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Maggio dei Libri

Il Maggio dei libri, presentato da Sabina Antonelli. Con i contributi di Ivana Donati, Antonio "Nino" Ferrara, Elena Lunardi, Daniela Valente e Silvia Vecchini.

#scuola #letture
Di Sabina Antonelli
In foto: Libri


Carissime lettrici e carissimi lettori di Sedicigiugno,

come sapete la pagina della scuola da sempre ha cercato e cerca di dare voce alle nostre e ai nostri insegnanti, dirigenti, ragazze e ragazzi per conoscere, riflettere e valorizzare le esperienze educative e didattiche che caratterizzano il nostro “essere scuola”. Nello stesso modo però, ci piace raccontare realtà diverse e geograficamente lontane da noi, dando spazio a chi, pur essendo distante, condivide la nostra visione di scuola. Una scuola che non trasmette ma sostiene, che non è magazzino di informazioni ma luogo di apprendimento permanente, che non si ferma alla superficie ma è terra fertile di incontro con il mondo, il sapere, e noi stessi. 

Inoltre abbiamo sempre raccontato modalità educative e didattiche di grande valore chiedendo diversi contributi ai referenti di movimenti specifici come il Movimento di Cooperazione Educativa, la Rete di Cooperazione Educativa o di metodologie antiche ma ancora attualissime come il Metodo Montessori o nuove e sperimentali come Bimbi Svegli. Abbiamo ospitato la Scuola Finlandese, il grande Mario Lodi, Gianni Rodari e molti altri. 

In questo numero vogliamo raccontarvi un evento importante che dal 2011 sostiene, a livello internazionale, la lettura e sottolinea il valore sociale del libro quale elemento chiave per una crescita personale, culturale e civile dell’individuo: Il Maggio dei Libri

La campagna inizia il 23 aprile, giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, e termina il 31 maggio ed è aperta a qualsiasi contributo da parte di enti locali, scuole, biblioteche, librerie, festival, editori, associazioni culturali e molteplici soggetti pubblici e privati. Sin dall’inizio è rimasto costante l’invito a portare i libri e gli altri strumenti di cultura soprattutto nei contesti meno tradizionali, dando modo anche a coloro che non leggono abitualmente, di scoprire il piacere di questa pratica e gli universi che vi si possono nascondere.

Nel 2021 il Maggio dei Libri è stato dedicato a Dante in occasione del 700° anniversario della morte del Sommo Poeta declinando il tema dell“Amor… ch’a nullo amato amar perdona”, “Amor… che ne la mente mi ragiona” e “Amor… che move il sole e l’altre stelle”.

La campagna del 2022 si intitola “Contemporaneamente” ed è l’occasione di “leggere per comprendere il passato”, “leggere per comprendere il presente” e “leggere per comprendere il futuro”. Dunque “leggere”, leggere per conoscere, capire, ricordare, riflettere. Leggere per essere liberi, per osservare ed interpretare il mondo, per viaggiare nel tempo e nello spazio, per vivere non solo la nostra vita ma le vite degli altri e riconoscersi in loro. 

Così abbiamo pensato di chiedere un contributo a chi, della lettura e dei libri, ha fatto il cammino della propria vita. Ve li presentiamo in ordine alfabetico utilizzando le loro “presentazioni ufficiali” ma io mi permetto di aggiungere qualcosa in più. Qualcosa che nasce dalla fortuna di averli incontrati nella mia vita.

Ivana Donati

Ivana Donati

Ivana donati è nata a Spello, ha frequentato il Liceo Scientifico G. Marconi di Foligno e si è laureata in lingue e letterature straniere presso la facoltà di Lettere di Perugia. Ha insegnato francese in tutte le scuole superiori di 2° grado di Foligno e gli ultimi 15 anni presso il Liceo delle scienze sociali Beata Angela e il Liceo Linguistico Federico Frezzi di Foligno. Ha dedicato e dedica tuttora molto molto tempo a diffondere l’amore per la cultura e specificatamente per la lettura. Come presidente del Distretto scolastico n.7 di Foligno prima e poi di FulgineaMente, dal 2015 organizza eventi culturali, incontri aperti agli studenti di tutta l’Umbria e ai cittadini. Segue con passione le diverse attività dell’associazione: Premio FulgineaMente per scrittori umbri, concorsi nazionali per adolescenti, laboratori di lettura in carcere e in ospedale (covid permettendo), formazione per insegnanti di ogni ordine e grado, incontri con gli autori. 

La mia amicizia con Ivana nasce più di trenta anni fa eppure, ancora, sa incantarmi con la sua passione per la lettura. Una passione che la fa vivere sempre in fermento, pronta a recepire qualsiasi spunto, occasione e possibilità per continuare il suo lavoro, rendendolo migliore e ampliando lo sguardo con il quale si rapporta con il mondo intero. La sua mente è sempre affamata di conoscenza, le sue mani sempre tese verso l’altro. Per voi si racconta con semplicità e trasparenza, attingendo nel grande sacco dei ricordi che, come tutte e tutti, tiene nascosto nel cuore.  

Antonio Ferrara

Antonio “Nino” Ferrara

Antonio Ferrara è nato nel 1957 a Portici, in provincia di Napoli, dove ha vissuto fino all’età di vent’anni. Da allora vive a Novara, dove ha lavorato come educatore in una comunità alloggio. È scrittore, illustratore e formatore. È convinto che scrittura, lettura e illustrazione costituiscano un dirompente e proficuo mezzo per fare educazione sentimentale, prevenzione del disagio. Un modo speciale per imparare a nominare e a condividere le emozioni. Ha ricevuto diversi premi, tra i quali il Premio Andersen, nel 2012 per il miglior libro oltre i 15 anni con “Ero cattivo” (San Paolo) e nel 2015 come illustratore. Nel 2017 è tra i vincitori del Premio Letteratura Ragazzi della Fondazione Cassa di Risparmio di Cento con “Il fiume è un campo di pallone” (Bacchilega). Con Edizioni EL / Einaudi Ragazzi ha pubblicato “Pusher”   vincitore del 61° Premio Bancarellino.

Antonio, “Nino” per gli amici, è travolgente nella sua ironia, esplosivo nel coinvolgere bambini/e e ragazzi/e, sempre allegro e pronto a giocare ma questo aspetto del suo carattere non deve trarre in inganno: il suo è un percorso che ha obiettivi ben chiari e definiti, pensato, ragionato, costruito con esperienza e generosità. Un percorso che scava nel profondo e lascia piccoli, grandi semi che germogliano. Che tu sia un bambino o un adulto. Con i suoi libri, negli incontri,  proponendo i suoi laboratori, Nino ti aiuta a camminare sul filo della tua vita in equilibrio e ti sostiene ma ti fa riflettere, ti aiuta ma ti sprona a dare il meglio di te.

