Cultura Musica

Giovanni Guidi e Pasolini: il viaggio di un corpo in musica

Una chiacchierata tra Giovanni Guidi e Malcolm Angelucci.

#cultura #musica
Di Malcolm Angelucci
In foto: “100 comizi d’amore”


Incontro Giovanni Guidi per parlare del suo primo progetto concepito come piano solo: 100 comizi d’amore, dedicato ovviamente a Pier Paolo Pasolini nel centenario della nascita (5 marzo 1922). Ci troviamo al bar, con la volontà di evitare la retorica di cui ogni anniversario è necessariamente intriso, e senza alcuna intenzione di beatificare o ulteriormente flagellare il poeta. Giovanni ed io ci occupiamo di discipline diverse, e siamo qui per chiacchierare e per ascoltarci. Ora che mi trovo di fronte alla trascrizione, mi accorgo quanto sia importante mantenere il senso del parlato, restituire il modo che ha Giovanni di presentare, elaborare, animarsi, perdersi per poi ritornare nuovamente in tema. Anche la forma, come poi sarà lui a ribadire qui di seguito, è parte del contenuto, e credo vada rispettata al di là delle necessarie sintesi.

Malcolm Angelucci: Pasolini oggi, al di là degli anniversari: perché ritorna, perché ritorna proprio nella tua musica? In altre parole, di che cosa è sintomo, il ritornare di questo interesse per Pasolini?

Giovanni Guidi: Quando ho scelto di fare questa cosa sapevo solo che voleva essere un rapporto vivo attraverso l’arte, allo stesso modo in cui è stato un rapporto quello di Virgilio con Dante, di Pasolini con Gramsci… perché io lo ho amato molto, e molto, devo ammettere, anche sulla scia di una moda.

MA: Il personaggio molto spesso viene prima dell’opera

GG: Sì, nel suo caso è vero. Io stesso, se mi dicevano Pasolini lo conosci dicevo ‘sì, certo, un grandissimo’, ma fino a qualche mese fa avevo letto qualcosina in momenti in cui potevo capire poco, ammesso che ci sia mai il momento in cui si può capire bene… e poi sì, era più quel rapporto di citazioni su Facebook, frasi pasoliniane… per dirla sinceramente. E la sua morte è completamente organica alla sua vita, ma anche il velo che copre tutto il resto, la bellezza e la possibilità di altre strade. E mentre cominciavo, io fin dall’inizio ho sentito una cosa comune, un disordine comune, un non finito, un approccio secondo me molto improvvisativo, molto simile a me, a dire il vero, non simile al jazzista in generale, perché il jazzista in realtà  – soprattutto e adesso – è molto organizzato. Forse la sua bellezza invece era in tutti questi castelli enormi, che costruiva e che poi si smontavano.

MA: C’è un aspetto esistenziale che vi accomuna; si riflette anche in un aspetto stilistico? 

GG: L’aspetto stilistico, anche quello lo sento profondamente vicino… Pasolini era profondamente libero… ad esempio personalmente rischio di stare in una linea in cui è difficile trovare un pubblico che accetta tutte le cose che faccio…

MA: Come ricerca personale?

GG: Sai, Spotify per esempio ti mostra tutte le cose che uno ascolta… e io ascolto veramente di tutto proprio di tutto: le canzoni di Sanremo stanno in cima alla mia classifica, per dire. Poi, per tornare allo stile, comunque quelle cose arrivano attraverso un corpo, perché quando io suono le canzoni di Baglioni, e le suono, così come quando suono una musica che si riferisce più alle avanguardie… in mezzo tra quello che entra e quello che esce c’è il corpo, e questa secondo me è l’affinità stilistica con Pasolini… lui usava molte forme comunicative, però in ognuna usava il corpo, il corpo che scrive, il corpo che parla, anche il cinema per lui era afferrare quella realtà; ammiro questo desiderio di afferrare la realtà attraverso il corpo, quando ci stiamo già in mezzo.

MA: Questa è una linea che immagino abbia guidato quello che chiami ‘viaggio’.

