Storia e Memoria

I neri. Dall’onda alla marea.

Sempre più preoccupato, il nostro inviato nel XX secolo, qui alla sua tredicesima corrispondenza, racconta l’avanzata della “marea nera”, dovuta non tanto al (relativo) peso elettorale dei fascisti quanto alla conversione di settori sempre più consistenti di borghesia cittadina e all’emergere di “soggetti agguerriti e famelici di potere”. Tra questi ultimi alcuni personaggi (Romolo Raschi, Agostino Iraci,...) di cui torneremo a parlare nei prossimi numeri. "Noterelle" sul fascismo alla fine dell'articolo.

#storiaememoria
Di Fabio Bettoni
In foto: La prima pagina di Vita, 8 ottobre 1921.


     Roma, 14 gennaio 1922. Ai Redattori di ”La Lotta Socialista”. Giacché mi trovo in Roma per ricerche all’Archivio di Stato (in Sant’Ivo alla Sapienza), vi faccio recapitare brevi manu questa mia a mezzo del compagno***, bidello in quell’Istituto, il quale s’è offerto di fare da “postino” con gentilezza squisita. 

     Vengo al dunque. L’adesione formale al Partito nazionale fascista da parte dell’ingegnere Romolo Raschi, radico-demo-sociale di osservanza faziana e capo dell’Associazione dei Combattenti, avvenuta il 30 dicembre prossimo passato, ha concluso a mio parere la fase di preparazione-assestamento del fascio folignate iniziata in via formale il 23 marzo del Ventuno, ma incubante da qualche mese nella nicchia dell’Unione Democratica Sociale di Fazi, gruppo politico nato e consolidatosi in Foligno tra l’ottobre e il dicembre del Venti. Quale sarà il destino di questo ambiziosissimo personaggio non è dato di prevedere, essendo il campo dei neri brulicante di soggetti agguerriti e famelici di potere, tuttavia ben presto ci toglieremo ogni possibile curiosità in proposito. Il passaggio dei fascisti da movimento a partito, sancito dalla procellosa (e infine violenta) adunata congressuale tenutasi ai primi del novembre scorso, non ha avuto localmente conseguenze particolari all’esterno del Palazzo Candiotti il loro covo famigerato. Del resto, in precedenza, ovvero il 2 ottobre i neri avevano mostrato al dòtto e all’inclita il grado di efficienza organizzativa cui erano giunti qui da noi, nonché baldanza sfrontata, e ripugnante arroganza. Che più!?

     Come vi è ben noto, dopo i “fatti di Modena” del 26 settembre, Mussolini aveva ordinato a tutti i camerati italiani di scendere nelle piazze appunto il 2 ottobre per attestare il proprio fascio-cordoglio e indirizzare un ”mònito” al governo (responsabile ultimo dell’accidentale uccisione nella città emiliana di un fascio diciassettenne e del disastroso bilancio di morti e feriti che n’era seguìto), ma anche a quanti ancora non avessero capito che era giunto il momento di schierarsi dalla parte dei “difensori della Nazione” contro i suoi “irriducibili nemici”. Preceduta da un roboante proclama del 1° ottobre con il quale il fascio-direttorio profanò-imbrattò i muri di Foligno, la reazione adunque si ebbe nella giornata del 2: con una parata vomitata dal Candiotti, un comizio nella piazza Vittorio Emanuele, un corteo lungo le vie cittadine: il tutto sotto il comando di Giovanni Fiordiponti già tenente dei Granatieri, messo da qualche tempo a capitanare le squadracce. Faccio osservare che detto ruolo dipendeva da un provvedimento governativo tendente ad incorporare nei fasci, onde regolarne gli eccessi, gli ufficiali in via di smobilitazione, secondo la circolare del 20 ottobre 1920 di Ivanoe Bonomi ministro della Guerra, uomo infausto di provenienza socialistica. 

