Ambiente

Rifiuti, risorse idriche, VUS: intervista a tutto campo con Sandro Rossignoli.

Abbiamo incontrato Sandro Rossignoli, dirigente dell’Autorità Umbra Rifiuti e Idrico, nella sede di Foligno, nello storico palazzo che un tempo ospitava il rinomato Liceo Classico “Frezzi”.

#ambiente
Di Vincenzo Falasca
In foto: La sede dell’AURI in Piazza XX Settembre


Qual è il ruolo dell’Auri e qual è il suo livello di operatività?

A norma di legge l ’Auri è l’autorità regionale di regolazione e controllo dei gestori del servizio Idrico e di quello dei rifiuti.Dal punto di vista degli affidamenti, nei rifiuti c’è una situazione variegata: Auri sta terminando la gara per il SubAmbito numero 1 (Alto Tevere – Città di Castello – Umbertide), dopo una lunga gestazione iniziata nel 2015. Sempre tramite gara sono stati affidati il bacino di Perugia ed il bacino di Terni. Mentre il SubAmbito numero 3, Foligno – Spoleto – Valnerina è in affidamento in-House (ndr:la Pubblica Amministrazione ricorre all’autoproduzione di beni, servizi e lavori, anziché rivolgersi al mercato).

Attualmente quindi i SubAmbiti sono quattro?

Dal punto di vista normativo non ci sono SubAmbiti, l’ambito è unico regionale, il concetto di SubAmbito è esclusivamente connesso alle concessioni, perché nessuno ti obbliga a far sì che se c’è un soggetto regolatore regionale ci sia anche un unico concessionario.  Nel 2017 la riforma introduce l’autorità unica regionale sul modello dell’Emilia-Romagna, del Friuli Venezia,Giulia e di altri. Anzi, da noi, tra idrico e rifiuti il quadro è asimmetrico perché per l’idrico i gestori sono solo tre perché Umbra Acque serve gli ex ambiti 1 e 2, (il perugino -Trasimeno e l’alto Tevere). Valle Umbra Servizi invece coincide con l’ambito dei rifiuti ed ugualmente coincidente è il bacino di Terni.

Tornando alla domanda, l’attività principale dell’AURI è di regolazione e controllo; poi ci sono le gare e gli affidamenti dei servizi, i contratti  e le carte di servizio. La differenza tra acque e rifiuti è importante perché per l’acqua è così almeno da 20 anni: dove c’è una autorità di regolazione regionale o nazionale, questa delibera anche sulle tariffe, che sono completamente sottratte alla potestà dei Comuni. La novità è stata sui rifiuti, i cui piani finanziari, (il documento base sul quale vengono regolare le tariffe), fino al 2019 venivano approvati dai Consigli comunali di concerto con l’Auri mentre oggi sono usciti completamente dall’ambito di delibera dei Consigli comunali. Ad essi oggi rimane solamente la competenza nel deliberare le tariffe, il che comunque non è poca cosa. Dal 2020, poi, è subentrata l’attività regolatoria da parte della ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente): siamo entrati dentro il mercato regolato con un nuovo metodo tariffario e nuove regole: un mondo molto diverso.

I SubAmbiti Umbri

Quindi le tariffe dei rifiuti le decidono i consigli comunali?

I consigli comunali deliberano le tariffe, ma sulla base di un piano finanziario che definisce nei dettagli Il costo del servizio.

Piano finanziario deciso dal gestore?

No, il gestore lo propone e lo adotta l’assemblea di ambito.

E quindi quando mi dicono ad esempio che il nuovo piano industriale della Vus prevede quasi il raddoppio delle tariffe, è verosimile o…

No, il raddoppio delle tariffe non accadrà. ARERA fissa ogni anno un limite tariffario che non può essere superato, anche se può essere parzialmente derogato in circostanze di disequilibrio del gestore e noi qui stiamo adottando una procedura di riequilibrio del gestore VUS.

