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Natale, la parola ai bambini (Seconda parte)

La parola ai bambini, nelle loro lettere a Babbo Natale. La seconda parte della raccolta a cura di Sabina Antonelli.

#ascuoladifuturo
Di Sabina Antonelli
In foto: Un disegno di Natale.


Un racconto breve

LETTERA A BABBO NATALE                           

Era una fredda serata di dicembre e nell’intenso silenzio che ricopriva la piccola città, si poteva udire il sibilo del vento, come fosse una tagliente spada sfoderata dalla propria guaina. Una moltitudine di fiocchi candidi scendeva impetuosamente, fino a ricoprire ogni millimetro delle strade serpeggianti e dei tetti delle case e dei palazzi. Il campanile segnava la mezzanotte, e tutto era quieto e buio. Al centro della piazza, adorna di lucine simili a piccole e vivaci lucciole in un campo d’estate, svettava un immenso abete decorato da palline variopinte. Nonostante fosse tardi, Maria era ancora sveglia ed era seduta alla scrivania della sua camera per scrivere la lettera da inviare a Babbo Natale. Era in realtà da un po’ che stava cercando di farsi venire in mente qualche idea, ma non c’era nulla da fare… era indecisa tra tanti regali: “Una macchina fotografica? Un giocattolo? Un tablet?”. Poi decise di desistere, perché era ormai quasi l’una di notte. “Sarà la stanchezza che mi impedisce di ragionare lucidamente, forse dovrei andare a dormire e tentare domani”. Rimase per un po’ a contemplare la fiamma scoppiettante che danzava gagliarda nel camino, per ammirarne i riverberi, che in qualche modo la rilassavano e le infondevano nel corpo un piacevole tepore. Si coricò a letto, guardando dalla finestra la neve calare e poi, lentamente, le palpebre si chiusero.

Improvvisamente si sentì stordita e confusa. Tutt’intorno a lei un buio pesto le premeva sul corpo esile di bambina, quasi da essere tangibile. Non poteva muoversi, e sotto di lei non c’era nulla: era sospesa nel vuoto. Avrebbe voluto gridare per chiedere aiuto, ma tremante com’era e con la paura che le corrodeva la gola, non riuscì a proferire parola. Passò del tempo e Maria iniziò ad udire dei rumori strani, flebili e lamentosi come il pianto di un bambino. Poi un vento impetuoso iniziò ad andarle contro, e si materializzò davanti a lei un vortice di nebbia candida, da cui uscì una figura spettrale: un fantasma di bambino, il cui volto innocente e infantile era attraversato da una profonda cicatrice. Maria era esterrefatta, ma non aveva paura. Quel fantasmino le infondeva soggezione, ma al tempo stesso la rassicurava. Allora trovò il coraggio per chiedergli: -Chi sei? – il piccolo spettro la guardò con occhi colmi di dolore, ma le sorrise ugualmente:-Per ora è necessario che tu sappia solo il mio nome: Ismael- Le prese la mano, una mano gelida e incorporea. Non seppe come accadde, ma si ritrovò sospesa in aria, leggera come non mai, mentre il cielo nero come la pece e pieno di stelle la sovrastava. Che bella sensazione! Peccato che durò poco. Un freddo pungente iniziò a colpirla violentemente, e Ismael la adagiò su un’immensa distesa ghiacciata. -Dove siamo?- chiese Maria. -Non fare domande: osserva.

