Storia e Memoria

Nei campi e nelle officine

Il nostro corrispondente dal XX secolo interrompe il racconto degli eventi politici della primavera 1922 per regalare ai lettori un quadro d’insieme della realtà economica e sociale del territorio folignate, ancora largamente dipendente dall’agricoltura. Una bella serie di cartoline d’epoca correda il rapporto. Buona lettura.

Cent’anni fa, a Foligno. Dal nostro inviato nel XX secolo/16

#storiaememoria
Di Fabio Bettoni
In foto: Colfiorito


Foligno, 12 aprile 1922. Ai Redattori di “La Lotta Socialista” (Roma). Benché abbia richiesto la collaborazione del compagno geometra*** più volte richiamato nelle mie corrispondenze passate, non siamo riusciti ad ottenere dati certi sul censimento della popolazione appena effettuato il primo dicembre 1921.  Talché, a mero titolo di orientamento, ricorro a quello del 1911 (10 giugno). Va fatta, però, una premessa sull’utilizzazione agro-silvo-forestale dei suoli, onde conoscere la base strutturale dell’assetto demico nostrano. Allo scopo, si deve esaminare il Catasto Agrario del Regno d’Italia realizzato tra il 2 luglio 1908 e il 31 dicembre 1909, e così ottenere i dati  sulla ripartizione del territorio comunale di Foligno (26.300 ettari) fra le principali categorie di terreni. La superficie destinata alla produzione agraria e forestale toccava i 25.121 ettari, articolati secondo i seguenti valori percentuali: i terreni arabili e seminativi erano al 40 per cento, la parte più cospicua dei quali era condotta secondo le pratiche della coltivazione promiscua (grano cereali viti olivi ed altre coltivazioni legnose). I prati e i pascoli permanenti stavano al 29 per cento, i boschi al 25, le colture specializzate di piante legnose (terreni vitati e olivati) fermandosi al 6 per cento. Il censimento del 1911 prima menzionato, attestò una popolazione di fatto nel Folignate pari a 29.763 unità (quella legale a 29.301). Entro le mura e nel suburbio daziario (600 m di raggio), risiedevano di fatto 10.342 soggetti; in campagna, 19.421. Tra i censiti si contavano 21.508 individui classificati con la condizione professionale, 8.255 restando non qualificati. Nel gruppo la cui professione era nota, si contavano 17.854 maschi e 3.654 femmine. Gli agricoltori, i braccianti e i pastori maschi erano 12.738 censiti come tali, con le 2.879 femmine si totalizzavano 15.617 individui collegati alla campagna, cioè il 72,6 per cento della popolazione in condizione professionale dichiarata. 

     La terra e l’agricoltura marcavano nettamente l’economia folignate ad un punto tale da coinvolgere anche coloro i quali non svolgevano funzioni produttive dirette in ambiti rurali o palesemente pertinenti alle dinamiche fondiarie. Dico dei commercianti (1.591, di cui 1.416 maschi); di quanti vivevano “specialmente di reddito” (1.125, di cui 682 maschi, includenti i preti di ogni grado con i loro “patrimoni sacri” condizione basilare per l’accesso al chiericato); dei 119 professionisti, avvocati, medici, ingegneri, geometri, agrimensori: tutti maschi; dico dell’artigianato molecolare-tradizionale, di quello manifatturiero nonché dell’industria medio-piccola (nel 1911 il Carnificio in Scanzano e le Officine ferroviarie per le Grandi Riparazioni delle Macchine non vi erano ancora). Dalle campagne venivano le materie prime per l’alimentare, settore il quale tra maschi (428) e femmine includeva 436 soggetti: mugnai, pastai, macellai, formaggiai, fornai, pasticceri e affini; per legnaioli, falegnami 434 (418 i maschi), fornaciai e affini 174 (solo maschi), pellettieri, cuoiai, produttori di articoli in pelle-cuoio (82), pietraioli (32). Qualche legame con le campagne avevano: edili, che tra maschi (1015) e femmine includevano 1.031 addetti: capimastri, muratori, selciaroli e fumisti; metalmeccanici, con le loro produzioni di piccole macchine agricole, e siderurgici fabbricanti oggetti metallici: 486 censiti, tutti di genere maschile; tipografi e cartai: 251 tra maschi (195) e femmine; filatori tessitori e tintori: 58 tra maschi (19) e femmine; chimici: 30 tra maschi (18) e femmine. Si badi: a prescindere dai valori numerici, che sono sicuramente variati nell’arco del decennio 1911-21, oggi la struttura è sostanzialmente immutata. 

Casenove

      Anche sotto il profilo qualitativo. Nella voce di agricoltori, categoria generica-fuorviante, la statistica include oggi come allora: i piccoli coltivatori diretti con terra propria; i coloni-mezzadri operanti (mediante un contratto colonico) con la propria famiglia all’interno di un podere appartenente ad altri; i piccoli fittavoli; e i signori, ovvero i proprietari terrieri definiti di norma possidenti. All’inizio del nostro secolo, i coloni-mezzadri costituivano i ¾ della popolazione agricola umbro-sabina; nel Folignate, altrettanto. Dal canto loro, i braccianti formano tuttora una schiera di mezzadri e piccoli proprietari rimasti senza terra, e nella categoria vanno considerati anche i casengoli, contadini senza terra residenti nei centri abitati. Vi sono poi i pastori la cui attività prevalente è la cura di greggi di una certa entità, condotti in armenti e con logiche di mercato. Essi non appartengono alla piccola proprietà pastorale, alla piccola affittanza, né alla proprietà poderale della mezzadria: queste necessitano solo di qualche capo bovino, ovino, suino (dalle capre occorre guardarsi, per salvare le coltivazioni dalla loro invadenza). Insomma, prevalendo nella micro-proprietà e nella mezzadria poderale la logica dell’autosufficienza produttiva e dell’autoconsumo, dichiararsi pastori in un censimento significa soprattutto definirsi salariati di aziende (stabili o temporanee) dotate in modo precipuo, direi specialistico, di capitale ovino.     