Quindi posso dire che la voce che gira, che la VUS ha difficoltà a definire il piano industriale e che si prevedono degli aumenti tariffari, è vera?

Non è una voce: lo abbiamo scritto nei documenti deliberati l’anno scorso, sono documenti ufficiali. VUS ha fatto istanza di riequilibrio della gestione, che è uno strumento nuovo che ARERA ha definito e collaudato. Non significa che stai fallendo, significa che quella singola gestione è sottoremunerata e tende verso un problema di qualità e di sotto erogazione del servizio che, come estrema conseguenza, rischia di mettere in difficoltà l’azienda. E che sul lato dei rifiuti l’Azienda sia sottoremunerata è un dato di fatto…

Ma è recente questo problema?

Fino a quando le tariffe erano completamente gestite dai Comuni era difficile adeguarle ai costi di gestione, perché aumentare gli oneri per le famiglie è sempre impopolare, tanto più per una società in house, totalmente pubblica: non per niente i due soggetti umbri che hanno più sofferto sono VUS ed ASM di Terni, entrambi partecipati al 100% dai Comuni. Non sto dando un giudizio, ma un dato di fatto: la moderazione tariffaria che, anche giustamente, la politica ha praticato, non è andata di pari passo con le esigenze oggettive dell’azienda. Ma nel momento in cui comincia a scricchiolare qualcosa è bene porre rimedio. La nuova metodologia ARERA è molto più industriale e scientifica nella determinazione dei costi e della remunerazione: a quel punto emerge il differenziale tra quello che era il limite delle entrate tariffarie e quelli che sono i costi reali. E quando la differenza tra quello che tramite le tariffe corrispondono i Comuni e quello che costa il servizio oscilla tra il 10, 12,13% si accende l’allarme. Già nel 2020 si è chiesto formalmente di aderire alla procedura di riequilibrio che si concretizzerà quest’anno. Questo non deve far pensare che qualcuno fallisce, né che ci saranno aumenti incontrollati delle tariffe: verosimilmente saranno del 6-7%, ma l’ultima parola sul piano finanziario e sull’istanza di riequilibrio, come ho detto, spetterà all’ARERA. Inoltre, visto il livello non ottimale del servizio erogato, anche alla luce dei numeri della raccolta differenziata e dell’indice di gradimento, devi accompagnare il riequilibrio con un piano di riorganizzazione. Non è sostenibile un piano di riequilibrio esclusivamente finanziario, senza dire che lo accompagni il recupero della qualità del servizio. Un po’ diversa è la situazione di Terni, dove la qualità non è la priorità massima, essendo loro, a livello di performance, i migliori dell’Umbria (siamo ad esempio intorno al 74% della raccolta differenziata). Il loro discorso è diverso: mi hai fatto andare al massimo sulla qualità del servizio ma non me l’hai remunerato, mettendomi in difficoltà.

Nel piano industriale come viene giustificata la diminuzione della raccolta differenziata in un periodo in cui tendenzialmente, stando tutti a casa, poteva essere gestita anche in maniera più attenta?

Vus non è andata indietro con i numeri, nel senso che sta lì piantata. Spoleto è passata dal 56 al 59%, alcuni sono in leggero regresso tipo Foligno, ma stiamo parlando di zero virgola. Diciamo che la situazione è asimmetrica: nessun Comune del SubAmbito 3 rispetta il target regionale del 72,3%, e solo 4-5 comuni sono al di sopra del 65% che è il target nazionale. Il resto è al di sotto anche di questo. Mentre l’Umbria, nel suo insieme, è sopra il target nazionale, intorno al 67%. Nell’ambito VUS  siamo al 55%, ben al di sotto, facendo un po’ da zavorra come viene ricordato tutti i giorni in Regione. Certo, ci sono motivazioni oggettive: sei sotto remunerato, ci sono circostanze storiche, c’è stato un terremoto, poi la pandemia e sei rimasto indietro ma adesso i due pilastri sono questi:  approviamo I’istanza di riequilibrio, ti rimettiamo in condizione di fare investimenti ed avere una gestione efficiente, ma tu devi recuperare in produttività: perché una parte importante del delta tra costi e ricavi voglio che lo recuperi con produttività ed efficienza.