     I resoconti inneggianti (si veda ad esempio La Vita; solo la Gazzetta del canonico Bordoni rimanendo silente) hanno esaltato le finestre recanti bandiere abbrunate e a mezz’asta, i membri del Direttorio con il “vessillo” del fascio folignate, le “squadre organizzate di combattimento con i loro gagliardetti”, le bandiere dei Combattenti e dell’Unione Democratica Sociale; notando altresì che il corteo aveva avuto il suo corso “con severa e stilizzata cadenza, che risuonava sicura e decisa, quasi a parlare della volontà e dei propositi di animi turbati ma pur certi” (!!!). In piazza parlarono Agostino Iraci, del direttorio di Foligno, e Felice Felicioni di quello di Perugia. Il gerarchetto fulginate “pronunciò un ponderato discorso denso di pensiero e di mòniti”; il Perugino, dal canto suo, parlò con “una emotività realistica e sicura”, e “seppe porre in palmare evidenza la salutare opera fascista, quando i pavidi, disorientati borghesi vedevano sovrastare la indeprecabile [sic] rovina, opera che oggi si vuol misconoscere perché i panciafichisti si sentono al sicuro”

     La dimenticanza misconoscente della borghesia italiana ma anche nostrana fu il tasto battuto e ribattuto durante la manifestazione. Un Felicioni ammonente e perentorio chiese alla borghesia, la quale “nelle ultime elezioni poggiò sugli scudi del fascio” e ora, “tranquillizzata, cura il volume del portafoglio”, di non stare con le mani in mano rischiando di ritrovarsi “nuovamente sola e disprezzata di fronte al suo naturale inimico”; e di non perseverare in tale atteggiamento, giacché non sarebbe stato il fascio “a sollevarla dall’ondata bolscevica che la minacciò ieri e che dovrà sopraffarla domani perché imbelle ed egoista”. Iraci, poco prima, aveva preso atto dell’assenza dalla piazza di “tanti Cittadini”, dicendosi “punto impressionato” da detta diserzione, dappoiché, a séguito dei lusinghieri risultati elettorali conseguiti dall’Alleanza Nazionale alle politiche del 15 maggio tanti avevano inneggiato ai fascisti, ma “solo in apparenza”. In realtà, “inneggiavano al loro interesse ed alle ricchezze che ritennero assicurate mercé la elezione, per opera fascista, di quelle mezze figure imprecise [sic] dei loro candidati, che avrebbero anteposto l’interesse Borghese a quello Nazionale”. Non sono in grado di verificare il peso elettorale del fascio nel contesto del blocco d’ordine realizzato nelle varie realtà della Penisola, ma osservo che in Foligno mi sembra vi sia stato in modo piuttosto relativo. Il 15 maggio, il blocco fascio-alleanzistico ha ottenuto il 43,4 per cento dei consensi pari a 2.743 voti validi su 6.342 votanti; nel 1919, il blocco non s’era formato ma l’insieme delle forze acclamanti alla Nazione e all’Ordine aveva raggiunto il 33,4 su 4.722 partecipanti al cimento elettorale, coagulando 1.591 adesioni distribuite tra la lista di Alleanza Democratica (1.110 voti) e quella dei Combattenti (481); faccio osservare che i Combattenti aggregarono a sé i repubblicani e i socialisti riformisti, e che per i combattenti Romolo Raschi totalizzò 387 voti ma in tutta la provincia umbro-reatino-sabina non soltanto a Foligno. Scontando le inevitabili variazioni di natura demografica, ricordando che nel ’21 i repubblicani si sono presentati da soli (con a capo Mario Gibelli, già cosegretario nazionale del loro partito), ritenendo del tutto fidelizzati i combattenti di destra e alleanzisti della prima ora, considerando che rispetto al ’19 gli elettori attivatisi nel ’21 sono cresciuti di 1.620 unità, e che il blocco ha ottenuto 1.152 voti in più rispetto alle due liste d’ordine del ’19, i voti fascisti del maggio decorso dovrebbero ricercarsi in un mazzetto di 468 suffragi; e poi, chi può dire quanti siano stati, insieme ai neri ormai usciti allo scoperto, i nuovi elettori alleanzisti e i nuovi combattenti!? Voglio dire che nel maggio ’21 si poteva riconoscere una prima onda fascista, o poco più.

