Parole e Idee

La scomparsa delle ragioni

Questa mattina mi sono alzato con un buon proposito: leggere con attenzione le ragioni per cui i portuali di Trieste rifiutano il Green Pass obbligatorio, anche nell’ipotesi in cui i tamponi siano gratuiti." La riflessione di Matteo Santarelli su La scomparsa delle ragioni.

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Di Matteo Santarelli
In foto: Il corteo No Green Pass a Trieste


Questa mattina mi sono alzato con un buon proposito: leggere con attenzione le ragioni per cui i portuali di Trieste rifiutano il Green Pass obbligatorio, anche nell’ipotesi in cui i tamponi siano gratuiti.  Ammetto la mia totale ignoranza rispetto alle condizioni di vita e lavorative di chi svolge un lavoro del genere, e quindi la mia cecità verso le questioni che l’introduzione del Green Pass obbligatorio può produrre in tal ambito.

Mi sono dunque messo a cercare su Google, Facebook, Twitter e via discorrendo degli articoli e dei commenti che spiegassero più in dettaglio le ragioni della protesta. Attenzione: non le ragioni o le cause che qualcuno vede dietro alla protesta – es. sono ignoranti, sono esasperati, sono dei veri patrioti, li finanzia la Cina a sostegno della via della seta. Mi riferisco alle ragioni che questo gruppo adduce per spiegare o giustificare le proprie azioni.

Il risultato di questa ricerca è stato molto deludente. In nessuno degli articoli di giornale che ho letto ho trovato una qualche menzione di tali ragioni. L’unico possibile accenno che ho trovato si limita a una constatazione del tipo: “lo rifiutano perché discriminatorio”. Magari è vero, magari è falso, ma discriminatorio in che senso? Verso chi? Niente di tutto ciò: solo uno scontro tra chi non vuole il Green Pass, e chi non capisce perché altre persone lo rifiutino con tanta veemenza.

Vista la piattezza delle rappresentazioni giornalistiche, ho cercato allora i comunicati prodotti dallo stesso sindacato dei portuali di Trieste. Ma anche in questo caso la lettura è stata deludente. Si capisce bene che i portuali ce l’hanno col governo piuttosto che con i loro “padroni”, e che però si aspettavano ben altro sostegno da questi ultimi. Si capisce che si vogliono evitare violenze, e si capisce che la lotta intende difendere e rappresentare “tutti i lavoratori”. Si capisce che il problema è la discriminazione. Ma come nel caso degli articoli di giornale, poco altro. Non sono riuscito a trovare una motivazione o una ragione un pizzico più dettagliata. I sostenitori della protesta pensano che sia una buona idea non vaccinarsi? Pensano che il fatto che la grande maggioranza degli italiani/e si sia vaccinato non comporti delle conseguenze utili anche a chi non si è vaccinato? Sono per l’obbligo, oppure per la totale libertà di scelta?

Sono delle domande che mi pongo non per criticare – una pratica che trovo sempre meno interessante e produttiva – ma per capire il perché delle loro azioni, e il perché mai una persona che si è vaccinata, magari pure contro le sue paure e nonostante non fosse a rischio, dovrebbe essere o meno dalla loro parte. A nulla serve neanche una lunga intervista di “Radio onda d’urto”, dove un militante di sinistra racconta con dettaglio e rapimento la ricca e varia composizione del movimento “No Green Pass” triestino, e le modalità con cui verrà bloccato il porto. Ragioni apportate a motivazione dell’azione politica? Scarsine, per usare un eufemismo.

Perché questa latitanza delle ragioni – questa “crisi epistemica”, come l’ha chiamata recentemente Ida Dominijanni? Di certo non perché “loro” sono ignoranti, o perché ci sia un complotto che li vuole far passare per degli ignoranti privi di cultura. Basta accendere la TV per vedere iper-laureati totalmente in preda a tale latitanza. In generale, mi pare che la scomparsa delle ragioni sia un fenomeno ben più diffuso. Ogni volta che c’è un conflitto, si presentano due squadre che lottano per vincere non si sa cosa. Se sei parte di una delle due squadre, non hai bisogno di addurre ragioni e nessuno te le viene a chiedere – è come chiedere a un calciatore le motivazioni che lo hanno spinto a giocare per la sua squadra, proprio mentre sta battendo un calcio di punizione. Se non sei parte delle squadre, puoi tifare, oppure attendere confuso in attesa che qualcuno – gli attori sociali stessi, i giornali, i politici – ti presenti le ragioni che motivano le diverse posizioni in campo.

Personalmente, ho delle difficoltà a capire che cosa cambi tra il Green Pass obbligatorio e l’obbligo vaccinale, una volta che quest’ultimo dovrà essere implementato. Come si controllerà se una persona è vaccinata o meno? Quali sanzioni colpiranno chi non adempie a tale obbligo? Si potrà andare a lavorare pur non essendo vaccinati? Inoltre, a differenza di varie persone di sinistra, non sono abbastanza ricco e messo bene lavorativamente da percepire quel senso di colpa verso “gli operai”, per cui ogni cosa rivendicata da un gruppo di lavoratori manuali va accettata immediatamente, per dimostrare che siamo vicini al “popolo”. Questo non significa dare ragione, ma piuttosto assecondare.  Una pratica poco lusinghiera per l’assecondato. E per motivi affini, non nutro nemmeno quel disprezzo automatico, per cui se non capisco perché qualcuno fa qualcosa, allora penso che non ha studiato abbastanza, e che si merita una bella sventolata di libri in faccia. Infine, a livello politico mi sembra chiaro che le misure anti Covid siano progettate e implementate in un modo che viene chiaramente influenzato dagli interessi in campo – nessuno si è filato minimamente gli artisti, gli insegnanti sono stati trattati come degli scansafatiche che non volevano vaccinarsi per restare a casa a fare la Dad in camicia, pigiama e pantofole. Allo stesso tempo, temo che il passaggio all’obbligatorietà sostenuto dai “No Green Pass” di sinistra accontenti una sparuta minoranza – alla quale in termini ideali posso dire di appartenere –, ma in realtà possa dare luogo a reazioni ancora più esasperate, soprattutto da parte delle componenti più reazionarie del movimento.

Ma non è questo il punto. Il punto che mi sembra ci sia una tendenza a non chiedere, né a dare più ragioni minimamente articolate. Le ragioni sono spesso oscure, contraddittorie, non convincenti, intrise di giudizi e pregiudizi emotivi e valoriali. Riconoscere la ragione per cui un gruppo ha svolto una certa azione non significa automaticamente dare ragione a tale gruppo. Ma in totale assenza di ragioni chieste e presentate, rimane solo spazio per scontri diretti e mortali tra due squadre, ognuna delle quali pensa di godere di un pregiudizio morale e intellettuale tale, da non dover neanche perdere tempo a parlare con gli altri, se non per blastarli o asfaltarli.

Uno scenario che la sinistra dovrebbe guardare con sospetto. Invece mi pare che una parte della sinistra abbia abbracciato in pieno lo schema per cui se non colgo le ragioni di un gruppo, allora di sicuro questo gruppo è ignorante e bestiale. Mentre un’altra parte mi sembra invece impegnata a proiettare le proprie romantiche ragioni nel primo gruppo di passaggio che si auto-elegge rappresentante del popolo.

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