Il sotto remunerato di cui parla è semplicemente perché siamo rimasti al di sotto delle tariffe che sarebbero state opportune?

Sì e questo è documentabile con un dato: lo Stato con l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) elabora per noi i famosi fabbisogni standard per tanti tipi di servizi tra cui quello dei rifiuti; ebbene,  il costo pro capite e per chilo  per Vus è sempre sensibilmente più basso rispetto al fabbisogno standard. Per capirci: a Foligno dovrebbero costare 37€ per kg per abitante? Quanto paghi? 31-32€, A Spoleto 34€, altrove 32… Questo ti dà l’idea, anche se non è un dato da prendere per oro colato, che sei sotto remunerato. Oppure: una famiglia di quattro persone che abita una casa di 100 m² a Magione paga una volta e mezzo rispetto a quello che pagherebbe a Foligno oppure a Cascia. Uno ti potrebbe dire che paghi di più perché c’è un servizio migliore, ma comunque qualcosa non torna.  Questo non succederà più, il regolatore nazionale ha sottratto ai Comuni la determinazione dei piani finanziari perché il fenomeno della sottoremunerazione delle gestioni era molto diffuso e invece il ciclo dei rifiuti in Italia deve rispondere a logiche industriali. Non dice se deve essere pubblico o privato ma che deve essere gestito in termini di efficienza ed efficacia, come ha fatto con l’acqua 20 anni fa.

E quindi la gestione deve essere equamente remunerata e mettere i gestori in condizione di fare investimenti: fare raccolta differenziata, tutelare l’ambiente, controllare le discariche. Una filosofia sacrosanta perché il settore dell’ambiente ha un bisogno disperato di investimenti.

La redistribuzione degli utili incide su questo tipo di ragionamento?

La logica è questa: visto che non stai sul libero mercato e non hai concorrenza io ti remunero con un tasso di rendimento sugli investimenti che fai, secondo il modello anglosassone… Alla fine quello che fai degli utili è competenza dei soci, ma come ci arrivi a determinate quell’utile è molto più regolato e determinato.

Il nuovo piano dei rifiuti regionale quanto incide o meglio quanto inciderà su costi, tariffe e sulla gestione del servizio in generale?

Le scelte annunciate possono incidere. Se non  termovalorizzi né bruci i costi vanno fuori controllo, perché la teoria per cui tu ricicli tutto è sacrosanta ma è difficilmente realizzabile e non è che ti fa risparmiare: c’è un punto al di sopra del quale hai costi marginali enormi. Ma al di là di questo, il ciclo comunque lo devi chiudere in qualche modo. L’unica cosa sicura è che non li puoi mettere nelle discariche perché ormai te lo impedisce la normativa comunitaria e comunque hai l’obbligo di arrivare a meno del 10%, una soglia che puoi raggiungere con i soli scarti di una raccolta differenziata ben fatta, così come accade se bruci, perché comunque un residuo c’è, non è che si polverizza tutto. Ora, le scelte che fai hanno ricadute sui costi; ad esempio, chiudere una discarica produce costi anche perché è diverso portare i rifiuti a 3 km o 80 km di distanza.

Con il nuovo piano noi dovremo conferire tutto quanto ad Orvieto?

Fino all’anno scorso questo ambito li ha portati a Città di Castello, a Belladanza. Poi Belladanza è entrata in fase di saturazione: arriveranno a metà del 2022 con i rifiuti del loro SubAmbito poi saranno “pieni”.

E il nuovo piano cosa prevede?