     Ciò che desta non poca meraviglia rispetto alle geremiadi antiborghesi di quel 2 ottobre, è l’invettiva specifica contro le “mezze figure imprecise” dei candidati monarchico-liberali. In tutta la vastissima provincia nostra, i deputati d’area liberale saliti alla Camera elettiva sono stati quattro su sei degli eletti per il blocco fascio-alleanzista, pertanto la borghesia ha fatto il suo dovere: in autonoma specificità. Brillantissimo è  riuscito Agostino Mattòli, secondo degli eletti con 30.787 suffragi personali: medico di chiarissima fama, omeopata, intimo di Giolitti, è originario di Bevagna (un particolare: l’ardito-popolare Argo Secondari è uno dei figli della sorella Aede). Brillantissimo è risultato Giovanni Amici, di matrice radicale, già eletto nel ’19 nella lista del Partito Liberale Democratico capeggiata da Augusto Ciuffelli, guida indiscutibile e indiscussa nella provincia nostra di quella porzione dei liberali ancora fedeli all’antico magistero di Zanardelli. Quelli della mia generazione ricordano bene quanto Amici (il quale tra l’altro è morto nello stesso’21: pace all’anima sua!) si spese (allora giovanissimo studente di Giurisprudenza in Roma) onde venisse eretto il monumento a Giordano Bruno in Campo de’ Fiori, come poi è avvenuto nel 1889 ad opera del celebre scultore Ettore Ferrari, deputato repubblicano con ampio seguito a Foligno. Altrettanto onorevoli risultati hanno conseguito: Luciano Valentini di Canino, nato da una costola dei Bonaparte, agrario tra i più cospicui, avvocato, già sindaco di Perugia; e Aldo Netti, narnese di modeste origini sociali, ingegnere di largo respiro nel campo idroelettrico, già candidato ciuffelliano nel ’19 però senza elezione. Tra gli alleanzisti bocciati va segnalato Domenico Arcangeli, spoletino, avvocato, vice-presidente della Camera di Commercio dell’Umbria (che come certamente saprete ha la sua sede in Foligno), già sindaco socialista della sua città, poi passato al socialismo riformista dei Bissolati, Bonomi & C. In questa veste, domenica 24 aprile ’21 in piena campagna elettorale alleanzista e durante l’adunata promossa nella nostra piazza Maggiore dal fascio locale per dare lustro al gagliardetto sezionale appena inaugurato, fece, come notarono le cronache, “una critica a fondo della follia comunista”. Ad applaudirlo, manco a dirlo, Raschi e il perugino Alfredo Misuri. Altro che “mezze figure imprecise”, dunque! S’ha d’aggiungere, inoltre, che le tre candidature Mattòli-Amici-Netti (ma anche Arcangeli) furono il parto del sagacissimo Fazi, il quale sarà pure un filo-fascista, un traditore del progressismo repubblicano-socialista di Roncalli Benedetti etc. etc., ma non è un coglione! 

     Il primo degli eletti nel blocco fascio-alleanzista è stato l’appena citato Alfredo Misuri con 35.389  voti, il sesto ed ultimo Guido Pighetti con 8.635 consensi personali. Misuri è tra i fondatori del fascio perugino: noi lo abbiamo veduto all’opera per le strade di Foligno nel marzo del ’21 inquadrato nella squadraccia terrificante denominata “Disperatissima” di Perugia al comando di Augusto Agostini. Con largo seguito soprattutto nel Perugino, Misuri, libero docente di Zoologia all’Università di Perugia, è massone ed è un agrario la cui forza elettorale si radica nel suo essere stato ed essere tuttora un nazionalista ferventissimo. Mi dicono che dall’autunno scorso è entrato in rotta di collisione con i fascio-caporioni perugini Giuseppe Bastianini, Felicioni e Pighetti. Staremo a vedere che cosa verrà fuori da questa contesa. A mio parere, nell’intera provincia, i voti fascisti in senso stretto sono andati al Pighetti, romano trapiantato in Perugia, laureato in giurisprudenza, di radice anarchica poi passato al radicalismo, sindacalista nero (attivo anche nelle campagne) insieme a Bastianini e a Felicioni.  