     Ignoro per quali aziende armentizie lavorassero allora i pastori, questi “operai” dell’allevamento animale; ma provo a dare la dimensione strutturale nella quale si muovevano. Devo ricorrere al Censimento del bestiame realizzato in Italia nel 1908. Si apprese che in Foligno gli ovi-caprini (le statistiche univano le due specie) ammontavano a 17.523 capi, cui aggiungere 3.089 suini, 4.325 bovini, 1.687 equini: valori assoluti interessanti, ma è ben più utile vederne il riflesso riguardo agli indici dell’attività agricola che sono valutabili al 1910. Rimanendo ai soli ovi-caprini, per ogni 100 ettari di superficie agraria e forestale si aveva da noi un indice del 69,75; mentre, nel circonvicino ambito territoriale, si avevano: Gualdo Cattaneo 110,80; Valtopina 84,68; Trevi 80,18; Nocera Umbra 76,57; Spello 65,85; Montefalco 49,86; Bevagna 41,89. Nonostante sembri un paradosso, l’indice folignate superava quelli di Norcia (45,12), di Cascia (65,29), di Monteleone di Spoleto (59,72); restando, però, al di sotto dell’indice regionale (83,43) e dei provinciali di Perugia (87,59) e di Terni (71,17). Si può pertanto ipotizzare che nel Folignate si davano aziende pastorali in buon numero, di una qualche consistenza, condotte con lavoro salariato. Considerata “a occhio”, giacché non vi sono statistiche e numeri indici aggiornati, la situazione odierna appare in notevole continuità. 

Annifo

     I nostri armenti utilizzavano: i pascoli aperti nella piana della Valle Umbra (pure i terreni maggesati disponibili per il vago pascolo); gli spazi negli oliveti collinari là dove sono pasturabili; i siti delle alture più elevate: sugli Altipiani carsico-appenninici di Ricciano, Colfiorito, Annifo, Arvello, Popola e dintorni; nella conca di Verchiano, nell’area di Cancelli e di Acqua Santo Stefano, sull’altopiano di Casale. Questo areale montano è il regno delle terre a regime collettivo. Nei 25.121 ettari del territorio agro-silvo-pastorale di Foligno, esse attualmente si estendono per 4.905 ettari di pascoli, prati naturali e boschi (5.005, nel catasto pontificio del 1859); terre assegnate o in via di assegnazione (giacché il processo è in corso) ad una ventina di Enti, detti Comunanze Agrarie. In territorio di Verchiano, alta Valle del fiume Menotre, i beni collettivi assommano a 714 ettari; a Roccafranca, in contiguità spaziale, se ne danno 435; appresso, a Rasiglia, arrivano a 445 ettari. Proseguendo lungo la Valle del fiume Menotre, si sviluppano i 206 ettari in Casenove. Scendendo in direzione della città di Foligno, il fenomeno comunitario si attenua: Sostino, a sinistra del Menotre, denuncia 79 ettari; le comunanze di Colle San Lorenzo e di Uppello, alla destra del corso d’acqua, ne detengono 69 e 18; Pale ne ha 59, mentre, tra pendici collinari e pianura, si attestano sui 129 ettari i beni comunitari di Belfiore. Nel bacino dello stesso Menotre, e sul versante sinistro dell’asta fluviale, lato montano-collinare digradante verso la Valle Umbra, la Comunanza di Cancelli assomma 900 ettari; quelle di Roviglieto, Scandolaro, e Santo Stefano dei Piccioni hanno 395, 129 e 24 ettari ognuna. Il quadro si completa con gli Altipiani carsico-appenninici intorno a Colfiorito, ove s’incontrano le Comunanze di: Pisenti, 72 ettari; Fondi 409; Annifo, 362; Colfiorito 184; Popola e Fraia 88; Afrile 198; Arvello, 15; Cariè 43; e, sul versante di Nocera Umbra, Cassignano con 61 ettari. 

     Il proletariato contadino di queste zone non potrebbe vivere qui senza le (pur residuali) terre comuni e gli atavici diritti d’uso su terre comuni, pubbliche e private. Per proletariato contadino intendo i residenti senza terra dediti ai mille mestieri e all’emigrazione stagionale verso il litorale tirrenico (la grande migrazione Oltralpe è cessata nel 1914-15), i mezzadri impoveriti, i braccianti, i  proprietari conduttori in proprio di minuscoli appezzamenti appena sufficienti allo sfamo, nonché i salariati delle due grandi aziende agrarie ubicate sugli Altipiani tra Colfiorito e Serravalle di Chienti nel Camerte: le aziende dei conti Valentini di Canino, e dei principi romani Boncompagni Ludovisi Sora Piombino.   

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