Belladanza sarà oggetto, insieme a Borgo Giglione, di quella che viene definita profilatura: una nuova volumetria di circa 240.000 tonnellate. Colognola e Sant’Orsola sono ormai sature e verranno chiuse definitivamente e invece rimangono a regime Borgo Giglione (Magione) e Belladanza (Città di castello) e le Crete di Orvieto, che però è privata. Questo territorio sarà costretto a conferire prevalentemente ad Orvieto, fino a quando non ci sarà un nuovo modello di chiusura del ciclo che, secondo quanto detto dall’assessore Morroni, sarà un termovalorizzatore.

Area Impiantistica di Borgo Giglione

Ci vorranno almeno 10 anni.

Lui ha detto 2030 ma non è peregrina l’ipotesi che, ammesso che lo decidi, ci possa volere un po’ più di tempo, tra che lo progetti, lo metti in piedi, lo fai entrare a regime…

Quindi da qui al 2030?

Da qui al 2030 si pone fortemente il problema di gestire la fase transitoria.

Purtroppo le scelte non sono state fatte prima e se uno non le fa gli eventi o altri scelgono per te… L’immobilismo degli anni precedenti ha prodotto questa situazione. Oggi ci troviamo paradossalmente ad avere autorizzata la combustione nei cementifici del CSS proveniente da fuori Regione ma non di quello prodotto qui e a dover attivare un termovalorizzatore per chiudere il ciclo… la combinazione peggiore che potevi avere.  E uno dei territori di cui si parla per la localizzazione del nuovo impianto potrebbe essere anche quello nostro?

Su questo non so che dirti. Perché nel comitato scientifico che si occupa di questo non si è parlato di nessun luogo. Come sia saltato fuori Gaifana nessuno lo sa oncretamente.

A proposito di impianti, riguardo al Biodigestore, il passaggio dell’impianto alla Snam comporta qualche variazione rispetto all’impostazione di massima che c’era?

No nessuna, nel senso che il contratto rimane esattamente lo stesso. C’è un subentro consentito a norma di legge. L’operatore è chiaramente solido e serio. Dopo bisogna verificare sul campo.

Riguardo alla qualità dell’organico, che era un po’ la preoccupazione principale, siamo ancora all’interno dei parametri previsti per l’utilizzo? La verifica di questa cosa e di competenza vostra?

No, non è di nostra competenza. Però sono informazioni pubbliche derivanti dall’osservatorio regionale che gestisce ARPA e la Regione. Quando parli di qualità sicuramente fai riferimento alla quantità di materiale non compostabile presente… Ora è sostanzialmente in linea con i parametri della legge regionale e quindi non ci sono problemi.

E come quantità di rifiuti raccolti? Perché c’era la preoccupazione che per far funzionare appieno l’impianto sarebbe stato necessario far venire rifiuti da fuori regione con grande spostamento di mezzi e quant’altro…

La quantità di organico prodotto dal bacino di VUS è inferiore alla capacità produttiva dell’impianto. Lo stabilimento di Foligno lavora completamente l’organico fornito dal gestore VUS, in parte preponderante l’organico fornito da Gesenu proveniente dal perugino e in parti molto marginali da fuori regione.

Per lei quindi è stata una scelta giusta?

Per me è stata una scelta giusta e vincente. Il Ministero della transizione ecologica punta fortemente su questo settore…

Si dice infatti che Snam sia intervenuta “in sintonia” con Cassa depositi e prestiti e  Mef.

Snam sostanzialmente fa un altro mestiere ma tende anche a differenziare. Asia (ndr: ex gestore del Biodigestore) è al contempo ben contenta di monetizzare e di investire da un’altra parte: ad esempio sta realizzando uno stabilimento cinque volte più grande a Palermo. Lo stabilimento di Foligno è oggetto di pellegrinaggio da tutta Italia. Funziona bene, è un bel posto, è pulito senza nessun odore particolare.

E invece per “Casone” che notizie ci sono?

