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Di Lorenzo Capoccia
In foto: La locandina della mostra a Palazzo Trinci.
Il termine simbolo deriverebbe dal greco symballo, letteralmente “mettere insieme”. In tempi antichi infatti, per consolidare un accordo o un’alleanza, i due contraenti del patto si dividevano un pezzo di terracotta, conservando la propria parte come memoria fisica dell’accordo appena siglato. Colui che osserva un’opera simbolista si pone esattamente sullo stesso piano, firmando un accordo con l’artista: da una parte l’idea e quindi la forma definita dai simboli inseriti dall’autore, dall’altra l’osservatore (erudito o meno) incaricato di coglierli, aggiungendovi poi la propria interpretazione personale.
Il preambolo etimologico si rivela necessario nell’introduzione di un artista che risulta emblematico all’interno delle nostre mura. Ivan Theimer è una sorta di folignate “internazionale” che ha saputo capire i limiti e le capacità della nostra comunità, producendo dei veri e propri pezzi unici, dotati di individualità e singolarità, tuttavia del tutto inseriti in un contesto collettivo e di insieme come d’altronde lo sono le vie principali di un centro cittadino. Le sue opere “riempiono dei vuoti”, sono evocatrici di un passato non troppo lontano, presente ancora nei meandri della memoria, ma che ha bisogno di una lieve spinta magico-esoterica per essere di nuovo visualizzato e quindi rivissuto.
Chi, passando per via Gramsci negli ultimi anni, non si è fermato almeno per una volta a contemplare quella che ormai viene comunemente definita “fontana delle tartarughe”? Oppure, chi, per almeno un attimo, non si è fermato a pensare cosa rappresentasse quell’Ercole con l’Obelisco in via Rinaldi a ridosso dell’ex Teatro Piermarini? Non può quindi stupire la locazione di tali opere: la prima (intitolata Ricordo del Dolore Umano) al centro di Piazza don Minzoni, letteralmente “al posto” di palazzo Rodati, distrutto nel bombardamento del 1944 e la seconda, vicino ad un edificio caro a tutti i folignati e dedicato ad uno dei più importanti cittadini della nostra comunità, l’architetto Piermarini.
Questo dialogo, breve o lungo che sia, tra opera e comunità rappresenta il raggiungimento dell’obiettivo dell’artista. La nascita di tale legame introspettivo tra osservatore e autore certifica la potenza evocativa che i simboli ancora hanno (e per sempre avranno) nei confronti dell’animo umano, in cui tutto è possibile e anche dicotomie paradossali per definizione coesistono in armonia. Etereo e concreto, storia e mito, inanimato e vivido, passato e presente si amalgamano in un miscuglio omogeneo capace di penetrare nel profondo dell’inconscio, così come le fondamenta di queste due importantissime opere scultoree si radicano all’interno della nostra città e della nostra comunità.
E, in piena ottica simbolista, il “patto” di cui si parlava in precedenza non viene meno.
Theimer, forte della sua rilettura in chiave contemporanea di “dogmi” figurativi di “moreauniana” memoria, tipici degli orizzonti decadenti, mitologici, eterei, sporchi, ma fiabeschi, che hanno preso piede dalla poetica e dalla letteratura cruda ed esplicita di Mallarmé e Baudelaire dalla seconda metà dell’Ottocento europeo, emerge come un esponente di primo ordine nella scultura simbolista degli ultimi cinquanta anni.
Nato ad Olomuc in Repubblica Ceca nel 1944, egli è scultore, pittore e incisore. Dopo aver studiato all’accademia di belle arti di Uherské Hradiště dal 1965 al 1968, è costretto all’emigrazione in Francia a Parigi, in seguito all’occupazione sovietica. Qui perfeziona il suo stile e la propria tecnica sviluppando quei caratteri artistici che lo rendono particolarmente riconoscibile: l’utilizzo del bronzo e della pietra; la rappresentazione di forme geometriche ben definite, come coni, clessidre e obelischi; la scelta di forme animalesche unitamente a fregi e figurette a tema mitologico (biblico, egizio, greco); nondimeno la riproposizione di putti e angioletti di chiaro riferimento manieristico rinascimentale.
Dal 17 ottobre è possibile visitare la mostra Ivan Theimer. Sacro e Mito, ospitata all’interno di tre magnifici complessi architettonici: l’Abbazia di Sassovivo, il Museo Capitolare Diocesano e lo stesso Museo di Palazzo Trinci. La mostra presenta un’accurata selezione di bronzi, dipinti e opere su carta che costituisce una summa inedita della riflessione sull’iconografia di Ivan Theimer. A Palazzo Trinci sono esposti grandi bozzetti scolpiti in bronzo, argento, cristallo di rocca e pietre preziose relativi a vari interventi monumentali dell’artista in spazi urbani e in luoghi di culto, accompagnati da esclusivi disegni preparatori e carnet di viaggio.
Presso l’Abbazia di Sassovivo saranno visibili imponenti sculture ispirate al tema del sacro. Infine, il Museo Capitolare Diocesano accoglierà una serie di dipinti raramente visibili, o mai esposti prima, affiancati da alcune sculture, che esprimono la forte tensione dell’artista verso il trascendente. Inoltre, all’interno della cripta romanica della cattedrale di San Feliciano, parte del percorso espositivo del Museo Diocesano recentemente riaperto al pubblico, si potranno ammirare i bozzetti in bronzo e cristallo di rocca della fontana monumentale Ricordo del dolore umano ispirata alla forma del fonte battesimale alto medievale conservato nel battistero di San Feliciano. La mostra terminerà il 30 gennaio 2022.
Fonti:
Jean Clair, Montboron Julien, Ivan Theimer. Paesaggi (1970-80), Bora, Bologna, 1980.
Stefano Fugazza, Simbolismo, Arnoldo Mondadori Arte, Milano, 1991.
Vittorino Cadario, Dalla sociologia della religione alla sociologia «religiosa»: una lettura teoretica di Durkheim, su jstor.org, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2004, pp. 385-405.