     Ricorderete certamente le fascio-gesta che sono venuto via via descrivendo nelle mie corrispondenze passate; talché entro l’ottobre del ’21, l’onda nera s’era fatta marea. Così dopo matura riflessione (!!!), Raschi ha pensato bene di chiudere l’anno indossando la camicia nera.

PS. 

Mercoledì 11 gennaio, ho assistito alla replica della “Francesca da Rimini” di Riccardo Zandonai al Teatro Costanzi. Checché se ne pensi, appartengo a quel nucleo (ignoro quanto vasto) di comunisti melomani che non vedono contraddizione veruna tra l’amore per la lirica (in me germogliato grazie ad Ovidio, il mio avo materno) e quello per il Sol dell’Avvenire! Ero molto curioso di sentire quest’opera perché si afferma costantemente che l’autore vi ha fatto propria la lezione di compositori diversi, e in effetti s’è sentita persino l’eco di Debussy. Il libretto di Tito Ricordi, rielaborante il poema del Vate Fiumano (all’ultimo suo fuoco per la Duse), mi è apparso peggiore dell’originale medesimo, del resto come poteva essere diversamente!? Entrambi vogliono dire “di sangue e di lussuria”, ma passano dal dramma amoroso (di P. & F.) alla farsa!!!


Fascismo. Nascita e avvento.

#noterelle
Di Fabio Bettoni
In foto: “Nascita e avvento del fascismo” di Angelo Tasca


     Nell’ottobre dell’anno scorso, lo scrittore Antonio Scurati (autore di un romanzo emblematicamente titolato M, iniziale in grassetto del cognome Mussolini, opera, per il momento giunta al secondo volume, che ha suscitato un’eco risonantissima) ha inaugurato la collana “NOVECENTO. Biblioteca della democrazia” per il “Corriere della Sera”. Il primo titolo di questa serie è Nascita e avvento del fascismo. L’Italia dall’armistizio alla marcia su Roma di Angelo Tasca, pubblicato in Francia nel 1938 con il nome di Angelo Rossi e il titolo La naissance du fascisme: l’Italie de 1918 à 1922 (Paris, Gallimard, 296 pp., tre edizioni nello stesso’38). Il libro in discorso è uscito su licenza dell’Editore Neri Pozza di Vicenza che lo ha editato nel 2021, con la traduzione dal francese di Alberto Folin,

     Per un utile approccio all’Autore (1892-1960), suggerisco di leggere la voce Tasca, Angelo dedicatagli da David Bidussa nel Dizionario Biografico degli Italiani (vol. 95, Roma 2019), che si può scorrere in rete oppure alla Biblioteca Comunale “Dante Alighieri” di Foligno. Quanto al libro, la nostra Biblioteca contiene l’edizione pubblicata dall’Editore Laterza di Bari nel 1965 con premessa di Renzo De Felice, notissimo storico del fascismo, in due volumetti (XVI-283; 289-608 pp.). La prima traduzione italiana del libro si ebbe nel 1950, e si dové alla Nuova Italia editrice in Firenze, con il titolo che seguiva alla lettera quello dell’originale francese, ma senza prefazione; nel medesimo anno, la stessa casa editrice mandò fuori una ristampa prefata da Ignazio Silone (LXXXIX-582 pp.). Che io sappia di questa pubblicazione non si ha traccia nelle biblioteche pubbliche della nostra regione; invece, di una successiva ristampa del 1963, troviamo la presenza alla Comunale di Todi. Bisognò attendere la citata edizione laterziana del ’65 per trovare una più ampia diffusione del libro in talune Comunali umbre: Città della Pieve, Foligno, Marsciano, Perugia, Spoleto, Todi. 