Il progetto della fabbrica dei materiali, così chiamato perché è prevista la realizzazione di un settore per il riciclaggio di carta, cartone e plastica, insieme a quella del vetro già presente, è stato approvato e sono state avviate le procedure di gara per appaltare i lavori. In contemporanea si attuava il cosidetto Revamping (rifacimento) dello stabilimento che in realtà veniva completamente rinnovato. Purtroppo il PNRR ha escluso dal finanziamento questo tipo di impianti, i cosiddetti TMB (trattamento meccanico-biologico). Una cosa un po’ strana venuta dall’Unione Europea, non dallo Stato italiano.

Il Biodigestore di Casone (Foto ASJA)

Probabilmente perché Stati come la Germania sono pieni di questi impianti e quindi non avevano alcun interesse a finanziarli…

Quello che ti posso dire sulla fabbrica dei materiali è che il progetto c’èra e va avanti. Non è integralmente finanziabile col PNRR che finanzia solamente le parti connesse alla raccolta differenziata e quindi la parte infrastrutturale per il recupero di carta cartone plastica cioè dove c’è il riciclo.

Il resto dovrebbe essere finanziato dal gestore o con un contributo pubblico?

No, dovrebbe essere finanziato dal gestore e quindi dalla tariffa. Chiaramente non è che se tu spendi in un anno 5 milioni per l’infrastruttura devi recuperare tutto in un anno: i 5 milioni li ammortizzi nei tempi più lunghi previsti dal piano industriale.

Riguardo alle infrastrutture, la qualità del delle reti, la manutenzione, la qualità degli investimenti, i controlli li fa sempre l’Auri?

Eminentemente sì, nel quadro dell’ambito regolatorio di ARERA che è molto rigorosa, direi “feroce”.

Per quanto riguarda l’ambito VUS e di questo territorio, ad esempio, diceva prima che sulla raccolta differenziata non riusciamo a raggiungere i parametri regionali. Qual è il vostro potere rispetto al fatto che i Comuni non fanno a sufficienza?

I Comuni in realtà non c’entrano molto… Sono i gestori…

Mi dice che i Comuni non possono fare molto, ma hanno anche lo strimento del “controllo analogo”…

Nel momento in cui sono i proprietari dell’azienda e allora possono fare molto.

La sensazione dei cittadini di questo territorio, ma non so se è reale, è che c’è stato un grande peggioramento dei servizi…

E’ vero, sia la pulizia generale che la raccolta differenziata, tant’è che

abbiamo comminato anche delle sanzioni.

Posso condividere una mia impressione? Io temo che si vogliano creare le condizioni perché possa passare la privatizzazione della gestione. Perché i disservizi sono tali da non essere giustificati da cambiamenti all’interno dell’azienda. Il personale è sostanzialmente invariato, anzi con il conferimento all’esterno di alcuni servizi è aumentato; i mezzi anche per quanto riguarda la parte esternalizzata sono decisamente migliori. C’è quasi la sensazione di un sabotaggio interno per cui l’azienda non debba funzionare bene.  Se poi parli con alcuni amministratori ti dicono le solite cose: qui dentro non c’hanno voglia di fare niente, la metà delle persone sta in malattia anche con la scusa del covid (cosa non vera, dati alla mano) e i nuovi assunti una volta stabilizzati si sono messi in malattia. Non possiamo assumere, dicono, sapendo che in realtà c’è una graduatoria aperta che secondo alcuni stanno aspettando scada in modo da poter inserire quelli che sono i più graditi all’attuale amministrazione…

Credo che l’azienda stia ancora soffrendo le conseguenze di non aver investito per tempo secondo una impostazione industriale e manageriale adeguata alle nuove sfide che man mano il settore dei servizi pubblici stava affrontando. Queste Aziende hanno bisogno di professionalità ben definite, sia dal punto di vista tecnico che amministrativo, non basta solo la conoscenza della macchina interna ed i buoni propositi.

Adesso il quadro qual è?

