
#pace #puntidivista
Di Ivano Cenci
In foto: Studenti in marcia contro la Guerra
Il disastro dell’Ucraina, la guerra in Ucraina ci hanno riportato a parlare di pace. Che strano, è una parola che si usa pochissimo, forse solo nel giorno dell’anniversario della morte di John Lennon. Ora che una nuova guerra bussa alle nostre porte tutti parliamo di pace, tutti vogliamo la pace. Eppure una strana ed indicibile sensazione mi attraversa quando pronuncio il sostantivo pace; come la sensazione di “acqua che non disseta”. La parola viene usata quasi sempre col significato “negativo” di non guerra; talvolta addirittura intendiamo il ricorso alla violenza per portare la pace (un tempo “Pax romana”). Pace sembra quasi non avere un suo significato, pace è assenza della guerra; è l’assenza della sua antitesi, la guerra appunto. La pace, nel nostro pensiero comune, è “assenza”. (Acqua che non disseta). Facciamo tanta fatica ad esprimere il significato “positivo” di pace, non sembra far parte della nostra conoscenza. Nell’Antico Testamento la parola usata per pace è shalom = totalità, armonia….
Pace allora diviene una azione, non più sostantivo, ma verbo. Essa esprime il raggiungimento del supremo grado di sviluppo dell’uomo, il massimo spiegamento della sua ragione e della sua capacità di amare. Il raggiungimento della “epoca messianica”, della vita in armonia tra gli uomini e traessi e la natura (1). Pace è allora azione ed obiettivo da raggiungere per l’essere umano. Un percorso iniziato da almeno due millenni lungo un sentiero impervio che spesso scompare, tant’è che non ricordiamo neanche bene il nome della meta (Pace, Shalom).
A ben osservare invece abbiamo tante conoscenze e teorie sulla guerra; di essa pare si sappia proprio tutto: come si costruisce una guerra, come si conduce una guerra…. Tanti analisti, tanti opinionisti ci spiegano, ormai a tutte le ore, che: far entrare il gas russo in così grande quantità nelle nostre case serviva a renderci dipendenti da Mosca; in venti e più anni è stato costruito ad arte una sorta di “cavallo di Troia”; Putin è penetrato nei nostri sistemi economici, ha indebolito le nostre difese; in anni ed anni di paziente costruzione ha preparato questa ed altre guerre con un preciso disegno che non abbiamo saputo o voluto vedere; un disegno economico certo, ma intriso anche di ideologie e simboli per noi spesso scarsamente comprensibili. Per ora quindi siamo sicuramente esperti del: “Si vis bellum, para bellum”, siamo esperti di guerra. Purtroppo, al contrario, non abbiamo una teoria della pace. Per costruire la pace occorre una “TEORIA della PACE”. Si vis pacem, para pacem.
Nel 1970 E. Fromm definiva le necessità di una Teoria della pace; in particolare una teoria dell’essere umano, della sua società e delle complesse dinamiche che ne regolano i rapporti. Più precisamente egli si concentrò su una caratteristica dell’essere umano ancora oggi non ben conosciuta, l’aggressività. Nel 1932 in Introduzione alla Psicoanalisi Freud si chiedeva : “Perché è stato necessario tanto tempo prima di decidersi ad ammettere una pulsione aggressiva? Perché abbiamo esitato ad utilizzare, per la teoria, dei fatti che erano evidenti e familiari a tutti?”. A ben guardare ancora oggi non sappiamo dire che cosa è l’aggressività; usiamo lo stesso termine per definire l’aggressività di un bambino che difende un suo gioco, ma definiamo anche aggressivo l’accumulo di carri armati e truppe al confine. Quali sono allora allora gli elementi che definiscono l’aggressività? A che serve l’aggressività? Come S. Freud possiamo affermare che l’aggressività è una pulsione che proviene dal profondo, dal nostro inconscio. Una funzione ben precisa e codificata nel nostro cervello: una delle pulsioni fondamentali, insieme alla sessualità, per garantire la sopravvivenza dell’individuo e della specie. Quando viene attivata l’aggressività? Ogni volta che gli “interessi vitali” dell’animale vengono minacciati. Per l’animale come per l’uomo sono: la sopravvivenza, quella singolo come quella del gruppo; la cura dei piccoli; l’accesso al cibo e quindi ad un territorio ricco di cibo; l’accesso alla sessualità..(1). Il cervello dell’uomo, come quello dell’animale, analizza il mondo esterno e, quando i suoi interessi vitali vengono minacciati attiva una reazione fisiologicamente determinata, la reazione di aggressività, appunto.
L’Amigdala.
Oggi sappiamo che ci sono zone del nostro cervello addette a queste reazioni, l’amigdala è una di queste. E’ un insieme di milioni di neuroni, grande come una mandorla (amigdala dal greco), è posta nella parte interna del cervello, dietro la tempia. Esperimenti di neurofisiologia (con stimolazioni e/ ablazioni), sia negli animali come nell’uomo, dimostrano un ruolo fondamentale dell’amigdala nella reazione di aggressività (comportamenti motori, espressione mimica, emozioni…Nel gatto la stimolazione con elettrodi dell’amigdala provoca l’inarcamento del corpo dell’animale; la coda si irrigidisce e si estende come gli arti; gli artigli si estroflettono; gli occhi si spalancano; la bocca si allarga con i denti serrati ….Una reazione d’attacco contro il nulla).
