Politica

Flavio Lotti: se la politica non fa la sua parte…

Conversazione su pace, disarmo e politica con Flavio Lotti a cura di Fausto Gentili.

#guerraepace #marciadellapace
Conversazione con Flavio Lotti a cura di Fausto Gentili
In foto: La Marcia della Pace di Assisi


Conosco Flavio Lotti dalla metà degli anni Ottanta, quando insieme contribuimmo ad organizzare a Perugia un grande incontro internazionale, poi proseguito ad Amsterdam l’anno successivo, dei movimenti per la pace e altri erano i temi della mobilitazione: innanzitutto il rapporto tra pace e disarmo (erano gli anni degli SS20 sovietici e dei Pershing e Cruise che la Nato stava installando a Comiso). Rapporto che sembra del tutto smarrito nelle pur animate discussioni che accompagnano dai salotti televisivi la sciagurata guerra avviata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Ci torniamo in questa breve conversazione, svolta in un ritaglio di tempo tra i molti suoi impegni nell’organizzazione della Marcia della pace del 24 aprile. Gli chiedo innanzitutto quali sono le sensazioni della vigilia.

Siamo stanchi, ma stiamo arrivando. C’è molta tensione, angoscia per ciò sta succedendo, uno stress particolare perché le notizie sono drammatiche, sono quotidiane e ce ne sentiamo addosso tutto il peso. Stiamo facendo uno sforzo enorme per provare a riunire tutte le persone che ancora credono nella pace, e non è facile: ci sono divisioni, molte persone erano distratte, ma credo che domenica ci sarà una bella partecipazione. Un passo positivo, insomma, è stato fatto.

Nell’appello che convoca la manifestazione si prova a ricostruire un filo tra pace e disarmo che era in gran parte andato perduto nella discussione di questi mesi. E’ stato difficile arrivare a questo risultato ?

No, per noi  no. Il problema è che si è perso il filo della pace, stiamo pagando la cancellazione del discorso sulla pace che si era affermato nel dopoguerra: gli anni Cinquanta  e Sessanta, il tempo in cui alla memoria della guerra si accompagnava, pur tra mille contraddizioni, lo sforzo di realizzare le condizioni per la pace. Purtroppo nei decenni abbiamo dimenticato che questo era l’obiettivo da perseguire. Ci siamo messi a rincorrere altri miti: i soldi, la ricchezza, l’affermazione personale, ed eccoci oggi a registrare il fallimento della politica.

In questa specie di amnesia collettiva sembra venire avanti, se non proprio un cordone sanitario, un certo isolamento intorno alla voce di papa Francesco. Lo avvertite anche voi,  dal punto particolare da cui operate ?

Certo. E’ in atto un vero e proprio attacco politico e mediatico contro papa Francesco, che è l’unico punto di riferimento rimasto, su scala globale, che continui a denunciare la follia di questo schema di guerra. E’ sotto attacco, viene silenziato, viene minimizzato quando non viene attaccato direttamente, e così sono attaccati tutti quelli che hanno un’opinione diversa dal mainstream. Siamo già prigionieri del mostro della guerra, di questa follia che ci vuole tutti tifosi per una parte contro un’altra. Chi non si arruola in questo scontro fa una brutta fine. Almeno per adesso, perché andando avanti temo che una brutta fine la faremo in tanti.

Mi sembra che negli ultimi giorni nello schieramento bellicista si stia aprendo qualche crepa,qualche incertezza, comincia ad affiorare un ragionamento sulla necessità di tornare ad un tavolo diplomatico.

Io lo spero, anche per questo facciamo la marcia Perugia Assisi. Dobbiamo dare corpo a un orientamento diverso; se continuiamo a buttare benzina sul fuoco, finiremo per essere coinvolti, questo è matematico: l’unica incertezza riguarda il  tempo necessario per arrivare a questo esito disastroso.  Per evitare la catastrofe bisogna che qualcuno riprenda l’iniziativa: occorre toglierla alle armi e restituirla alla politica. Alla politica, non alla diplomazia. La diplomazia una volta era una cosa importante, oggi è un simulacro: si occupa più di promuovere il made in Italy che di costruire le relazioni necessarie a costruire la pace. Il problema profondo è ricostruire il ruolo della politica con la P maiuscola: i governi, i Parlamenti, le istituzioni internazionali. A  veder bene, che cosa abbiamo chiamato, in queste settimane, “diplomazia” ? Una telefonata, due telefonate, un incontro tra due persone ai due estremi di un tavolo. Ma la diplomazia era un’altra cosa: un lavoro paziente, quotidiano, di tessitura di relazioni positive  anche laddove ci sono conflitti che potrebbero essere dirompenti. Ecco, io spero che in Europa non siano tutti diventati ciechi e sordi.

Vorrei provare ad essere ottimista: mi sembra che si sia aperto uno scarto tra l’opinione popolare, che appare preoccupata e spaventata, e l’orientamento delle classi dirigenti, che direi al limite dell’irresponsabilità, e che questo scarto cominci ad essere percepito.

Sì. Credo che coloro che non si occupano della pace nel mondo e in Europa dovranno alla fine preoccuparsi della pace sociale, se continuiamo su questa strada le conseguenze economiche e sociali saranno così pesanti, così dolorose, che faranno saltare molti degli schemi che già oggi sono in equilibrio precario

…e forse sarebbe opportuno

Il problema, però, è che in queste situazioni non sai mai da che parte si cade; per questo abbiamo bisogno che cresca la consapevolezza dei cittadini: solo dei cittadini consapevoli possono evitare scenari ancora peggiori. Perché altrimenti il rischio è saltare dalla padella nella brace.



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