Intanto in VUS hanno preso un direttore generale, che viene dal mondo dell’acqua, l’ingegner Ranieri che in parte conosce già l’azienda perché c’era già stato una quindicina di anni fa e ora torna dopo una esperienza alla SMAT Torino  (600 milioni di fatturato) e all’Acquedotto Pugliese. A breve arriverà un dirigente per il comparto dei rifiuti. Quindi stanno facendo quello che andava fatto.

Bene, anche se proprio per questo trovo ancora più grave l’aver cacciato malamente Lamberto Dolci,  il precedente Presidente di VUS, un manager di altissimo livello non targato politicamente o Daniela Riganelli, tecnica di grande sensibilità ambientale e professionalità… Azzerare così una amministrazione che stava lavorando bene ha rallentato notevolmente le cose: avrebbero fatto quello che stanno facendo adesso, con due anni di anticipo e avere perso almeno due anni in questo contesto non può che aver peggiorato le cose.

Dolci per primo aveva capito che si doveva metter mano all’organizzazione aziendale rinnovando completamente tutta la prima linea.

Cambiando discorso, l’indirizzo sarebbe di trovare un gestore unico dei rifiuti o no?

No, non c’è questo automatismo: non è obbligatorio avere un gestore unico e non è detto, secondo me, che un gestore unico sia migliore di una pluralità di gestori: l’esperienza dimostra che in alcuni casi un gestore grande funziona bene e in altri no.

In Regioni che funzionano benissimo, come l’Emilia-Romagna, c’è un’ampia pluralità di gestori. Certo, un gestore con un bacino di 120 o 130.000 utenti o abitanti equivalenti forse fatica ad inserirsi in una logica industriale di investimenti e innovazione tecnologica,

Però si possono fare dei partenariati…

Esatto, è lì che si può e si deve lavorare, promuovendo collaborazioni tra soggetti che abbiano intenti ed interessi comuni.

Basta che non accade come con ACEA che di fatto, pur avendo una quota di minoranza, si è mangiata i gestori di Perugia e Terni. Anche se teoricamente si potrebbe decidere che ritorni tutto pubblico…

Certo, nel 2030, alla fine delle concessioni, puoi scegliere anche un gestore in house anche se con la legislazione attuale è molto difficile dimostrare che passare da un affidamento esterno ad una gestione interna sia conveniente.  Ma non sta scritto da nessuna parte che la collaborazione tra pubblico e privato non debba funzionare o non faccia gli interessi degli utenti, basta vedere tantissime altre zone d’Italia: l’Emilia-Romagna fa scuola da questo punto di vista.

Anche per la VUS è da tempo che si parla di trovare un partner privato per implementare investimenti e know-how tecnologico e forse questo è un grande limite di questa azienda. Il rischio è che, come nel caso del termovalorizzatore, arriverai a determinate scelte perché obbligato e, diciamo così, con il cappello in mano…

Bisogna essere chiari: nessuno può dire quello che succederà quando scadono le concessioni: fai una gara e vince chi fa l’offerta migliore. Però se fai una gara come è stata fatta da poco a Rimini e partecipa HERA, è complicato che vinca un altro perchè hanno una potenza di fuoco diversa. Possono decidere di vincere e possono decidere di riscattare gli asset che gli interessano. È proprio una questione fisica. È come un incontro pugilato tra un peso massimo e peso piuma: ogni tanto vince quello piccolino ma in generale… Quindi non so quello che succederà e comunque parliamo del 2030. L’unica scadenza vicina in Umbria è il 2024, per la gestione dei rifiuti del bacino di Perugia. In questo territorio abbiamo i rifiuti a dicembre 2027 e l’acqua nel 2031 quindi c’è tempo per migliorare.