Elena Lunardi

Elena Lunardi

Elena Lunardi è un’educatrice laureata alla Facoltà di Scienze dell’Educazione di Padova nel 2004, con master di secondo livello di specializzazione in coordinamento di servizi socio educativi alla Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana di Roma. Lavora con adulti e bambini a partire dal nido. È stata educatrice in un centro antiabuso e maltrattamento e ha fatto SED domiciliari con bambini in difficoltà educativo-sociale e diversamente abili. Ha lavorato con laboratori con i ragazzi stranieri e dentro le scuole come supporto agli insegnanti nelle classi “difficili”. Ha fatto un anno di tirocinio presso l’Università di psicologia di Padova alla cattedra della dottoressa Daniela Lucangeli , relatrice di laurea. Conduce corsi on line per insegnanti sugli albi illustrati e organizza laboratori creativi ed artistici da sola o collaborando anche con grandi nomi della letteratura per l’infanzia come Fuad Aziz, Chiara Lorenzoni,  Hervè Tullet. Collabora con la Petite Ecole De New York e insieme al direttore Virgil della scuola, tiene atelier on line per bambini e adulti in diretta fb tutti i lunedì in lingua francese/inglese. Utilizza l’albo illustrato come strumento, come ponte e dialogo tra adulto e bambino e ama mostrare le diverse letture che un albo può avere. Apre collegamenti all’arte e ai diversi artisti e propone attività dove i bambini sono protagonisti e autonomi e dove l’adulto può imparare ad avere uno sguardo altro. Usa la fotografia e le immagini e la natura come fili conduttori, insieme ai libri, di nuove maniere di espressione.

Elena è un vento fresco di tramontana, un’onda che si rovescia improvvisa, un piccolo scrigno che racchiude un’infinita energia. Sa commuoversi di fronte alle parole che le scavano il cuore, sa ridere anche di se stessa, sa mettersi in gioco ed amare: un filo d’erba, un raggio di luce, un sorriso, il mondo dei bambini e delle bambine. Entrare in sintonia con lei, con i suoi capelli ribelli, le sue collane e i suoi vestiti colorati è facile. Entrare nel suo cuore è un dono. 

Daniela Valente

Daniela Valente

Daniela Valente è direttore editoriale della casa editrice Coccole Books. Si occupa di promozione alla lettura e di progetti a tutela dei diritti dei minori, lavorando da molti anni come consulente ed esperta per scuole e diversi enti pubblici. Cura corsi di formazione per adulti su come nasce un libro per ragazzi e anima laboratori di scrittura creativa nelle scuole. Affianca al suo lavoro di editor quello di scrittrice, perché non può fare a meno di incontrare i bambini.

Premi e riconoscimenti: “Dura la vita da duro” Premio book trailer Città di Biella 2012 / “Mamma Farfalla” Finalista Premio Diomedea 2013 / “Più grande di così” (inedito) Menzione al Concorso Internazionale Syria Poletti sulle ali delle farfalle 2013 / “Una vita da somaro” Premio letterario Proviero – città di Trenta edizione 2013 sezione narrativa illustrata, Finalista segnalato Premio ITAS libro di montagna 2015 sezione libri per ragazzi.

Daniela è un sorriso. Una risata che ti travolge, una capacità di cogliere la bellezza della vita che stupisce. Credetemi, è così. Sono certa che lei abbia letto, scritto e raccontato molte storie non solo perché lo fa “per mestiere” ma perché sa che i draghi esistono ma possono essere vinti. Questa certezza puoi averla solo se credi nelle fiabe, nelle narrazioni, nella poesia della vita; solo se credi che le parole abbiano una potente forza creativa e possano costruire un mondo diverso, sicuramente migliore. 

Silvia Vecchini

Silvia Vecchini

Silvia Vecchini, nata a Perugia, laureata in Lettere Moderne con una tesi sull’opera poetica di Primo Levi, ha conseguito il Diploma di Alta Specializzazione in Scienze Religiose con una tesi in Pedagogia e Didattica dedicata alle risorse che l’albo illustrato può offrire nella crescita spirituale dei bambini. La sua tesi è stata pubblicata nella collana di saggistica della casa editrice Topipittori di Milano. 

Delle sue poesie ancora inedite ha scritto Erri De Luca in Alzaia (Feltrinelli) nel 1997. Nel 1999 ha pubblicato Diverse fedeltà (Guerra edizioni) che ha vinto il premio Diego Valeri come opera prima. Alcune delle poesie di questa raccolta sono state inserite nell’antologia I poeti di vent’anni curata da Mario Santagostini (prefazione Maurizio Cucchi).

Dal 2000 scrive per bambini e ragazzi: libri tattili, storie illustrate per i più piccoli, prime letture, libri che raccontano opere d’arte, romanzi per ragazzi, raccolte di poesie e fumetti.  Ha curato progetti editoriali, collane, testi scolastici per numerose case editrici. Pubblica con diverse case editrici (Topipittori, Mondadori, Giunti, San Paolo, Edizioni Corsare, Rueballu, Lapis, Bao, Tunué, Millegru…).

Molti dei suoi libri sono stati tradotti (Usa, Francia, Spagna, Russia, Cina, Polonia, Turchia, Corea del Sud e in altri paesi).

Un percorso a quattro mani con Marina Marcolin su poesia e disegno è stato al centro della sezione Planetarium della Mostra di illustrazione di Sarmede (2014).

Al suo lavoro di scrittura è stata dedicata la mostra Poesia di ogni cosa intorno a cura di Libri Fatti a Mano a Pieve Santo Stefano (Arezzo, 2019).

Progetta percorsi per le scuole, incontra bambini e ragazzi in biblioteca e nelle librerie per letture e laboratori di scrittura. Tiene corsi di formazione per insegnanti e conduce gruppi di scrittura per adulti.

​Silvia è la luce soffusa e delicata dell’alba quando si specchia nelle acque del Trasimeno ma anche l’abito azzurro polvere che il lago indossa la sera, quando il cielo comincia a scolorare. È uno sguardo profondo, fatto di silenzi e di ascolto, di parole, cuscini, mani che si stringono e tende che accolgono. È poesia, sussurro. È acqua. Acqua che penetra in profondità e disseta, riaffiora e scorre, andando lontana nel seguire i propri pensieri e, soprattutto, le proprie emozioni. Puoi semplicemente sfiorarla per sentirne la freschezza, puoi immergerti in essa e lasciarti trasportare, puoi limitarti ad ascoltarla ma tutte e tutti sappiamo che dell’acqua non possiamo farne a meno.  




