Cent’anni fa, a Foligno. Dal nostro inviato nel XX secolo/12

#storiaememoria
Di Fabio Bettoni
In foto: La prima pagina de “Il risveglio” del 14 agosto 1921.
Foligno, 12 dicembre 1921. Ai redattori di “La Lotta Socialista”(Roma).
La retata degli Arditi del Popolo i quali, mossisi da Vescia il 3 novembre erano appena giunti a Porta Ancona, ha dato frutti copiosi: da noi, il milite ignoto è stato celebrato l’indomani con tutta la pompa nazional-militarista che mi aspettavo e senza inciampi; il congresso nazionale dei fasci non ha suscitato reazioni particolari, nel senso che nessun movimento antifascista s’è verificato nei giorni tra il 7 e il 10 di novembre (da par suo, il benevolo B., ovvero il canonico Bordoni pio ministro di dio e direttore del foglio clericale, ebbe l’improntitudine di scrivere che il fascio-congresso voleva essere “un monito ai nemici della tranquillità nazionale, una rassicurazione agli italiani che il Fascismo è sempre vivo contro le intemperanze social-comuniste”); il 7 novembre, i comunisti folignati non hanno ricordato pubblicamente il quinto anniversario della Rivoluzione d’Ottobre; l’eccidio di San Lorenzo perpetrato in Roma dai fascisti (9-10) è stato menzionato sulle pagine del settimanale clericale al solo scopo di esecrare la violenza provocatoria dei comunisti: “Certamente se i social-comunisti non avessero avuto interesse a provocare le bollenti schiere [dei fasci], e se queste avessero, con alterezza, disprezzato le provocazioni dei senza patria, le cose potevano andare tranquillamente”.
Oggi torno sui fatti del 7 agosto decorso perché li considero di gran peso nel quadro del conflitto sociale e politico nostrale. La stampa diede risalto ad una frase (sempre che effettivamente l’avesse pronunciata) di una donna di Colle San Lorenzo la quale, vedendo che i fascio-feriti erano soccorsi con impacchi e bagnature d’aceto, se n’era uscita con la rammaricata esclamazione: “Altro ch’acetu, ce vorrebbe lu velenu! (Altro che aceto ci vorrebbe il veleno!)”. Ancora il 14 di agosto un articolista dell’organo liberale monarchico “Il Risveglio”, si stracciava le vesti per “questo truce rammarico”, e si lanciava in una ignominiosa tirata sulle donne e contro le donne in generale, ma in particolare su e contro le donne “rosse” e quelle Ardito-Popolari. “La nostra donna – scriveva – non capisce un cavolo di politica. Essa, politicamente, si adatta all’ambiente in cui è nata, o meglio in cui vive. Se suo padre e suo fratello sono comunisti, anch’essa è comunista, se suo marito e il suo fidanzato sono anarchici, anch’essa è anarchica; insomma essa è, in politica, quello che sono i suoi maschi, ma non sa perché”.