GG: Premetto che queste tutte sono interpretazioni mie… mentre parliamo io mi sto imponendo di lasciare fuori tutto quello che è frutto di uno studio; quando uno si trova di fronte a una materia altra è giusto ascoltare tutti, e comunque ognuno ha una versione sua completamente diversa dall’altra, cosa che credo non accade per tutti i personaggi… e spesso sono molto critiche…

MA: Il bello dell’interdisciplinarità è che è necessario ascoltarsi con più attenzione, per riuscire a capirci… 

GG: Quando anni fa ho letto i romanzi, ammetto che quella scrittura non mi ha coinvolto veramente. Adesso che invece le leggo musicalmente, anche le poesie, così, adesso invece mi tornano molto di più… cioè sono sia familiari sia nuove e pronte per passare come dicevo attraverso il corpo e per uscire diverse.

MA: Hai parlato di un viaggio di un percorso; quindi anche di un’esplorazione di Pasolini, di una sua ‘traduzione’: oltre al corpo, ci sono altre parole chiave?

GG: Sì, c’è un qualcosa legato alle lucciole. Le lucciole… il loro essere sparite, come scriveva lui per parlare di un’Italia sparita… in questo progetto saranno invece il prima e dopo Pasolini: non nella società, non nell’Italia, ma il prima e dopo Pasolini in Giovanni Guidi. La differenza forse tra Pasolini e i suoi contemporanei è che lui già si sentiva nella fine, non si accontentava solo di indicarla…

MA: ma è anche la sua ricerca di un passato inventato, le ‘lucciole che non ci sono più però facciamo finta che ci siano ancora da qualche parte’

GG: lui parlava di questa fine delle lucciole. Mentre scrive parla proprio come se non ci fossero più, diceva che le future generazioni non le vedranno; io invece mi ricordo che da piccolo le vedevo le lucciole, mi ricordo l’estate, quando andavamo in macchina… 

MA: Bene, una chiave di lettura è la lucciola: ma è un perdere Pasolini o, al contrario, un ritrovarlo?

GG: Da un lato le lucciole sono lui vivo, lui che esiste, anche proprio a livello metaforico come luce che è accesa, e poi scompaiono un po’ come scompare una vita. Ma sono lucciole anche mie, personali, nel senso che io quest’anno ho sentito che in Italia sono cambiate cose in negativo… adesso, per esempio, la maggioranza degli italiani sulla storia non si fida degli storici; agli scettici della scienza si dice ‘sì ma devi ascoltare gli scienziati’, ma sulla storia non ci si pone il problema. Poi m’interessa la memoria come qualcosa di intimo, di emotivo, anche la memoria di e su Pasolini. Lui entrava su tutto, su tutti gli argomenti, non c’era niente di cui lui non era pronto a rispondere come uno che comunque ne sapeva molto e come uno che comunque avrebbe detto una cosa che poi da quel momento avresti dovuto tenere in considerazione. E lui trattava cose che ancora accadono… penso al mio interesse e comunque anche ad una traslazione artistica del fenomeno degli esseri umani in movimento, e delle conseguenze del volersi muovere, fino ai lager di cui parlava anche il papa: beh, lui già scriveva che ‘agli italiani neanche i lager sono bastati’… ma forse qui c’è anche un’ingenuità mia nel citarlo… la sua memoria è assolutamente citabile, spesso a sproposito… anche la Meloni credo citi Pasolini… 

MA: Hai detto che lui parlava di tutto in maniera viscerale… vivere con le contraddizioni o andare a riscoprire Pasolini con tutte le sue contraddizioni: è anche questa una chiave di lettura del tuo lavoro?

GG: All’inizio ho deciso di rimanere libero dall’idea di dover condividere o giustificare cose che per me sarebbero contraddittorie rispetto ai valori che mi sarei aspettato da lui o a quelli che uno si aspetterebbe da me. Questo per lasciarmi ancora più spazio. Questa è un’operazione completamene deintellettualizzata e che io voglio approcciare in maniera più viscerale. Se tu abbandoni questa idea di coerenza, allora resta il metodo, e il metodo è il corpo, il suo corpo che in maniera scientifica a un certo punto ha deciso di dormire dalle 6 alle 8 della mattina, alzarsi, scrivere… poi passava Ninetto con la macchina, andavano da Elsa Morante, giravano, e a mezzanotte a tavola lui si alzava, salutava tutti… è sempre il corpo, lì, sia nei rapporti con la parte diurna che quella notturna, era il suo corpo che agiva su tutto. Lui è sempre presente… è forse il regista con più foto sul set. Così ho scelto proprio di affidarmi a quello, a quella parte che tu dici viscerale… le contraddizioni sul corpo e sul metodo non ci sono, lì è estremamente rigoroso.

