni impazza nelle nostre bacheche, suona così: “la sinistra ha perso voti, sostegno, credibilità perché ha puntato tutto sui diritti civili, fregandosene dei diritti sociali”. 

Visto che siamo nel 2021, ossia in un’epoca in cui è alto il rischio di essere fraintesi e scambiati per iper-liberisti o per sostenitori di Casa Pound se si inserisce una virgola sbagliata, è necessaria una precisazione. Ciò che stona in questo ritornello non è la parte conclusiva, ossia il fatto che grande parte della sinistra istituzionale non abbia fatto abbastanza – usiamo un eufemismo – in difesa dei diritti sociali – leggi: del lavoro. Quello che non si capisce, è perché mai parlare dei diritti civili implichi necessariamente fregarsene dei diritti sociali. Come mai adottare per forza questa concezione a somma zero, per cui se difendi le cause LGBTQ, allora non te ne frega niente del lavoro – come se le trans ad esempio fossero delle entità puramente “civili”, e non fossero invece spesso discriminate anche nel lavoro? Perché creare questa scarsità artificiale di attenzione, per cui una parola spesa a sostegno di una causa, è necessariamente una parola negata a un’altra causa? E inoltre, le ingiustizie subite da una ragazza lesbica in virtù della sua identità sessuale/di genere non fanno parte della sua vita sociale? Sono meno “sociali” perché non toccano la vita del maschietto neo-sovranaro che sbraita contro i diritti civili? La vita sociale dell’ex operaio della Perugina guadagnerà qualcosa dal negare valenza “sociale” ai problemi “civili”?

Non sembrano esserci stringenti ragioni logiche e teoriche all’origine di questo aut-aut. Ci sono invece delle ragioni piuttosto chiare a livello sociologico. A queste ragioni ci introduce la cosiddetta teoria dei cleavages, ossia delle fratture sociali. In soldoni, secondo questa teoria le nostre società sono solcate da spaccature, che tendono a polarizzare ciò che le persone credono, sentono, pensano. Talvolta, queste spaccature sociali si traducono in opposizioni politiche nette ed esclusive, del tipo: o stai da una parte, o stai dall’altra. Numerosi studi hanno dimostrato come il cleavage politico centrale della nostra epoca non sia più quello di classe, quanto piuttosto quello che divide chi beneficia (o pensa di beneficiare) della globalizzazione, e chi non beneficia (o non pensa di beneficiare) di tali processi. Una spaccatura che è stata declinata in varie formule più o meno scientifiche: cosmopolitanismo vs. comunitarismo; universalismo vs. particolarismo; vincenti vs. perdenti; centro vs. periferia; progressisti vs. conservatori, e così via. Queste squadre sono trasversali a livello di classe: il benestante Pillon convive con l’operaio arrabbiato con la delocalizzazione, e assieme si trovano a condividere i video di Byoblu; la ricca Concita de Gregorio difende la legge Zan a fianco del precario gay del nord Italia. 

Giusto? Sbagliato? Mettiamo da parte giudizi morali. Due cose però saltano all’occhio. Primo, questa frattura non conviene molto alla sinistra, che in quanto tale dovrebbe essere poco attratta tanto dal conservatorismo morale e dal finto sostegno alle classi popolari della prima squadra, quanto dallo scarso interesse per i perdenti dell’economia globale, tipico della seconda squadra. Secondo, chi si riempie la bocca di “diritti civili vs. diritti sociali” pensando di essere originale e controcorrente, in realtà è pienamente inserito nel più totale mainstream. Perché ad essere mainstream in primo luogo non sono le singole opinioni, ma appunto le dicotomie, le coppie concettuali/morali/politiche che dominano il pensiero di una determinata società. 

È chiaro dunque che alla sinistra conviene che questa frattura si dissolva, a meno che non si abbia voglia di saltare in uno dei due lati del fosso ideologico. Una scelta che accomuna a parti inverse un Gennaro Migliore e un qualunque integralista dell’incompatibilità tra diritti civili e diritti sociali. Una posizione legittima, che sicuramente porta i suoi frutti a livello di visibilità e rilevanza politica e mediatica, ma che non dovrebbe entusiasmare chi pensa che le ingiustizie, le umiliazioni, i soprusi vanno combattuti in tutte le loro varie forme, senza distinguere tra figli e figliastri. Anzi, tra figli/e e figliastri/e. Oppure: figl*/figliastr*.

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