La lettura: un amore lungo una vita

Ivana Donati

Speciale Il Maggio dei Libri
Di Ivana Donati


Da bambina non avevo molti giocattoli, anzi pochissimi. Non ne chiedevo, sapevo che non c’era abbastanza disponibilità economica. Ci pensava Gesù Bambino a portarli a Natale, e bastavano. In campagna, con gli amici e le amiche vicine di casa, si potevano inventare centinaia di giochi da fare insieme. Che io ricordi ho avuto una sola bambola, era bellissima, secondo me. Aveva gli occhi azzurri e i capelli biondi. Chissà perché l’avevo però chiamata Occhi di rosa? Aveva un vestitino a quadretti bianco e blu, era di cartapesta e, quando un bambino decise, in mia assenza, di farle il bagnetto, si sciolse nell’acqua. Provai un dolore profondo che ancora vive nella bambina che è in me.  Non ricordo di aver chiesto altri giocattoli, altre bambole, nessuna poteva sostituire Occhi di rosa.

Un giorno, una bambina, vicina di casa, mi fece vedere l’enciclopedia che i suoi genitori le avevano regalato. I volumi allineati di colore arancione mi fecero innamorare perdutamente. Era un’enciclopedia che presentava argomenti per ricerche scolastiche ma, soprattutto, conteneva il meglio della narrativa per ragazzi di allora, in forma sintetica naturalmente. Espressi a mio padre il desiderio di averla ma non ci speravo troppo. Per noi era troppo costosa. Invece, poco tempo dopo, me la fece avere. Non so come abbia fatto a pagarla, forse l’aveva comprata a rate. La divorai. In poco tempo lessi tutte le storie presenti nei volumi.

 Non ho ricordi delle mie letture alla scuola elementare e alla scuola media. Ricordo però, in terza media, la noiosissima ora di narrativa. Si leggeva un libro a voce alta. Ricordo il titolo “Penna vagabonda” e l’autore,  Virgilio Lilli. Ora ho visto che si può ancora acquistare come libro vintage. Spesso l’insegnante faceva  leggere me perché “per la voce per la gola…di Donati ce n’è una sola” si burlavano di me simpaticamente le mie compagne, (le classi erano solo maschili o femminili a quei tempi), parafrasando la pubblicità della caramella Golia “Per la voce per la gola di Golia ce n’è una sola”. 

 Al liceo, invece, un incontro importante con la professoressa Anna Maria Arcamone ha segnato la mia vita e orientato le mie scelte culturali. Lei, oltre ai classici, ci fece leggere i migliori autori che avevano scritto fino agli anni 70: Vasco Pratolini, Alberto Moravia, Carlo Cassola, Elsa Morante, Pierpaolo Pasolini. Molti di quei nomi non li ho più sentiti a scuola nella mia lunga carriera di insegnante.

All’università ho avuto l’incontro con la letteratura straniera essendomi iscritta alla Facoltà di Lingue e letterature straniere: letteratura angloamericana e francese. Per anni ho letto solo questo tipo di libri, in italiano, ma soprattutto nella lingua originale. Ho adorato questa narrativa straniera tra ottocento e inizio novecento, soprattutto quella francese.  Seguivo su TF1 Bernard Pivot nella sua trasmissione sulla lettura, Apostrophes. lo invidiavo perché era sommerso dai libri che le case editrici gli inviavano. I libri, di cui lui parlava, salivano subito in vetta alle classifiche delle vendite. Io invece i libri me li dovevo comprare oppure li prendevo in biblioteca ma non mi è piaciuto mai prenderli in prestito perché i libri che leggo e che mi piacciono devono restare nei miei scaffali. Poi, alla fine degli anni 90, una bellissima circolare ministeriale invitava gli insegnanti a promuovere la lettura per il piacere di leggere. Era quello che ci voleva per un cambiamento. Spesso a scuola la lettura era legata allo studio e, paradossalmente, spesso questo spegneva, invece che alimentarlo, il piacere di leggere. Mi inventai, sulla base di quella circolare, il “Progetto lettura per la formazione della persona” destinato a tutte le scuole di ogni ordine e grado, in rete fra di loro e in collaborazione con le case editrici e le librerie. Un dirigente si “spaventò” per la vastità del Progetto e lo rifiutò ma, l’acquisizione della Presidenza del Distretto scolastico n. 7 di Foligno e la sensibilità di un altro dirigente, mi facilitarono il compito per la sua realizzazione. A quel punto ci fu una grande adesione da parte di tutte le scuole del territorio.  Un altro sogno si realizzò per me. Quasi come Bernard Pivot, anch’io fui sommersa dai libri che le case editrici inviavano ed inviano ancora per proporli alle scuole.

Dopo la chiusura dei distretti il progetto viene portato avanti dall’Associazione culturale FulgineaMente. Quest’anno si compiono 25 anni di incontri con gli autori più grandi della letteratura italiana contemporanea, una grande opportunità per me, per i miei collaboratori, per gli insegnanti e per gli studenti che hanno avuto modo di interloquire con personaggi di grande spessore. Oggi mi capita di incontrare ex-studenti, ormai adulti, che ricordano quegli eventi con grande soddisfazione. Per alcuni di loro l’incontro con un libro, con uno scrittore ha cambiato la vita, ha determinato delle scelte che non avrebbero mai pensato di poter fare. Sembra strano ma è proprio così.

Il premio FulgineaMente a Palazzo Trinci

 In questi ultimi anni il progetto si è esteso a tutta l’Umbria. Dalla lettura siamo passati anche alla scrittura perché la scrittura come la lettura ci aiuta, ci salva, ci cura. È nato dunque il Premio FulgineaMente per scrittori umbri per valorizzare la produzione letteraria locale, per conoscere storie che riguardano la nostra regione e per salvaguardare la memoria del nostro passato.  Infine abbiamo voluto dare la parola ai giovani, abbiamo voluto dare voce anche a loro, soprattutto in questi ultimi due anni difficili per tutti ma soprattutto per loro, per la scuola.  È nato così il Concorso Nazionale per studenti “Sotto il segno del covid” e il libro omonimo che ha permesso a tanti giovani di esprimere con la scrittura quello che a volte non è facile dire con le parole.


Leggere è appartenere

I libri di Antonio Ferrara

Speciale Il Maggio dei Libri
Di Antonio Ferrara


La prof di lettere si è messa a spiegare un autore. Ne parlava con una tale passione che a un certo punto, inevitabile, è arrivata la domanda.

– Ci legge qualcosa, prof? – ha chiesto Giulia.

Lo ha chiesto perché la prof legge molto bene, fa le pause lunghe e, quando legge, ci ipnotizza tutti. In classe non si sente nemmeno un colpo di tosse.

– Sì, prof, ci legga un pezzetto, per favore! – hanno cominciato a chiedere tutti.

– Ok, ok – ha detto la prof, ha aperto il libro e ha cominciato a leggere.

Siamo rimasti in silenzio tutto il tempo, non si sentiva nemmeno Claudio tirare su col naso, lui che è sempre raffreddato.

– Dài, prof, mi ha fatto venire i brividi! – le ho detto alla fine.

– Ah, sì? – ha chiesto la prof, alzando la testa dal libro – E come mai?

– Non saprei dire…

– Provaci.

– Era come se… come se…

– Come se?

– Come se a parlare fossi io, ecco, come se quelle cose le avessi scritte io, come se fossero capitate a me!