Dopo questa ignobile premessa, ancora una lunga sfilza di contumelie antifemminili e poi l’affondo sulle donne di conclamata prossimità agli Arditi del Popolo, “quel bel corpo di lanzichenecchi”: “Io so di donne che [per la loro] costituzione hanno dato somme non indifferenti, frutto il più delle volte di sudate fatiche e di lesinati risparmi. Hanno dato queste somme con slancio e con spirito di abnegazione veramente mirabili”. Un affondo che, non volendo, risultò un encomio per la dedizione alla lotta propugnata dal loro movimento. Ammirevoli, dunque, ma prive di cervello, succubi di “una psicologia spicciola antifascista”; infatti, costoro “non vanno a indagare per che cosa serva questo denaro: nessuna conseguenza disastrosa le spaventa”. Donne eroiche, dunque, dotate di quella molla che spinge all’azione hinc et nunc, qui ed ora. Quindi il pennaiolo si domanda e si risponde: con quei soldi “ci si acquisteranno armi e munizioni? Non importa. Ci saranno altri morti? Non importa. Altre mamme, altre sorelle, altre fidanzate piangeranno? Non importa. Altro sangue si spargerà per le vie? Non importa”. Domande e risposte in una direzione unica, che vedono nello scontro in atto con gli squadristi non l’inevitabile, conseguente autodifesa proletaria ma un’espressione intenzionale di violenza, foriera di sangue e di morte. Le Ardite, aggiungeva il pennaiolo, hanno una certezza ben radicata: la “donna adulta non ha, non deve avere orrore del sangue”; l’Ardita è ferinamente attaccata al suo uomo, ha un “solo orrore”: “che il proprio maschio, sostegno e ragione della sua vita, sia ridotto uno straccio”. Con una giravolta, dal riconoscimento della mirabile dedizione si passa a negare che nelle Ardite si dia un qualche ideale alla base del pensiero e dell’azione militante; in loro soltanto animalesca e alla fin fine succube colleganza nei confronti dei propri uomini: figli, mariti, fidanzati, fratelli che siano.
L’articolo in questione era firmato collo pseudonimo (che è tutto un programma) “L’unico” (un’eco evidente dall’Unico e le sue proprietà di Max Stirner, il teorico ultraindividualista diventato celeberrimo anche in certi ambienti anarchici da quando nel 1902 se n’è avuta la prima traduzione italiana). Penso si tratti di Giacinto Bullio, laureato in Giurisprudenza (comunemente denominato avvocato), nel 1917 onorificato Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia per meriti che totalmente mi sfuggono. Sempre impicciato con la carta stampata, in quell’ambito può vantare un certo (sia pure non specchiato) curriculum. Insieme a Benedetto Bechelli, avvocato, massone, di orientamento radicale, interventista, morto nella Grande Guerra e decorato, con Bechelli dicevo fondò due periodici folignati dalla vita breve: Rugantino. Artistico Letterario e Politico, di cui si conoscono ventitre numeri usciti tra il settembre del 1908 e il settembre del 1909; La Settimana di Foligno, pubblicato dall’agosto del 1910 all’ottobre dell’11, collegato agli ambienti del radicalismo di obbedienza faziana. Da Bechelli, Bullio si separò nell’estate dell’11 quando dette vita all’Indipendente, monarchico-clericale, che durante la campagna elettorale del 1913 per la Camera elettiva, dette un forte sostegno a Theodoli di Sambuci contro Fazi. Poi, nel 1914, si cimentò con L’Alfiere, espressione del Gruppo Folignate dell’Associazione Nazionalista afferente all’Associazione Nazionalista Italiana; periodico di vita brevissima, del quale assunse la direzione-gerenza, in consonanza con l’interventismo da lui propugnato a livello locale insieme a Gino Pierani e Raffaele Tradardi; un interventismo, almeno il suo, del tutto salottiero e pantofolaio. L’ultimo parto dell’infaticabile Bullio è questo famigerato Il Risveglio, che ha tra i suoi collaboratori annovera Alagenore Maccioni, ragioniere del Comune e amministratore delegato della Società Automobili. Corrispondente, a suo tempo, dell’agenzia Stefani (lo risultava nel 1910), Bullio dovrebbe tuttora pontificare di quando in quando dalle pagine dell’Unione Liberale di Perugia; pontificò dall’Ordine di Ancona e dal Tempo di Roma: ma non so se vi pontifichi tuttavia; dovrebbe avere a che fare (direzione?) con l’Ordine di Orvieto. Un voltagabbana. Un filofascista.

Redattori carissimi, dopo la mia corrispondenza del 5 novembre ultimo passato, mi telegrafaste chiedendomi se fossi in grado di delinearvi (per i vostri riservati cassetti) una topografia, una mappa, delle presenze ardito-popolari in Foligno. Contando sulla vostra riservatezza, e precisando che i “lanzichenecchi” appartengono a una e anche a due generazioni successive alla mia (io sono del ’46), quello che posso dirvi è piuttosto approssimativo. Il 3 novembre, la partenza da Vescia per il centro della città stava ad indicare (secondo me) che su quel paese dovevano confluire militanti di Belfiore, Colle San Lorenzo e montagna appenninica; ma la presenza nel medesimo aggruppamento del folignate Aisa (Feliciano, non Francesco come vi scrissi) residente in via Cortella e dei fratelli Bosi di Sant’Eraclio fa pensare che tutti s’erano accordati sulla scelta di Vescia quale base di partenza. Del resto, nell’area vesciano-belfiorese i socialisti sono stati ben presenti ancora alle politiche dello scorso maggio. In realtà, a quel che sembra, i “lanzi” erano intenzionati a muovere di lì, per poi toccare porta Ancona, e quindi piegare in direzione del Cimitero onde rendere omaggio alla tomba del compagno Augusto Bolletta assassinato dai fascisti nel maggio (come vi scrissi). Non saprei dire se fosse vera l’intenzione soltanto commemorativa dei nostri (del resto coincidente con uno dei giorni dedicati ai Defunti), o non si trattasse di tattica diversiva in vista di una successiva azione militante-militare: ma ciò è secondario; conta, invece, sottolineare che dopo l’arresto, furono tradotti al carcere di Perugia e lì malmenati a sangue. Questa è la verità. In conclusione: se volete un’idea topografica sull’arditismo locale direi che vi è un centro nevralgico in via Cortella con un’irradiazione prevalente nella vasta pianura extra-urbana secondo il circuito insediativo Belfiore-Vescia-Sant’Eraclio. Operai, artigiani minuti, e braccianti agricoli.
Le immagini d’epoca che corredano la corrispondenza di F. Bettoni provengono dall’Archivio privato di Giovanni Paternesi, che ringraziamo caldamente.