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Il mio nome è Palestina

La donna e la violenza. La terra e la violenza. Cosa vuol dire essere Palestina. L'editoriale di Maggio di Susanna Minelli.

#EDITORIALE
Di: Susanna Minelli


Sto conoscendo una donna di nome Palestina. E’ giovane, bella, eppure ha un cuore antichissimo. Un cuore che ha sfidato il tempo e che lo ha dominato solo con la forza della propria resistenza. In molti hanno tentato di cambiarle identità, suggerendole, poi invitandola, e infine imponendole nomi e caratteri che non sentiva suoi. Passano i tempi, passano gli anni, le guerre, i dolori, i conflitti, le perdite che si susseguono in maniera vertiginosa e lei rimane lì. Si rimpicciolisce e poi si allarga. Di poco, ma a volte succede. E poi si restringe di nuovo. E ancora. E ancora. Si quieta, si rassegna, si pone al sole, sotto il tiepido sole di maggio, si ascolta. Si risveglia. Chi è Palestina? Palestina è una ragazza violentata. Una terra violentata. Perché tutte le terre sono donne. Violentata una volta, violentata mille. Oggi che si risveglia, che lancia razzi verso il mondo, il mondo la punisce. Le nazioni, gli uomini, le donne, gli apparati. Che nulla sanno della violenza, della privazione, dell’umiliazione. Palestina spesso si auto sabota con queste azioni. Con questi razzi, con questi attacchi, lanciati verso chi è più forte, verso chi non la può capire. O peggio: non la vuole capire. Palestina si fa del male. Ma questo male che cos’è rispetto ad un’ingiustizia mai riconosciuta, ad una violenza carnale e morale? E’ altro male che si aggiunge ad altro male. L’alfabeto che conosce, Palestina, è quello dell’abbandono, del non riconoscimento, del dolore atroce che provoca l’assenza di voce, di speranza, di aiuto. E Palestina si difende con quello che ha. Sacrifica i suoi figli, strazia le sue madri, fa esplodere di tritolo i suoi fratelli. Ma dove porta tutto questo dolore se non ad altro dolore? Che cosa provoca tutta questa morte se non ad altra morte? Che cosa provoca il non voler spiegare l’ingiustizia subita da Palestina, peccato originale dell’Occidente?

Le nazioni, le terre, si comportano come gli esseri umani. Perché sono gli esseri umani. Conosciamo tutti la tragedia immane della Palestina. La sfortuna di essere scelta, perché fragile, come il luogo dove far insediare un popolo, quello ebraico, che aveva subito un’altra fra le più grandi sciagure del secolo scorso: lo sterminio. Bisognerebbe senza dubbio interrogarci a fondo sul perché proprio la Palestina. Una volta trovati i motivi non si potrebbe che dire che la scelta è stata non a caso. Come un individuo forte usa violenza nei confronti di uno debole, così è stato per quanto riguarda la vicenda arabo – israeliana. I forti contro i deboli. I forti che sono stati deboli ma che rimuovono la loro debolezza dal loro inconscio. Il bambino abusato che da grande diventa abusante. E ancora i deboli imprigionati in una gabbia e in un incubo senza fine, e senza speranza. Se non fosse che la resistenza è sempre speranza. Speranza infinita. Fino all’ultima goccia di sangue. Fino all’ultimo fiore che sboccia e che continua a sbocciare.

Che questa speranza ci illumini.

La Palestina è una donna violentata e che non è stata creduta. E’ che continua a non essere creduta. Ascoltata. Il suo grido in quell’aula di tribunale distopica e sfocata, assediata dai grandi del mondo, continua a propagarsi. E’ un eco che ha la voce e il sorriso di un bambino ucciso da un colpo di mitraglia a Gaza. E noi che qui, possiamo recargli aiuto, glielo dobbiamo. Sempre meno con il cuore e con il pensiero. Sempre di più con i fatti. Con la volontà di essere giusti e di praticare il bene. Come quella ragazza che dopo anni di dolore, auto sabotaggi, silenzi, parole ingoiate, decide di parlare. Decide di chiamare quello che le è accaduto “stupro”. E di tornare a vivere. Stanchissima ma con il cuore illuminato da tre flebili candele: quella della Verità, quella della Giustizia, e al centro quella più debole e quasi estinta, ma ancora in vita. Quella dell’Amore.

Questo editoriale è dedicato a tutte le donne vittime di violenza sessuale.

A quelle che hanno parlato subito. A quelle che hanno dato un nome al loro dramma dopo anni.

A quelle che nonostante tutto decideranno di non darglielo.

A quelle che lo stanno per dire.

Ai figli e alle figlie di Palestina.

Alla loro madre Palestina, violentata e straziata.

Alla loro disperazione.

Alla loro resistenza.

A te che leggi, e che credi.

L’amore, la verità e la giustizia sono con voi.

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