– Già. Proprio così – ha fatto la prof, guardandomi dritto negli occhi. Aveva una luce strana, negli occhi, diversa da tutte le altre volte. Poi ha continuato.

– Lo ha detto molto bene un grande scrittore, Francis Scott Fitzgerald: “Questa è la parte più bella di tutta la letteratura: scoprire che i tuoi desideri sono desideri universali, che non sei solo o isolato. Tu appartieni”.

Da “Scherzare col fuoco – nella scuola e nell’educazione senza scottarsi” di Antonio Ferrara e Filippo Mittino ed. Einaudi

La lettura, in certe circostanze – ma forse sempre – è una questione di solidarietà. Il bello della letteratura, diceva appunto Francis Scott Fitzgerald, è che quando leggi scopri che non sei solo, scopri che appartieni.

Lavorare con i libri insieme ai ragazzi detenuti o sotto misure alternative alla detenzione è stata risorsa preziosa attivata da operatori che ci hanno creduto e l’hanno praticata tenacemente, con grande generosità.

Leggere è un’attività “diabolica” che insegna a:

1 Stare da soli

2 Ascoltare

3 Elevare i tempi di concentrazione

4 Sviluppare empatia

5 Staccare dai fatti del mondo

6 Frequentare realtà parallele

7 Accogliere punti di vista differenti

8 Riflettere sul non detto

9 Vivere avventure anche estreme senza correre rischi

10 Sviluppare solidarietà nei confronti dei fragili.

E poi c’è la scrittura. Lo so bene.

Per me la scrittura e i laboratori di scrittura rappresentano un percorso nato anni fa nel carcere di massima sicurezza di Novara per dare tragitti visibili alle tante storie chiuse nei cuori e nei cassetti, per fornire consapevolezza tecnica e canalizzazione a tante emozioni nascoste.

È stato perfezionato insieme ai detenuti delle case circondariali di Secondigliano, di Pesaro, di Fossano, di Pescara. Insieme ai pazienti e ai medici del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano. Si è smussato in diverse sedi universitarie e in decine e decine di biblioteche, scuole e librerie italiane e della Svizzera italiana. L’idea è sempre stata quella di proporre la scrittura come pratica privilegiata per nominare e condividere le proprie emozioni, per fare educazione sentimentale. Scrittura come prolungamento del sentimento.

L’idea, per me, è ora quella di unire le forze e valorizzare queste competenze che anche in altri luoghi fioriscono. Occorre, penso, allearci tra operatori, sommare competenze eterogenee ed affini, schivare le svalutazioni, prendersi cura in presenza, costruire fiducia e rispetto con parole come carezze. Mettere insieme gente preziosa che negli anni ha coltivato tenaci e produttivi legami col territorio e con gli istituti scolastici, che ha adoperato i libri e invitato gli scrittori come leve di mediazione culturale, di inclusione e di promozione sociale.

Occorre, ora più che mai, progettare una inedita alleanza educativa. Per boicottare la disperazione, per riorganizzare la speranza. Occorre parlare di limite, di desiderio, di mistero, della paura e del coraggio di avventurarsi.

Sulla strada del ritorno era tutto diverso dall’andata. C’era cattivo odore nell’aria. Gli uccelli cantavano stonati, il ruscello scorreva più lentamente, l’erba sembrava meno fresca. Tutto il bosco era dispiaciuto, si vedeva, anche se non diceva niente, si adattava.

Tornavo verso casa con le mani in tasca e pensavo alle cose che la prof di scienze aveva detto a scuola e alle cose che Bartolomeo aveva detto poco prima là davanti casa loro. Pensavo a tutte le cose che avevo imparato. Non possiamo far finta di niente, pensavo. Non posso far finta, queste cose adesso le so.

Allora ogni tanto mi fermavo, tiravo fuori le mani dalle tasche e toccavo le cortecce ruvide dei tronchi, accarezzavo l’erba, annusavo i fiori, mi toglievo le scarpe e mi bagnavo le mani e i piedi nell’acqua del ruscello, ascoltavo gli uccelli con più attenzione, per vedere se riuscivo a venire a capo dei loro discorsi complicati.

E gli uccelli, se ascoltavi bene, lo sentivi che piangevano, lo capivi che si lamentavano e, singhiozzando, ti dicevano quello che gli uomini facevano alle piante, all’acqua e agli animali, quello che il bosco ogni giorno doveva sopportare.

Io ascoltavo e capivo tutto, e gli volevo bene, al bosco, e lui adesso mi dava confidenza.

Mi infilai le scarpe, mi rimisi le mani in tasca e continuai per la mia strada con tutti quei pensieri in testa. Non ero contento di tornare a casa, no, mi sembrava quasi che il bosco avesse bisogno di me, e io di lui, e che dovessimo sempre stare insieme.

Andavo verso casa senza nessuna voglia di andarci, ma a un certo punto mi fermai in uno slargo, sotto due alberi uguali, mi guardai intorno e mi misi a scavare con le mani. Il punto non era un punto qualsiasi, doveva essere riconoscibile, facile da ritrovare, all’occorrenza. Infatti era sotto due alberi gemelli.

Lì mi misi in ginocchio e presi a scavare. Feci una buca piccola, ci accostai la bocca e pronunciai un segreto. Poi ricoprii con la terra, così restava protetto per sempre.

Tratto da “Sulla soglia del bosco” di Antonio Ferrara ed. Einaudi


Gli albi illustrati: un amore per la vita

Albi illustrati

Speciale Il Maggio dei Libri
Di Elena Lunardi


“Cresciamo solo se sognati”. Così Danilo Dolci scriveva in una sua poesia.

Risuona in me questa frase mentre osservo i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze.

C’è bisogno di un tempo. Lento. Di ascolto, un tempo di apertura all’altro. C’è un grande bisogno di sentire. A pelle, nelle parole, nei gesti che, noi siamo. Un estremo bisogno di ritornare, di cancellare, di dare, di tendere, di pazientare. C’è bisogno di donare possibilità e sogni da coltivare.

Se l’occhio non esercita, non vede. Se la pelle non tocca, non sa. Se l’uomo non immagina, si spegne.”  (Danilo Dolci).

Che cosa significa per me fare quello che faccio?

Cercherò di condividere con voi in questo articolo ciò in cui credo.

Mi sono sempre sentita inadeguata, con la testa fra le nuvole e i piedi scalzi nell’erba.

Passavo e passo ore ad osservare i dettagli della natura e per questo comunico con la fotografia. Amo giocare con i dettagli e con il macro, mostrare che un oggetto può prendere altre sembianze. Posso dire che mi sono tenuta gli occhi bambini, quelli che hanno uno sguardo di sole, che colgono le piccole cose e la loro bellezza.

Amo ascoltare ciò che il vento mi racconta. Mi commuovo facilmente e trovo che l’incontro con l’altro sia dono.