La bambina si guardò intorno: il mare era molto bello, limpido e cristallino. Ma non rimase stupita per la magnificenza dell’acqua, bensì per ciò che vi era al suo interno: migliaia e migliaia di oggetti in plastica. In mezzo a questi, si poteva scorgere una moltitudine di pesci privi di vita, talvolta trafitti da pezzi di spazzatura. Improvvisamente si levò in aria un ruggito, carico di sofferenza. Un orso polare grande e maestoso, la stava guardando tristemente, mentre il pezzo di ghiaccio su cui era si stava sciogliendo, presentando piccole crepe ovunque. Tiepide lacrime iniziarono a solcarle il volto, ma improvvisamente si trovò catapultata in un luogo totalmente diverso: ora era in una stanza stupefacente, arricchita da una ventina di candelabri in oro massiccio, dove ardevano candele finemente decorate. Al centro vi era una tavola riccamente imbandita di ogni ben di Dio e intorno a questa erano riunite delle persone vestite elegantemente. Sembrava si stessero divertendo, mangiando e ridendo a crepapelle. Ogni tanto pezzi di cibo cadevano a terra, come fossero parti insignificanti, e nel mentre una madre consegnava al figlio paffutello un regalo impacchettato da una carta lucida e scarlatta, Ismael le prese nuovamente la mano e lo scenario mutò. Il caldo era insopportabile. La pianura in cui ora si trovava, ricoperta di terra arida e di erba secca e giallastra, era costellata da enormi acacie e sequoie e, in mezzo a queste, spiccavano piccole capanne fatiscenti realizzate con canne di bambù e fango. Da una di queste, uscì una donna dalla pelle scurissima, che indossava un kanga ocra. Teneva in braccio suo figlio, un bambino scarno ed emaciato, che giaceva esanime tra le braccia della madre. La donna aveva gli occhi gonfi per il pianto e lanciò verso il cielo un grido carico di tutto il terrore e la disperazione del mondo, mentre teneva stretta a sé quella semplice creatura, come se non volesse rassegnarsi. Maria fu immediatamente colpita da una malinconia sconosciuta e da uno stato di impotenza, che non aveva mai provato prima. Il fantasma l’abbracciò per consolarla, e la portò in un altro posto. A giudicare dai colori soffusi, doveva essere chiaramente in un reparto di terapia intensiva. In un angolo era posto un letto ove un uomo giaceva collegato ad un respiratore. Il rumore rimbombante dei monitor dava alla testa. Un equipe di medici ed infermieri bardati da una tuta protettiva entrava ed usciva dalla stanza tentando di strappare alla morte il malato. Si sentivano grida di dottori che davano ordini e che rendevano l’atmosfera ancora più tesa. Maria rimase inorridita, e all’ingresso, sulla porta, notò che vi era scritto “Reparto Covid-19”. La bambina si voltò verso Ismael e lo guardò tristemente. Il fantasma l’afferrò di nuovo. Ora l’aria fresca della notte le sferzava il viso. Maria osò abbassare lo sguardo, e quello che vide la lasciò scioccata: al centro della distesa agitata di acqua vi erano dei barconi e, accanto a questi, migliaia di persone tra cui bambini che annaspavano cercando di salvarsi. Non ebbe nemmeno il tempo di osservare bene la scena, che atterrò in un posto strano. L’aria era densa di polvere, e sembrava di colore grigiastro. Il cielo era ricoperto da nuvoloni colmi d’acqua. Quando vide lo spettacolo sanguinario che le si stagliava davanti, lanciò un urlo talmente forte, che quasi perse tutta la voce. Davanti a lei, si estendeva una vastissima pianura secca, piena di cadaveri esanimi ed esangui. Tutti avevano uno sguardo vuoto e insignificante, inespressivo. Guardò Ismael, e notò che la sua cicatrice stava sanguinando copiosamente: ora era una lacerazione vivida e reale. -Io sono morto proprio qui Maria, in mezzo al ruggito di una bestia feroce: la Guerra. D’improvviso si fece tutto buio, e la bambina si destò di soprassalto. Stava sudando. Sospirò. Poi prese un foglio e una penna e si sedette alla scrivania. “Ora so cosa chiedere” e iniziò a scrivere: “Caro Babbo Natale…”.

Maria, scuola secondaria di primo grado Carducci

Messaggi brevi quasi twitter

La scuola che vorrei è una scuola dove si possono fare più attività pratiche utilizzando magari anche più tempo per l’arte e dove si possono fare a volte lezioni all’aperto così da diminuire il rischio del contagio.

Paolo scuola secondaria di primo grado Francavilla

Caro Babbo Natale

Vorrei che la scuola fosse più colorata, senza le mascherine e stare tutti insieme, nel senso tutte le classi insieme per il resto mi piace così com’è.

Isabel scuola primaria Piave

A me piacerebbe che la scuola fosse così com’è, senza mascherine, con più attività di gruppo, con i banchi ravvicinati come ci faceva fare la maestra. La mia scuola ideale è senza il covid con più attività di gruppo e facendoci fare in primavera e in estate attività all’aperto.

Federico scuola primaria Piave

Caro Babbo Natale

Quest’anno non vorrei chiederti qualcosa per me ma vorrei chiederti la pace in tutto il mondo e che non ci fossero disuguaglianza tra le persone

Lorenzo scuola secondaria di primo grado Galilei

Caro Babbo Natale, quest’anno desidererei che tutti i bambini possano vivere in una casa con la propria famiglia e che tutti possano avere una buona scuola, delle maestre che siano brave e degli amici simpatici come quelli che ho io. Mi piacerebbe che ci sia la pace in tutto il mondo e che tutti possano vivere felici insieme. Grazie di tutto,

Gaia, Scuola primaria San Giovanni Profiamma

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