Rimanendo sulle risorse idriche, come siamo messi? Sembrerebbe che l’indirizzo del governo Draghi sia quello di aggirare l’esito del referendum e andare ad una sostanziale privatizzazione della gestione del servizio idrico…

Mi risulta difficile risponderti, perché in realtà sull’acqua il governo non ha fatto niente dal punto di vista normativo e regolamentare non c’è una sola riga che sia intervenuta su questo settore. Quindi forse sono solo intenzioni politiche.

Non c’è stato nemmeno la pubblicizzazione di tutto che era quello che era stato proposto con il referendum.

Ma in questo caso non c’entra niente Draghi, perché è stata stoppata prima.

Quindi in sostanza è tutto rimasto congelato com’era a quel tempo: quello che era pubblico è rimasto pubblico quello che prima era privato è rimasto privato?

Bisognerebbe capire che cosa intendi per pubblico e privato. Perché le reti non sono private. E’ la gestione che è privata. L’infrastruttura idrica è la più pubblica che esista: sono prevalentemente di proprietà dei Comuni oppure di società pubbliche ma chi le gestisce, quando finisce, restituisce tutto. Ovviamente se fa un investimento, se lascia qualcosa che ancora deve essere ammortizzato, ha diritto ad essere indennizzato.

Infine:  sulla questione degli attingimenti dal Topino voi ci entrate qualcosa?

Come AURI tecnicamente no. Gli attingimenti, così definiti, sono connessi alle concessioni che rilascia la Regione e che sono controllate da soggetti tra cui ARPA. Il discorso del cosiddetto mancato rispetto del minimo vitale è complesso: l’acquedotto serve per usi idropotabili di natura domestica e produttiva, ma l’ecosistema del fiume è altrettanto importante. Si tratta di trovare un equilibrio.

C’è anche chi dice che non è giusto che l’acqua di Foligno vada a Perugia… che ci rubano l’acqua…io penso che l’acqua sia di tutti e non di Foligno o di Perugia.

Esatto. Un conto è tutelare un ecosistema, un conto è fare riferimento ad anacronistiche guerre dell’acqua.

Senza presupporre che ci sia il dolo o la prepotenza di qualcuno, ma tenendo conto che la quantità di attingimenti che era stata valutata congrua a quel tempo, magari decine di anni fa, sia attualmente sovradimensionati rispetto alla capacità effettiva dei corsi d’acqua e agli attingimenti che possono sopportare, potrebbero essere rivisti?

Per le concessioni di attingimento parliamo di scadenze lunghissime ma nulla toglie che un pianificatore regionale possa rimetterle in discussione perché sono subentrate altre situazioni. In ogni caso la concessione delle sorgenti di Bagnara e San Giovenale scade nel 2025. Siamo a fine corsa.

E’ vero, fu siglata nel 1955 dall’allora Sindaco Fittaioli e scadrà nel 2025: è bene arrivarci preparati ed informati.

Sicuramente. Inoltre, col PNRR sono finanziati interventi sulle risorse e le reti idriche tra cui una implementazione dell’impianto della diga del Chiascio che va ad alimentare il perugino ed il Trasimeno e quindi si potrà verificare se è necessario continuare ad appoggiarsi nelle modalità attuali alle sorgenti di San Giovenale e Bagnara, verificando le ricadute sul corso del Topino.

E invece per il nostro territorio il PNRR non prevede niente?

Dal punto di vista dell’infrastruttura l’unica finanziata per l’Umbria è il progetto “Bandiera” a cui ho fatto appena riferimento, cioè il primo stralcio da 16 milioni di euro del collegamento della diga del Chiascio. Poi certo che sì, ci saranno degli investimenti, eminentemente orientati verso la riduzione delle perdite della rete, ed è giustissimo perché spesso si fanno grandi ragionamenti su piani infrastrutturali ma se invece del 50 perdo il 30% lo sai quanto recupero e quanto si può fare per migliorare il servizio?

Ci lasciamo con questo buon auspicio e con la promessa di rivederci presto per verificare lo sviluppo degli eventi e per approfondire alcune di queste complesse tematiche.

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