Perché scrivo questo. Perché questo mio essere sensibile ed empatico è stato in passato strutturato e richiuso. Ne ho sofferto ma ad un certo punto, ho voluto liberarlo e, attraverso le storie, il colore, la fotografia, la poesia, la Natura, metterlo in valigia, per portare semi da far germogliare.

 Per ricordare agli adulti di essere SIGNIFICANTI, per dire ai bambini che devono coltivare e credere nei loro sogni e che sono tutti unici e irripetibili e come tali, portatori di bellezza e che se anche a volte non è facile, troveranno sempre una mano tesa ed orecchie pronte ad ascoltarli.

Oltre ad essere insegnante sono anche un’educatrice che ha lavorato con il maltrattamento e l’abuso e con realtà delicate e difficili. Sono madre di 4 figli e questo mi ha cambiata profondamente. Credo fortemente nei bambini e nei ragazzi, nelle loro potenzialità e talenti. Quando vado nelle scuole, o faccio le formazioni respiro a volte la fatica dello stare con loro.  Sento la difficoltà e l’incapacità di rimettersi in gioco per loro.

Allora propongo uno sguardo altro. Difficile da indossare subito, può mettere in crisi, può demoralizzare, possiamo non sentirlo nostro. Ma questo, il nostro, è un lavoro di semina. Di pazienza. Sappiamo tutti quanto più facile sia considerare l’infanzia un “vaso da riempire” quanto sia più facile avere schede pre-compilate o stampate, quanto sia più facile avere pre-giudizi nei loro confronti, ergerci a giudici sapienti.

Credo sia nostro dovere metterci, oggi più che mai, in ascolto vero. Un ascolto buono, dove la voce dei bambini trova uno spazio sincero, un’apertura per uno sguardo che vada oltre il banco di scuola. Credere nei talenti, lavorare su quelli e poi avvicinarsi alle lacune che possono insidiare i nostri bambini. Ognuno di noi porta un proprio bagaglio, una valigia che a volte si trascina pesantemente e lascia solchi. Dobbiamo quindi COMPRENDERE. Ecco, nel momento in cui abbiamo chiaro questo focus, dobbiamo aver altresì chiaro che noi non conosciamo nulla di quel bambino o quella bambina, non sappiamo quale sia il suo bagaglio, il suo vissuto, le sue esperienze (questo vale anche quando ci rapportiamo con un altro adulto). Dobbiamo entrare in punta dei piedi in questo loro mondo e averne RISPETTO. Parola fondamentale. Il rispetto per loro come persone in crescita, rispetto delle parole che usiamo nei loro confronti, rispetto per le nostre azioni.

Quando penso ai bambini e agli adulti con i quali mi troverò a passare delle ore insieme, penso a tutto questo e penso alla CURA.

La poesia?

Prendersi cura di chi è con me e condivide con me quella giornata. L’empatia e l’ascolto, la parola gentile, una mano tesa, sono ciò che fa di me… me con l’altro. Nell’altro c’è incontro, apprendimento, contaminazione, passaggio. Nell’altro trovo me stesso.

Le parole, per poterle trasmettere, devo sentirle mie e prendermene cura ogni giorno e, per farlo, devo mettermi in ascolto.

La parola trova casa nel cuore, mi piace dirlo ai bambini. Ciò che diciamo e ciò che facciamo fa la differenza. Resta nel bene e nel male. Quindi possiamo noi dare voce alle nostre parole? Le cerchiamo? Le ascoltiamo quando arrivano?  Ai bambini, a tutti, leggiamo poesia.

Scrive Cristian Bobin in abitare poeticamente il mondo ed. ANIMAMUNDI: “la  poesia ha relazione con la cura.  I latini usavano la parola colere da cui cultum, origine del termine cultura. L’agri-coltura non era altro che prendersi cura del campo…la cultura è stare nel campo, farlo fiorire, sentire il bisogno di coltivarlo, sudare per lui. Cultura è conoscere bene i semi,i solchi della terra, i tempi e le stagioni dell’umano ed occuparsene, perché quel campo dia frutto al tempo opportuno…

La poesia abita i bambini. Quando sentono che dico loro questo, ne restano sempre sorpresi e a volte increduli, soprattutto quando vedono che, dal loro essere, nascono capolavori. Parole mai dette che trovano spazio, parole sentite che trovano casa in un laboratorio e allora l’incredulità si trasforma in gioia ed entusiasmo. La poesia è dono. È un regalo che facciamo a noi stessi e che possiamo fare agli altri.

E le storie?

La lettura ad alta voce mi offre  la possibilità di mettermi in apertura verso il mondo bambino, chiedendo loro il permesso di poter entrare alla mia maniera, con le storie e poi con un laboratorio. Quando leggo, apro le finestre della fantasia, spalanco i confini, mostro ai bambini e alle bambine che c’è altro, che il sogno e le storie, aiutano a crescere.

 Ogni mia lettura è sempre in armonia con i laboratori che poi propongo e questo perché ciò che è importante, non è il prodotto, ma il percorso, il processo mentale, emozionale, relazionale che la lettura e la successiva espressione creativa attivano nel cuore dei piccoli. Albi pensati per essere attivatori e ponti, preziosi per arrivare in altri spazi, luoghi e tempi; attività pensate per permettere ai bambini di svolgerle in autonomia; attività scelte consapevolmente per accendere pensieri e, non da ultimo anche se scritto alla fine, messa in gioco da parte di chi condivide la strada con loro.

E la fotografia è legata alle storie?

Ci sono albi che fanno giocare con l’immaginazione attraverso le foto. Lavoro molto poi con l’ingranditore e il microscopio digitale per mostrare agli adulti che dobbiamo disimparare e ai bambini invece che, se facciamo maggior attenzione, i dettagli fanno la differenza. Se stimolati adeguatamente tutti possiamo divertirci. Rodari, Munari e molti altri grandi che hanno fatto più bello il mondo, hanno sempre sottolineato l’importanza di giocare con la fantasia e l’immaginazione.Piaget diceva che l’apprendimento avviene attraverso il gioco.  Ebbene, quando mi trovo di fronte ai bambini so con certezza che non devo insegnare loro come usare la fantasia e l’immaginazione perché ne sono portatori. Con loro mi soffermo sul dettaglio. Alla scoperta di come una cosa può diventare un’altra. Sul coltivare la sorpresa e l’entusiasmo.

L’ascolto di cui scrivevo sopra è fondamentale per me. Ascoltare le domande che hanno da farmi, poter avere un dialogo con loro, una comunicazione sincera per poter lavorare assieme.

E la Natura?