     Questa tardiva diffusione a scacchiera nelle biblioteche di una regione rossa, peraltro l’edizione del ’65 non trovò spazio nelle Comunali di realtà rosse come Città di Castello, Gubbio, Terni penso si possa e si debba spiegare con il profilo quanto mai complesso di Tasca, ben noto agli esponenti più informati dell’intellettualità social-comunista umbra con ricadute conseguenti sulle scelte degli Amministratori dei Comuni che dovevano in concreto stabilire l’acquisto dei libri. Intellettualità avvertita in negativo da una rigorosa recensione dell’allora giovanissimo storico Paolo Alatri, comunista, apparsa nel 1951 sulla  prestigiosa rivista “Belfagor” (VI, n. 4, pp. 479-484), poi riversata nel libro che lo stesso Alatri avrebbe pubblicato nel 1961 su Le origini del fascismo (Roma, Editori Riuniti). E quand’anche i decisori non avessero letto la recensione sulla rivista, in privato il libro di Alatri qualcuno doveva pur averlo in possesso, per non dire che copie se ne acquistarono subito dalle Comunali di Perugia e di Terni. (A Foligno, il libro di Alatri approdò nell’edizione del 1977 e solo alla Biblioteca “Lodvico Jacobilli” del Seminario Vescovile.)

     Si legga quanto, in estrema ma puntuale sintesi, scrive Scurati su Tasca introducendo Nascita e avvento. Dopo aver premesso di considerare l’opera una “sorta di manifesto che ispira” l’idea stessa della collana, Scurati afferma: esso è anche “un classico della storiografia sul fascismo, una testimonianza personale e un intervento militante. Tasca, figura straordinaria e controversa, fu, infatti, prima attivista socialista, poi fondatore del Partito comunista d’Italia, quindi esule in Francia dove collaborò con il governo di Vichy e contemporaneamente, con la Resistenza belga”. Ce n’era abbastanza per prenderne le distanze, dunque!

Ma c’è sempre un ma: “Avendo conosciuto personalmente Mussolini ai tempi della comune militanza socialista e avendo personalmente preso parte a tutti gli snodi cruciali della storia che ricostruisce, quando, nel 1938, dà alle stampe in Francia il suo libro magistrale, Tasca compie un atto di scrittura che partecipa a pieno titolo di quella categoria di eventi di cui intende far la storia”. Lo scrivente è pertanto un osservatore partecipante: “Non a caso”, nota Scurati, “Tasca è implacabile – perfino ingiusto, dirà qualcuno – nel narrare gli errori e le tante mancanze di parte socialista (e liberale) che spianarono la strada al fascismo. Nessuno, però, più e meglio di questo reprobo appassionato e inquieto aiuta a comprenderli. Questo paradosso storiografico, che attinge la propria forza di ricostruzione storica alla radicale impossibilità di distanziamento oggettivo, è il miglior libro sulla conquista del potere da parte del fascismo che io abbia mai letto”. La spiegazione del paradosso la si trova nella quarta di copertina, non firmata ma stilisticamente scuratiana: ciò che nel libro “colpisce di più, ed è tuttora un’imprescindibile lezione per la difesa della democrazia, è l’argomentazione delle ragioni sociali della sconfitta del movimento operaio e dell’avvento del fascismo. Le forze socialiste avrebbero potuto impedire la barbarie fascista se avessero fatto propria l’affermazione di Marx per la quale una classe è davvero rivoluzionaria quando essa non è ‘una classe particolare, bensì la rappresentante dei bisogni generali della società’. In questo senso, durante la crisi postbellica, il socialismo fu del tutto assente, col risultato che, avendo la società ‘orrore del vuoto’, se lo si lascia sussistere troppo a lungo, le forze più selvagge, attratte e moltiplicate da esso, si affrettano a colmarlo”. 

     Avendo apprezzato Nascita e avvento sin dagli anni della mia giovinezza (ho la terza edizione Laterza del 1971), concordo in tutto con Scurati. E osservo: trattandosi di un documento testimoniale (oltre che storico), il libro, sin dal suo apparire nella nostra lingua, avrebbe dovuto senz’altro andare tra le mani di tutti quei compagni della base operaia e popolare delle sinistre che fossero stati stimolati a conoscerlo. Ciò non toglie, tuttavia, che non siano criticabili più punti dell’ampio trattato. Ma non è questa  la sede per entrare nel merito.


Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo. L’Italia dall’armistizio alla marcia su Roma, disponibile in varie edizioni

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