In ultima analisi c’è un aspetto nuovo dell’essere umano (almeno per il nostro pensiero comune) che dobbiamo considerare: nel nostro cervello, come in quello degli altri animali, sono poste delle strutture addette alla reazione fisiologica detta “aggressività”. Essa è quindi una reazione fisiologica, una pulsione vitale, essenziale per la sopravvivenza dell’individuo e della sua specie. Come la sessualità anche l’aggressività può essere in parte controllata dalle aree più evolute del nostro cervello, quelle aree che definiscono razionalità e coscienza. Aggressività quindi non è peccato, non è il frutto della distruzione di un’antica armonia. Essa è parte insostituibile del nostro essere. Peccato forse è tentare di nasconderla, perché così rinunciamo a controllarla e plasmarla; se non controllata infatti può essere dannosa per l’essere umano stesso.
Altri due elementi tipici dell’essere umano vanno associati all’aggressività: la capacità di “previdenza” e la creazione di simboli (1). L’essere umano può scorgere pericoli che al momento non sono presenti e che potrebbero verificarsi in futuro (previdenza). Egli inoltre può creare “simboli”, ovvero oggetti esterni che lo rappresentano. Simboli possono essere: gli ideali, le ideologie, la sovranità statale, le nazioni, le religioni, colori della pelle, colori di appartenenza (vedi: i giallo-rossi, i nero-azzurri,…;..beata innocenza!). I simboli divengono spesso i rappresentanti degli “interessi vitali” dell’individuo e del suo gruppo. Si verifica allora che, chi non si riconosce o non rientra nei simboli del gruppo, diviene “diverso”; egli assume il ruolo di potenziale minaccia per gli “interessi vitali” del gruppo. I simboli possono creare quindi le “diversità” e trasformare “gli altri da me” in “alius” pericolosi. (Ricordo che i malati di mente fino al 1978 in Italia erano definiti “alienati”; dei “diversi” e “anormali” che andavano spesso rinchiusi in manicomio). Può succedere allora che gli Ucraini (che fanno parte della “Piccola Russia”) sono quasi Russi; “quasi”, non proprio uguali. Non si riconoscono in alcuni simboli (Grande Russia, Ortodossia cristiana di Mosca). Accade così che possono diventare “altri, alius” e quindi minacce per i simboli russi e per la sopravvivenza della Grande Russia. E’ quindi essenziale e giusto, quasi moralmente necessario, che vengano eliminati. (“Cancellare l’Ucraina come nazione” era tra le ipotesi iniziali della “Operazione”). L’aggressività, da pulsione vitale, diviene minaccia e fonte di morte per “l’essere” che ora non è più umano.
Per una teoria della pace.
Da poche migliaia di anni, in alcune parti della nostra terra, alcuni esseri umani hanno iniziato ad affrontare il problema del superamento delle: “diversità”. La frase a me cara “Ama il prossimo tuo E’ Te stesso”, pare una sintesi quanto mai attuale di questi tentativi. In duemila anni il messaggio è stato accolto, rifiutato aspramente, attenuato con quel “come te stesso”. Talvolta sparisce, poi riemerge prepotentemente come agli inizi del secolo scorso con i movimenti per i diritti delle donne, e poi negli anni 60 con i movimenti per i diritti delle minoranze etniche e forse per la prima volta in modo chiaro con i movimenti per la pace.Negli ultimi decenni sembra essersi inabissato nelle buie acque dei nazionalismi, dei “distinguo” quanto mai improbabili (essere umano = sì, se migrante per motivi di guerra; essere umano = non più, se migrante economico???).
La teoria della pace deve portarci però ad una analisi ancora più attenta e forse più dolorosa. A ben guardare anche la nostra scuola, i nostri sistemi di produzione e quindi di lavoro, la stessa sanità hanno finito per esaltare le “diversità”. Alcuni elementi portanti del nostro pensiero (competitività, concorrenza, economicamente conveniente o non conveniente) sembrano rappresentazioni simboliche della nostra aggressività. Se non vengono continuamente posti sotto controllo ed analizzati, rischiano di essere generatori di diversità e di trasformare l’altro in un “alius” diverso da me, che merita di essere scavalcato, superato. L’ ”alius” può divenire minaccia per i nostri interessi vitali. “Non ha i nostri valori culturali. La sua religione è troppo diversa dalla nostra. Curarlo, educarlo non è economicamente conveniente…”. Il nostro modello di produzione, i nostri modelli scolastici, i nostri modelli di assistere la sofferenza traspirano sovente troppa aggressività. Senza che ce ne accorgiamo rischiamo di sostenere il pensiero “si vis bellum, para bellum”.
Di nuovo va ripreso il percorso, ora smarrito, della pace in senso positivo, dello shalom. Nelle nostre attività produttive e pedagogiche va riconquistata l’educazione al pensiero critico . E’ di nuovo necessario analizzare, criticare, talvolta abbandonare i nostri idoli. “Alla negazione degli idoli o alla lotta contro di essi è connessa la riduzione dell’odio e della violenza”.(1) La pace quindi va costruita con lenta pazienza in un percorso iniziato alcuni millenni fa e, probabimente, ancora assai lungo.“Ogni momento della storia è irripetibile e necessario: il presente è la risultante del passato e reca in sé i germi di un avvenire inteso come sviluppo progressivo della storia dell’umanità …….per la conquista di valori sempre più alti nel futuro….il futuro è continuamente da promuovere e costruire…” (2)
_______________________________________________________________________
(1)-Teoria e Strategia della Pace. Erich Fromm, 1970. In “Disobbedienza ed altri saggi”.
Arnoldo Mondadori Editore 1982.
(2)- Aldo Capitini. Patrizia Sargentini 2003. Guerra Edizioni.