Amo lavorare con ciò che la natura mi offre ma solo ciò che raccolgo da terra, senza strappare nulla. Se devo prendere dei fiori vado dal fiorista che mi da quelli che deve buttare via, per esempio. Perché quelli che trovo in natura servono agli insetti impollinatori.    Mi piace mostrare quanto sia bello osservare, fotografare, comparare, classificare insieme ai bambini e agli adulti.  Il cambiamento e l’atteggiamento verso la natura, il mondo e l’altro dobbiamo sentirlo, farlo nostro. Maria Montessori diceva la pace deve essere NELLA famiglia, non si insegna e basta. La dobbiamo respirare e vivere e crederci per poterla trasmettere. Lo stesso vale per i principi importanti. Siamo tutti dentro ad un ecostistema molto delicato.

E gli albi illustrati?

Loro riassumono tutto quello che ho scritto sopra.

Grazie a loro portiamo meraviglia.

Me ne sono innamorata 15 anni fa e, da quel giorno, non ho più smesso di acquistarne (ho più di tremila titoli nella biblioteca personale). La bellezza che trovo negli albi, il mondo racchiuso in quello scrigno che è il libro, il rispetto per chi lo illustra e lo scrive e per il mondo che lo accoglie per donarlo a tutti, mi ha sempre destato profonda ammirazione.

Quando faccio i miei corsi di formazione, o di “condivisone e contaminazione” come li chiamo io, lo ribadisco sempre: l’albo è uno strumento fondamentale, un ponte, una bacchetta magica che se usato bene può aprire finestre che in altra maniera non riusciremmo ad aprire. Per me è come un quadro degli impressionisti: visto da lontano lo si vede come un tutt’uno ma, man mano che ci si avvicina all’opera, notiamo che invece i colori sono stesi con mille stratificazioni. Potrei paragonarlo anche ad un carciofo o, perché no, a una cipolla!

Ecco l’albo per me è così. Non esistono, a mio umile parere, albi a tema. Ma nell’albo se lo sappiamo leggere e, se l’albo ha un giusto equilibrio tra illustrazione e testo, possiamo scovare più significati, fare mille collegamenti, lavorare trasversalmente e appropriarci di questa bellezza. Come scrivevo sopra “possiamo indossare uno sguardo altro, un nuovo paio di occhiali ed arrivare ai bambini, agli adulti, a tutti”.

La mia domanda è perché, ancora oggi, si fatica a comprendere che ognuno di noi apprende alla sua maniera, che non siamo omologati, che la scuola è conoscenza, apertura al mondo e sperimentazione e al centro deve mettere i bambini e le bambine.  Sorrido perché sembrano frasi fatte e stampate. Sono portatrici di grande valore invece e, anche se spesso la mia visione trova grandi ostacoli ancora, so che il cambiamento non avviene in tempi brevi. Nell’attesa, sono consapevole di quanto sia importante donare, scalfire, aprire possibilità.

Albi, fotografia, parole che diventano poesia, mani che creano. Quando lavoro con i bambini so che tornerò a casa con un nuovo bagaglio. Sono ogni volta più arricchita e felice.

La mia gratitudine a loro.

La Natura.
Nelle foto trovo storie,
nella natura poesia


Maggio non può durare solo un mese

Pensieri da editor, riflessioni da editore, scelte da autrice

Catalogo 2020 CoccoleBooks

Speciale Il Maggio dei Libri
Di Daniela Valente


Il maggio dei libri consacra ogni anno un periodo di fermento e attività intorno a questo prezioso e indispensabile strumento, che per alcuni è oggetto di diletto, per altri di lavoro, per altri ancora rappresenta entrambi. Nulla da dire. In questo paese, che potrebbe vivere di cultura, ogni riflettore acceso su questo aspetto è un regalo insperato. Comuni, biblioteche e scuole si risvegliano dal torpore e si affannano a riempire di eventi le settimane di maggio, stampare locandine piene di iniziative e chiamare l’autore o l’editore di turno per chiedere:  Volevamo invitarla per il maggio dei libri. Se fosse disponibile a un incontro a scuola. Sa, quest’anno abbiamo aderito e vorremmo che incontrassi quattro classi ecc…

Ogni invito onora, riempie di orgoglio, a tutti piace essere protagonisti, in qualche modo attenzionati, per il proprio lavoro con i libri.

Ma la domanda è: se i fruitori dell’incontro non hanno letto un libro che hai scritto o editato, di che tipo di incontro stiamo parlando? Una relazione sull’importanza della lettura, che vedrà una ricca platea annoiarsi di fronte all’ennesima lezione? Un piccolo spettacolo in cui il relatore si trasforma in showman per animare alla lettura con risate, commenti, domande e magari, nell’ipotesi più fortunata, con il coinvolgimento degli ascoltatori? In entrambi i casi si tratta di incontri occasionali, creati cioè dall’occasione che questo mese, dedicato ai libri, crea. Un’occasione che torna ogni anno come il natale, ma che è troppo breve per produrre davvero cambiamento.

Altra cosa sono gli incontri e, per fortuna ci sono anche quelli, in cui ogni bambino in classe, ogni ascoltatore in platea ha un libro tra le mani, pagine alle quali ha dedicato vista, tempo ed emozioni. Allora l’occasione è davvero ghiotta, nessuna relazione noiosa, nessuno spettacolo, ma un incontro vero dove ci si scambia opinioni, si ascoltano perché no informazioni, ci si confronta sugli esiti comunque belli perché condivisi, di una lettura.

È chiaro che, in quest’ultimo caso, maggio è solo il mese in cui si corona un percorso che dura molto di più, un progetto che vede il libro al centro dell’attenzione sempre, ogni giorno dell’anno e trova in questo mese di primavera sbocciare relazioni, incontri dibattiti, proficui e veri in grado di produrre cambiamento.

Ecco, questo è il tipo di invito che mi aspetto per il maggio dei libri. Incontri occasionati, veri e propri pretesti per concludere percorsi. E i percorsi si costruiscono nel tempo.

Coccole books da sempre ha a cuore i suoi destinatari finali: i giovani lettori. Protagonisti in ogni nostra scelta editoriale, fruitori autonomi o accompagnati di albi, romanzi e racconti che con il tono giusto, come suggerisce Rodari, parlano di tutto: dai temi più sensibili a storie più amene e divertenti.

Coccole books nasce 18 anni fa e quest’anno diventa maggiorenne. Pensiamo da sempre che fare libri per ragazzi possa rappresentare una concreta azione politica in grado di produrre cambiamento. Una piccola rivoluzione, un segno per guardare in modo diverso le cose della vita, ma anche gli aspetti a volte complicati di un territorio. La nostra sede si trova in Calabria, dove abbiamo deciso di restare. Ci siamo proiettati sin da subito in una dimensione nazionale, sia nella scelta di testi e autori che dei destinatari delle nostre pubblicazioni. In questo percorso non abbiamo, però, mai tradito la nostra identità di casa editrice indipendente, sociale e solidale. Che non dimentica risorse e problemi della terra in cui opera tutti i giorni e che si propone di moltiplicare buone prassi, come il rispetto dell’ambiente e del lavoro. La Coccole books ha scelto di stampare in tipografie solo italiane e su carta ecologica. Racconta di mafie e ius soli, di integrazione e diversità, di diritti negati e parità di genere, ma non dimentica mai che i destinatari dei libri sono i bambini e i ragazzi di oggi, che hanno bisogno di libri di buona qualità, scritti e pensati per loro.