MA: Se si parla di corpo si può parlare anche di desiderio?.

GG: Pensa all’amore. Sì era omossessuale e lo ha sempre dichiarato, ma era un uomo che amava in tantissimi modi, anche la sua relazione con Laura Betti, con Ninetto, parlo delle cose diurne… quelle notturne… erano vere relazioni d’amore… lui cercava il corpo delle persone: pensa agli attori che sceglieva …

MA: … i primi piani di Accattone

GG: Anche prima di questo progetto io mi ricordavo questi volti. 

MA: Torniamo al tema della confusione, all’interesse per mezzi e generi diversi: alla fine Pasolini è quasi un performance artist

GG: Lui non ha scelto di morire in quel modo perché nessuno lo sceglierebbe ma forse… uno quando nasce, nasce come opera d’arte che ha anche un suo corso indipendente da lui…

MA: La sua visione è anche una visione tragica e quindi ha a che fare con quello che dici…

GG: Non immaginava di morire quella notte ma non è che non lo abbia considerato… lui usava temi filosofici, ma poi li esprimeva poeticamente… Gli chiedevano ‘che cosa rimpiangi della vita contadina’ e lui diceva: ‘la domenica qualunque contadino poteva avere i pantaloni rotti ma erano puliti’. 

MA: Pasolini ha sempre lavato i panni in piazza; che ruolo ha questo aspetto pubblico nel tuo lavoro? Lo vedi come qualcosa che succede ad un certo pianismo? 

GG: questa è una domanda difficile. Se mi avessi chiesto del ruolo dell’artista nella società, sai… è difficile che trovi un artista che non ti dica che Pasolini era un grande perché diceva le cose… ma tutti quelli che te o diranno poi le cose non le dicono…

MA: pagarne il prezzo musicalmente, intendo, non solo politicamente…

GG: io sono uno che parla, come sai, ma con questo non sento un parallelo con lui; parliamo sia di cose diverse… in questo caso io mi sento più emotivo di lui… lui ad esempio, sapeva… io non metto paura a nessuno.

MA: Pensavo ad un artista che si espone a costo di contraddirsi nella sua arte

GG: Certo. Ti ho fatto sentire in anteprima un brano… dove metterò in piazza la sua relazione con la madre… e la voglio mettere in piazza anch’io. Questa poesia finale che cito, e che lui legge quasi come farebbe un bambino, ecco lì per esempio sento una totale coincidenza. Se avessi saputo scrivere l’avrei scritta allo stesso modo. E infatti sta lì, senza nessun effetto, quella voce…

MA: E sta lì il coraggio… un cosiddetto ‘grande intellettuale’ italiano riesce a leggere una poesia su sua madre come un bimbo…

GG: Sì, poi, parliamoci chiaro, io ho sempre avuto un rapporto oltre la norma con mio padre, sia da un punto di vista lavorativo che da un punto di vista d’amore, da un punto di vista di legame… però quella persona che conosce il nostro segreto da prima che nasciamo di cui si vive anche una schiavitù, per me è la madre. Dopo due anni in cu ho parlato tanto di mio padre, questo lavoro sarà per mia madre, anche in maniera dialettica, diciamo.

