La Calamita cosmica di Gino De Dominicis

#cultura #arte
Di Lorenzo Capoccia
In foto: La Calamita Cosmica a Foligno.
Tra le nostre mura, protetto da un grande sarcofago di mattoni e pietra, dorme un mostro. Un’enorme creatura antropomorfa alta quanto un palazzo di sette piani, dalle fattezze umane, ma dal naso aquilino, si distende cauta e placida all’interno del suo sepolcro, in un’inquietante veglia, più simile ad un’attesa che ad un eterno riposo. Un gigante vero e proprio o quel che ne rimane.
La Calamita Cosmica di Gino De Dominicis è un’opera straordinaria, gigantesca e potentissima. Una scultura colossale circondata da una vivida e percepibile aura sovrannaturale da cui anche lo spettatore più scettico è investito. Si presenta come un uno scheletro umano disteso, lungo 24 metri, largo 9 e alto 4, proporzioni eccezionali molto rare, soprattutto per un’opera d’arte contemporanea. L’anatomia delle ossa è riprodotta al minimo dettaglio, fatta eccezione per il volto. Al posto della cavità nasale tipica, dei teschi che siamo abituati a vedere, si staglia un’aguzza ed insolita protuberanza piuttosto simile ad un becco. Curiosa, ma non casuale, la posizione dei palmi delle mani della statua: il sinistro verso la terra, il destro verso il cielo. Delicatamente posato sulla punta del dito medio di quest’ultima si può notare l’unico elemento “inorganico” della composizione, un’asta metallica dorata, alta quasi il doppio dell’opera, che si erge perpendicolarmente al corpo in un perfetto ed innaturale equilibrio statico.
La scultura è molto singolare e di certo rappresenta un unicum di difficile decriptazione. Ma si sa, gli autori lasciano sempre degli indizi e molto spesso si divertono a “fare esercizio della propria cultura” lanciando qua e là messaggi più o meno ostentati per testare la nostra. Un artista del calibro di Gino De Dominicis non è di certo da meno e per leggere e capire la sua opera è ai dettagli che dobbiamo prestare attenzione. Quelli che ci permettono di riconoscere i tratti ricorrenti, le caratteristiche e le storie che l’autore vuole in effetti rappresentare. Ecco quindi che quel becco trova una spiegazione plausibile nella volontà dello scultore di voler far evadere alla legge di gravità tutta la sua opera, permettendole il raggiungimento del desiderio più profondo del genere umano, il volo. Un sogno che tuttavia rimane tale e che trova effettiva concretezza nella sua impossibilità. Obiettivo doppiamente raggiunto qualora volessimo accomunare all’assenza di gravità anche il forte senso di leggerezza del tutto innato nell’immagine dello scheletro, ma allo stesso tempo contradditorio nell’immagine carica di peso del gigante. Lo scheletro è qualcosa di vivo e pensante. La sua coscienza è attiva e connessa con il cosmo grazie all’equilibrio che riesce a mantenere con esso, equilibrio simboleggiato dall’asta dorata perfettamente stabile, nonostante il suo punto di contatto con la terra sia tanto piccolo. Uno sforzo accomunabile ad un esercizio circense, difficile per chiunque, ma non per chi è vigile, determinato e in armonia con la realtà. Tutto questo pone l’opera su una dimensione completamente diversa dalla nostra, ma ancora visibile. Una dimensione in cui l’impossibile è realizzabile, in cui i limiti del genere umano (proporzioni, peso, volo e morte) sono superati e dove anche le leggi naturali (fisica, gravità, tempo) vengono del tutto superate.
De Dominicis è stato un personaggio controverso, dissacrante e a volte contraddittorio la cui filosofia artistica è totalmente indipendente da quelle che furono le tendenze principali che riguardarono la seconda metà del Novecento. Egli non amava etichette di stile e preferiva distaccarsi sia tecnicamente che moralmente da quell’omologazione strutturale che in qualche modo poteva braccare le sue capacità. La sua vita, il suo stile, il suo modo lavorare, persino la sua morte sono avvolti da un denso alone di mistero che non solo circonda, ma che permea in profondità tutte le sue opere. Inoltre il suo fermo rifiuto nel riconoscere il valore documentario e pubblicitario della fotografia ha contribuito enormemente all’oscurità che caratterizza la sua carriera. Tuttavia, questa condotta di vita e le convinzioni a cui rimase per sempre coerente hanno garantito la purezza e l’unicità delle proprie opere: pezzi formidabili pregni di significato, non contaminati da affiliazioni o omologazioni esterne, magici e misteriosi, dotati di individualità ed identità definite e La Calamita Cosmica è di certo annoverabile tra queste. L’opera fu infatti realizzata nel più totale riserbo e fu presentata per la prima volta al pubblico nel 1990 nel cortile della Reggia di Capodimonte a Napoli. Successive esposizioni dell’opera, nel frattempo acquisita dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno, furono realizzate anche ad Ancona, Mole Vanvitelliana (2005), Milano, Palazzo Reale sagrato del Duomo (2007), Parigi, Reggia di Versailles (2007) e Roma al MAXXI (2010). Oggi è conservata presso l’ex Chiesa della SS. Trinità in Annunziata di Foligno, dopo aver subito un attento restauro.

Fonti:
Tomassoni, Italo, Gino de Dominicis. Catalogo Ragionato, Milano, Skira, 2011.
Charans, Eleonora, Gino De Dominicis. la seconda soluzione di immortalità (l’universo è immobile), Milano, Scalpendi, 2012.