Pensiamo che un buon libro deve lasciarti in qualche modo cambiato. Perché ti ha offerto strumenti per capire, perché ti ha emozionato, perché ti fa guardare con occhi nuovi le cose di sempre, perché semplicemente ti ha offerto una parentesi da dedicare a te stesso. Un libro per bambini deve essere, però, anche un buon prodotto editoriale: occorre curare la scelta della carta, la grafica della copertina, il rapporto equilibrato tra testo e illustrazioni. Un libro per bambini non è e non deve essere solo una bella storia, ma anche un oggetto prezioso, frutto di attenzione, cura e mestiere.

Offrire ai bambini, fin dalla loro nascita, un contesto in cui il libro li accompagni è determinante perché la lettura sia una tra le loro opzioni quando cresceranno. Essere circondati dai libri, ascoltare storie, vedere ‘grandi’ che leggono, ancora prima di andare a scuola, è fondamentale. I bambini imparano emulando gli altri e gli adulti in questo devono essere un esempio. Qualche tempo fa leggevo di una ricerca fatta dall’Università Roma TRE. Il risultato dello studio dimostra come i lettori siano mediamente più felici dei non lettori, più capaci di apprezzare il tempo libero, meglio attrezzati cognitivamente per affrontare le emozioni negative.

Un’opportunità che non possiamo negare a tutti i bambini, perché leggere può cambiarti la vita. Ecco perché il maggio dei libri non può durare solo un mese!


Il rovescio della guerra

Silvia Vecchini

Speciale Il Maggio dei Libri
Di Silvia Vecchini


Nelle stesse ore in cui leggevo un libro insieme ai bambini e bambine di sette anni, sulla chat del mio telefono arrivavano messaggi come questo:

In arrivo da Charkiv, non hanno più nulla, hanno bisogno di tutto. Qualche misura:

Ragazzina 15 anni, 163 cm, taglia 44, scarpe 37

Bambino 7 anni, 128 cm, scarpe 33

Bambino 4 anni, 116, scarpe 28

Bambino 9 mesi, 74 cm

Messaggi che poi giravo ai miei figli che si stavano adoperando attraverso raccolte e collette di alimenti, farmaci, indumenti. Hanno già esperienza, lo hanno fatto altre volte e sanno come si fa. Sono grandi e, nel fare, cercano di dare un senso a qualcosa che non lo ha. I bambini più piccoli non hanno nemmeno questa possibilità. Assorbono pezzi di notizie, tensioni, preoccupazioni, angosce, assistono alle nostre reazioni, registrano i discorsi quando noi non pensiamo ci stiano ascoltando.

Ho pensato tanto a che cosa portare ai bambini in questi giorni. Anche perché a breve molti di loro incontreranno bambini che sono fuggiti dalla guerra. Nel mio piccolo comune, nei prossimi giorni, ne entreranno a scuola circa venti. Intanto ho messo da parte il breve frasario e le flash card che alcune traduttrici del gruppo Traduttori per la pace hanno predisposto per accogliere nelle nostre scuole i bambini che vengono dall’Ucraina. Si tratta di brevi frasi da usare nei primissimi giorni.

Glossario

Ho capito che di fronte a un evento così drammatico e complesso, oltre a prepararsi all’incontro in un futuro molto vicino e provare a rispondere alle domande, io desideravo portare ai bambini IL ROVESCIO DELLA GUERRA.

Ho scelto di leggere Il viaggio sul pesce scritto e disegnato da Tom Seidmann Freud, uscito nel 1923 e pubblicato in Italia da Topipittori dove alla storia segue un’appendice interessante, intensa.

Libri

Questa storia racconta il sogno di un bambino che a cavallo di un pesce raggiunge un paese dove regna la pace, l’armonia, la bellezza, la fraternità. Ognuno contribuisce, si costruisce insieme, i bambini partecipano a tutto. Non esistono minacce, né violenza. Un sogno in forma di fiaba. Forse anche per questo i bambini erano letteralmente rapiti. O forse nel leggere di pace riconoscevano in controluce qualcosa dello spavento che ha preso i grandi durante questi giorni. I bambini vogliono sapere da che parte stai, chiedono sempre il tuo giudizio e vogliono la conferma di stare dalla parte giusta. La loro parte è la pace.

Abbiamo un accordo. La prima volta che leggo un albo illustrato, loro ascoltano in silenzio. La seconda volta riprendo da capo ma sono loro a raccontare la storia ricordando le sequenze e aggiungendo particolari che vengono direttamente dalla loro interpretazione delle parole e ancora di più delle immagini. È il momento più bello. Costruiscono il senso della storia un pezzetto alla volta, con l’accordo degli altri. Si va avanti insieme.

Sulla prima pagina siamo rimasti parecchio

Le case in questo posto sono brutte, il bambino vorrebbe andare via

Sono rotte

Sono storte

Ci sono delle crepe sui muri

C’è stato un terremoto forse

O un uragano!

Anzi quella cosa che arriva un’onda grande e sommerge tutto e poi tutto è come distrutto

Lo tzunami!

Sì, quello!

Forse è un posto disabitato

Io vedo un’ombra sulla finestra, forse c’è un fantasma

In questo posto sono morti

Forse sono andati tuti via perché c’era la guerra”

La guerra non era il tema del nostro incontro ma ormai il viaggio di Peregrin è iniziato e noi siamo pronti per ripercorrerlo. Molto emozionante è adesso prepararsi con Peregrin a entrare nella nuova città. Una frase arriva a dirci che, anche se pieno di timore per la nuova realtà che sta per conoscere, non poteva fare a meno che andare. “Già a casa non si sentiva proprio al sicuro…” I bambini trovano conferma di aver ben interpretato la prima pagina, la prima immagine. Quello era proprio un luogo da cui scappare, a piedi nella realtà, o nel sogno a cavallo di un pesce.

Peregrin ha paura, non alza nemmeno lo sguardo, non sa che lingua parlano gli abitanti né se lo accetteranno. A questo punto un bambino mi dice che Peregrin è come D.

Chi è D.? chiedo io fingendo di non sapere.

La bambina seduta nell’atrio. È appena arrivata, non parla.

Avevo già incontrato D., viene dal Marocco, entrerà in quinta, non conosce per niente l’italiano e questo è il suo secondo giorno a scuola. Una maestra, in modo molto premuroso, le aveva trovato un banco in un luogo tranquillo dove stare per riprendere un po’ fiato dall’incontro con una realtà nuova. Così D. ha il suo posto in classe ma anche uno fuori. Sono colpita dall’osservazione del bambino perché D. è davvero, esattamente, come Peregrin. L’ho appena salutata cercando di trattenermi poco vedendo quanto era tesa a ogni saluto e come guardava con serietà il disegno dello schema corporeo con scritte le prime parole: Viso, occhi, bocca.