MA: era qui che volevo arrivare. Stai mettendo la poesia più nuda, letta nel modo più nudo, alla fine di quello che immagino sia l’ultimo brano, alla fine di un percorso in cui Pasolini ti ha guidato; mi sembrava ti abbia guidato anche rispetto ad una trasparenza, ad una fragilità. Una domanda un po’ diversa però… mi hai fatto sentire il brano sulle lucciole: come lo raccontiamo questo brano? Non lo possiamo più raccontare come una ballata, né come una canzone di quelle che ho ascoltato negli ultimi album per la ECM…

GG: No quello è un brano semplicissimo… per il tema ho immaginato di cantare qualcosa di proprio popolare, contadino. L’ho scritto a Napoli e quindi ha questo sapore napoletano, anche se all’inizio volevo suonare proprio una cosa friulana, che però non conosco… volevo suonare un friulano inventato come il suo, perché lui stesso lo ha costruito… invece il friulano che mi sono inventato io era napoletano e c’è questa specie di unione tra nord e sud, ma suonato con dei riferimenti anche nuovi. Ci sento cose che non facevo prima: l’uso delle due mani che suonano più voci, quasi ogni tanto può sembrare barocco, diciamo, vagamente contrappuntistico… ma non è vago, lo intendo in senso positivo, come allusione e lavoro con un certo tipo di fonti, ma mai un calco. Anche in questo il metodo ricorda Pasolini. 

MA: Un’altra domanda dopo l’ascolto: il piano solo… hai detto pubblicamente  che non hai mai fatto piano e lo farai adesso… 

GG: in realtà non lo sto facendo…

MA: esatto. Allora, prima dimmi perché scegli il piano solo per Pasolini, e poi dimmi perché invece non è solo… c’è quella ‘macchinetta’ là sopra…

GG: Piano solo era per restare da solo con lui…era proprio una questione di gelosia, non voglio altri… però poi durante questo viaggio ho scelto che ogni tanto qualcosa ci doveva essere. E non casualmente è quella ‘macchinetta’, come la chiami tu, quella tecnologia che lui non ha conosciuto ma era la cosa da cui lui era più terrorizzato. Sai, quando Pasolini va in televisione lui dichiara il terrore cha ha per questo medium, ma comunque… se c’era un mezzo di comunicazione possibile lui lo usava: in televisione c’è stato, al cinema c’è stato, non c’è niente che lui non abbia usato… più lui entrava in un luogo della comunicazione che per forza di cose avrebbe avuto una risonanza maggiore, più lui comunque diventa responsabile nell’uso delle parole… mentre in questi mesi vediamo certi intellettuali andare in televisione e parlare come se stessero parlando a un convegno di filosofi, e in modo molto irresponsabile. Pasolini cercava sì lo scandalo, ma lo scandalo lo pensa sempre nell’accezione greca di pietra d’inciampo. Per esempio il suo Salò fece scandalo… ma forse era la prima pietra d’inciampo che doveva fungere sia da memoria che da attenzione sul presente…

MA: Tornando alla tecnologia…

GG: beh adesso sto giustificando scelte che ho fatto inconsciamente, cioè ho deciso che c’era bisogno di un altro linguaggio accanto… ma poi ci ho lavorato talmente tanto in studio che fra due concerti mi renderò conto che sono talmente incapace di fare le due cose insieme tecnicamente… e poi mi vieni a sentire e mi trovi col piano verticale. Ripeto, anche se ogni brano ha un riferimento preciso, in realtà il paradigma è il corpo, quindi chi viene si può aspettare che suoni qualsiasi cosa e sarà il mio viaggio con Pasolini.

MA: Un’ultima domanda sull’ultimo brano; qui sembra quasi che la tecnologia, il loop, l’arpeggiatore eccetera, diventi quasi allo stesso tempo affascinante e terrorizzante come poteva essere per lui…

GG: esatto, lì c’è proprio anche l’arpeggiatore molto esplicito, c’è proprio questa voce appiccicata sopra a questa linea… con questa voce da bambino che parla della madre, e poi mentre questa cosa continua la voce parla di una schiavitù… e poi dice ‘non morire in un futuro aprile’…

MA: e tutto è comunque molto esplicito, certo è solare, ma è lì, senza sottigliezze, se tu fossi un ‘musicista elettronico’ lo eviteresti…

GG: certo, un musicista me lo taglierebbe completamente… è un altro modo per lavare le mie predilezioni in piazza… 

Giovanni e le sue predilezioni mi lasciano al bar; deve scappare a preparare la valigia per un concerto a Teheran. Ci ritroveremo fra qualche giorno, sperando che anche voi vogliate seguire questo suo nuovo viaggio.

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