Cultura

Il Culturista/22

Ventiduesimo appuntamento con Il Culturista, a cura di Marco Parlato.

#cultura
Di Marco Parlato

Se la narrativa finge di passarsela benino, la poesia in Italia non riesce nemmeno a mascherare la tragedia.

Tuttavia i lettori esistono. Vuoi perché leggere poesia rappresenta uno status symbol culturale considerato esclusivo, rispetto anche alla narrativa. Vuoi perché nel propagandare se stessi sui social pochi versi sono più comodi, più fotografabili, più agili e leggeri.

Una cosa è certa: anche per la poesia si è rimasti a modelli stravecchi. Vale per i lettori, vale per chi la scrive. Ma, per carità, adesso pensiamo solo ai lettori!

Atmosfere bucoliche e agresti, riflessioni sulla natura, l’immancabile e bollita montagna, e mi chiedo perché questi lirici montanari si ostinino a rimanere tra noi, invece di ritirarsi in una casetta a duemila metri, senza internet, senza possibilità di contattare la civiltà, senza ammorbarci più, insomma, noi che amiamo intrufolarci nei supermarket sotto casa con la frenesia di chi sa che mancano sette minuti alla chiusura – se questa non è poesia!

In tale scenario, poco meno di dieci anni fa divenne popolare, nel senso che anche i grandi media ne parlano, e la diffusione diventa di massa, l’opera di Wisława Szymborska.

Sia chiaro: in Italia era stata già tradotta, il leggendario Vanni Scheiwiller la pubblicò prima che le fosse assegnato il Nobel.

Eppure la moda esplose quando Roberto Saviano la nominò su Rai 3.

Da allora in poi gli italiani si scoprirono appassionati di una poetessa che aveva scritto le sue opere molti anni prima, in contesti culturali e storici lontanissimi dai nostri, ma che, vuoi l’ascendente di Saviano, piaceva tantissimo.

E in quanto libraio all’epoca, dirò anche che vendeva.

Oggi sopravvive questa ondata divenuta un piccolo mare accogliente, e allora mi è sembrato interessante togliermi una curiosità.

Non mi spiegavo come la poesia di Szymborska, spesso sottile e ironica (anche verso Dio), molto volentieri urbana (musicisti, cinema, stanze di casa e d’albergo, strade, ecc…) potesse collimare con i lettori descritti sopra, avvezzi ai “fiorellini gialli”, come diceva il buon zio Pjotr a Aleksandr in “Una storia comune” di Gončarov.

Ebbene, cercando italiani che citano e fotografano versi di Szymborska, ho scoperto che, grazie alla vasta produzione oggi fruibile, sono riusciti ad addomesticare una poetica ampia e complessa alla loro ristretta visione.

Le citazioni hanno quasi tutte a che fare con alberi, fiori (sic!), animali, il mare e il vento, la sabbia e la terra. Quando non è così, la banalizzazione di scelta si concentra su brevi versi che citano sentimenti drammatici: disperazione, pianto, tristezza, precarietà della vita. Ovviamente tolti da un contesto che potrebbe essere il più vario possibile.

Qualcuno verrà a dirmi che è comunque un bene la diffusione della buona poesia, anche se non compresa.

Io risponderò che ciò non mi impedisce di rattristarmi, e di pensare che la poesia non è solo nei fiorellini e nella pioggia, nei silenzi assordanti e nei brividi caldi; la poesia è in un film in scaricamento sul Torrent, arrivato al 99%, quando la ragazza che aspetti per guardarlo ti manda un messaggio: “Non vengo. Tra noi è finita”. Il file arriva al 100%, fai partire il film e vai via, forse a letto, forse a cercare rifugio nelle strade, mentre gli attori recitano le loro parti per un pubblico assente.

Per scrivere al culturista: ilculturistafoligno@gmail.com

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