Chiedo se vogliamo continuare con Peregrin, mi rispondono sì.

Riprendiamo a ripercorrere la storia.

Due bambini accolgono Peregrin e gli parlano chiedendo con gentilezza come è arrivato.

Questa parte piace molto ai bambini. Perché le domande che fanno a Peregrin sono dolci ma anche curiose. Come se Peregrin potesse portare una qualche novità interessante. Ed è giusto che sia così. Sono i grandi che si aspettano sempre poco dagli altri.

Peregrin riceve anche dei nuovi vestiti e viene invitato a mangiare cose buone. Poi inizia la sua vita nella città, non sembra essere più un ospite ma un cittadino di questo luogo in cui tutti possono dare il meglio di se stessi, c’è ascolto dei più piccoli e attenzione per i più deboli. Peregrin può raccogliere ciliegie, costruire una casa, leggere e studiare, andare per la campagna, coltivare il giardino, sentirsi profondamente vicino a ogni cosa.

I bambini sono d’accordo con Peregrin, questo è il luogo più bello che esista. Così andrebbero fatte le cose.

Torniamo a D.  Chiedo:

Sapete perché D. non parla?

Non sa la nostra lingua

Ha paura

È timida

Non sa che diciamo

È appena arrivata

E voi che fareste se foste in una classe nuova senza saper parlare la lingua degli altri bambini?

Io starei zitto

Io piangerei

Io non vorrei mai andarci

Io non so le altre lingue, i miei genitori non devono neppure pensarci di andare in un altro posto!

Cosa potremmo fare per farla stare più a suo agio?

Salutarla

Farle un regalo

Aspettare

Dirle delle parole che poi le sa e può parlare

La prima parola che vorreste dirle?

Ciao

Sì, è facile

Vogliamo farlo?

Scriviamo dei biglietti con una sola frase: Ciao, benvenuta, io sono…

Ciascuno mette il suo nome. Chiediamo il permesso di portarglieli nell’atrio durante la ricreazione.

Ogni bambino si presenta dicendo esattamente quello che c’è sul biglietto. Si tolgono la mascherina per pronunciare il proprio nome e fare un sorriso. Anche D. sorride finalmente! I bambini sono più piccoli di lei, forse semplicemente le fanno tenerezza ma di certo è felicemente sorpresa e non ha paura. Ringrazia. I bambini sono contenti di aver fatto proprio come i bambini del viaggio sul pesce. D. non ha bisogno di vestiti e la merenda ce l’ha altrimenti di sicuro avrebbero provveduto anche a quello.

Che cosa c’entra con la guerra in Ucraina?

Probabilmente poco. O forse no. A scuola si fanno ogni giorno centinaia, migliaia di gesti simili a quello che noi abbiamo fatto per salutare D. Ogni giorno e nel più assoluto riserbo. Io credo che sia questo il modo di praticare la pace. Scegliere di continuare su questa strada al riparo dall’ansia, cogliere il momento opportuno ma senza per forza rispondere immediatamente a ogni sollecitazione, riconoscere che occorre prendere tempo rispetto a qualcosa che getta nell’angoscia anche noi. Fare, discutere, parlare, accogliere domande e sentimenti nella giusta intimità della classe. Senza spettacolarizzazioni, senza fretta, senza portare la nostra incertezza ai bambini o  proposte di facciata, scomposte o esagerate, illeggibili per loro. A volte dannose.

Quindi bene parlarne direttamente se arrivano domande da loro, circoscrivendo, dando le informazioni necessarie e non fare paragoni tra cose che non hanno nulla di comparabile. E nel rispondere, farlo con la certezza di chi conosce la scuola e sa come funziona. Come ha scritto Michele Longo (insegnante della primaria) con la solita intelligenza e ironia: “Così, a occhio, mi pare che parlare della guerra in classe serva perché si comincia e poi si finisce, come tutte le cose a scuola. Poi c’è l’intervallo, o si va a casa“.

Per lavorare in profondità e nello stesso tempo con delicatezza, si possono cercare albi e letture adatti ai bambini di quella classe, che abbiano qualcosa da dire dentro al percorso che già stanno facendo.

Per il resto, oltre a far capire ai bambini che vediamo e condividiamo il loro desiderio di pace, mi sento di dire che portare a scuola la pace vuol dire soprattutto fermarsi a pensare al modo in cui lo facciamo. Di più, pensare al modo in cui facciamo ogni cosa.

Qualche tempo fa, in una formazione per insegnanti, ho condiviso una piccola riflessione che comprendeva le parole di Alexander Langer: “Citius altius e fortius era un motto giocoso di per sé, era un motto appunto per le Olimpiadi che erano certo competitive, ma erano in qualche modo un gioco. Oggi queste tre parole potrebbero essere assunte bene come quinta essenza della nostra civiltà e della competizione della nostra civiltà: sforzatevi di essere più veloci, di arrivare più in alto e di essere più forti. Questo è un po’ il messaggio cardine che oggi ci viene dato. Io vi propongo il contrario, io vi propongo il lentius, profundius e soavius, cioè di capovolgere ognuno di questi termini, più lenti invece che più veloci, più in profondità, invece che più in alto e più dolcemente o più soavemente invece che più forte, con più energia, con più muscoli, insomma più roboanti. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo” (Alexander Langer dal testo del suo intervento al Convegno di Assisi 1994).

Mi sembra un consiglio perfetto per la scuola che per l’appunto non è il terreno di una battaglia frontale ma il posto dove recuperare le energie e un po’ di respiro. Per tutti. E ancora di più per tanti bambini e tante bambine che, senza chiamare in causa la guerra, per le motivazioni più diverse non vivono situazioni serene ma segnate da dolorosi e duri conflitti. Anche per questo lavorare per la pace potrebbe essere questo procedere più lenti, più in profondità e più dolcemente in ogni cosa che facciamo insieme a loro e per loro. Che è il contrario del rincorrere progetti, giornate nazionali, mondiali, urgenze dettate dall’attualità che chiedono certamente una riflessione ma in primo luogo la chiedono agli adulti.

Se penso a che cosa ci può aiutare, oltre alla lettura condivisa degli albi illustrati, io penso naturalmente alla poesia. Christian Bobin, nel suo piccolo e prezioso libro, dice come sia difficile, ma fattibile abitare poeticamente un mondo miserabile, quanto sia necessario che si aprano pozzi di luce, come gli istanti di contemplazione siano istanti di grande tregua (“Abitare poeticamente il mondo“, AnimaMundi edizioni). Lo sguardo poetico è uno sguardo che si posa senza afferrare, senza forzare. Portare a scuola questo sguardo è costruire la pace. Restare saldi in questa pratica che sembra occuparsi di cose inutili e in-misurabili, può cambiare davvero le cose.

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