
#scuola #sciopero
Di Sabina Antonelli
In foto: Il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi
Giorgio Gaber diceva “Libertà è partecipazione”. La scuola è, o almeno dovrebbe essere, lo spazio naturale nel quale praticare, e dunque mettere in atto, partecipazione e libertà.
Prima di tutto libertà di crescere, di essere accolti, di curiosare dentro quel marasma meraviglioso che è la vita. Libertà di chiedere, di porsi domande, di riflettere sul mondo. E poi…partecipazione attiva, intensa, necessaria come il respiro, che permetta agli studenti e alle studentesse di ogni età e di ogni ciclo, a partire dalla scuola dell’infanzia, di seguire percorsi educativi e didattici pensati su misura, ma anche di essere loro stessi promotori del proprio percorso scolastico scoprendo nuove strade per raggiungere un obiettivo che sia veramente formativo, rivolto dunque al pieno sviluppo della personalità nel rispetto dell’identità personale, sociale e culturale propria e altrui.

A questo si aggiunge, naturalmente, la libertà di insegnamento, che, per i docenti, si declina con la riflessione sulle proprie modalità di relazione, con lo sperimentare le personali competenze educative e didattiche all’interno di una comunità che accoglie, cura, accompagna bambini/e e ragazzi/e. Libertà di insegnamento come pratica di curiosità del sapere, del conoscere, del confrontarsi con diverse visioni e, di conseguenza, possibilità di costruire un modello flessibile, aperto, scegliendo le “scintille” che più si confanno al proprio modo di essere e, soprattutto, alla situazione in cui vivere pienamente la propria professionalità. Tutto questo e molto di più. Almeno per me. Ma forse questo sentire è utopico, romantico e non si accorda in pieno con quello che il nostro Ministero propone.
Il PNRR, piano nazionale di ripresa e resilienza, prevede, infatti, la conversione in legge del decreto legge n.36 emesso il 30 aprile 2022. Tale decreto nel Capo VIII, articoli 44-45-46-47, parla di scuola e, in particolar modo, della formazione iniziale e in servizio, degli insegnanti.
Viene istituita La Scuola di Alta Formazione dell’Istruzione.
Alta. In che senso? Alta perché costituita dai migliori? Alta perché la formazione che verrà proposta sarà di alta qualità? Così vado a leggermi il decreto e come al solito mi chiedo perché siamo così bravi a rendere ogni cosa complessa, fumosa, spesso “altamente” incomprensibile. Comunque, tra le tante parole, trovo anche queste:
“La suddetta Scuola di alta formazione
a) promuove e coordina la formazione in servizio dei docenti di ruolo, in coerenza e continuità con la formazione iniziale di cui all’articolo 2-bis nel rispetto dei principi del pluralismo e dell’autonomia didattica del docente. Bene. Mi rincuora leggere di pluralismo e autonomia. Sono d’accordo. Poi mi rendo conto che si parla solo dei docenti delle scuole secondarie di secondo grado e mi chiedo: dove sono finiti gli altri ordini di scuola? Perché non vengono nemmeno menzionati?
b) dirige e indirizza le attività formative dei dirigenti scolastici, dei direttori dei servizi amministrativi generali, del personale amministrativo, tecnico e ausiliario. Anche qui non posso che essere d’accordo. La scuola non è fatta soltanto dagli insegnanti. Ogni persona, ogni istituzione, secondo il proprio ruolo e il rispetto delle specifiche competenze, deve sentirsi parte di una comunità in cammino, che proprio per questo amplifica il proprio sguardo, si forma e continua ad imparare in un processo continuo e permanente.
c) assolve alle funzioni correlate al sistema di incentivo alla formazione continua degli insegnanti di cui all’articolo 16-ter. Perfetto! La formazione continua è alla base della figura del maestro, parola che viene dal latino “magis” che vuol dire “grande” e “ter”: “il più grande”. Chiaramente “il più grande” non è il migliore; è semplicemente colui che, avendo più anni e più esperienza affianca il più piccolo nella continua ricerca di senso e significato del mondo e della conoscenza di esso. Dunque deve impegnarsi in una formazione continua perché il nostro presente crea l’oggi il futuro dei nostri bambini/e e ragazzi/e. Un futuro che ci appartiene come a tutti e tutte loro appartiene il nostro passato.
A questo punto il decreto continua così: “La Scuola di Alta Formazione si avvale, per lo svolgimento delle sue attività istituzionali, dell’Indire, dell’Invalsi nonché, per le funzioni amministrative, si raccorda con gli uffici del Ministero dell’istruzione competenti in materia e stipula convenzioni con le università, con le istituzioni AFAM e con soggetti pubblici e privati, fornitori di servizi certificati di formazione.”
Sono organi della Scuola di Alta Formazione un Presidente, il Comitato d’indirizzo, Comitato scientifico internazionale, il Direttore generale.
“Il Presidente è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’istruzione, ed è scelto tra professori universitari ordinari, tra magistrati amministrativi, ordinari e contabili, tra avvocati dello Stato, tra alti dirigenti dello Stato di particolare e comprovata qualificazione o tra altri soggetti parimenti dotati di particolare e comprovata qualificazione professionale…
Il Comitato d’indirizzo, presieduto dal Presidente della Scuola, si compone di cinque membri, tra i quali i Presidenti di Indire e di Invalsi, e due componenti nominati dal Ministro dell’istruzione tra personalità di alta qualificazione professionale.
Il Direttore generale è nominato dal Ministro dell’istruzione tra i dirigenti di prima fascia del Ministero o tra professionalità esterne all’amministrazione con qualificata esperienza manageriale.
Il Comitato scientifico internazionale composto da un massimo di sette membri, nominati con decreto del Ministro dell’istruzione.”
Scusate se ripeto alcune parole di questo estratto: Indire, Invalsi, professori universitari, magistrati amministrativi, ordinari e contabili, avvocati, dirigenti di prima fascia del Ministero, professionalità con esperienza manageriale. Che fine fanno tutte le mie riflessioni? Che fine fa la mia visione di scuola?
Abbiamo perso i “Maestri”. Abbiamo perso quelle figure che si interrogano, sperimentano in classe percorsi e metodi adeguati di insegnamento-apprendimento perché sanno bene quanto chi insegna apprenda ogni giorno dai propri bambini e dai propri ragazzi. Abbiamo perso chi vede la scuola come luogo privilegiato di ricerca e soprattutto di relazione, chi si “sporca le mani” di gesso, di colla, di colore, chi è convinto che l’ascolto sia alla base di ogni incontro formativo.
Abbiamo perso chi sa bene quanto la partecipazione sia libertà e viceversa, quanto sia importante il gruppo, la comunità, il cercare insieme strade sempre nuove per progettare esperienze e proposte che siano reali, flessibili, di ampio sguardo. Proposte non calate dall’alto con un sistema di “crediti” formativi che non rispondono alle necessità della “scuola vera”.
La scuola vera non è quella pensata da chi nella scuola non ha mai messo piede, non è calata dall’alto, non viene da strutture che non incarnano la sua realtà complessa, diversificata, ricca di esperienze, contesti, situazioni. Per questo, e per molto altro ancora, ho fatto sciopero lo scorso 30 maggio.
Per questo e molto altro mi chiedo come mai le e gli insegnanti non abbiano risposto in massa all’invito dei sindacati. Forse abbiamo perso fiducia, forse siamo stanchi di metterci in gioco per rispondere a riforme che si avvicendano continuamente e che poche volte migliorano le cose. Forse vogliamo essere “lasciati in pace” per fare solo e soltanto quello che abbiamo scelto con passione e per amore: metterci al servizio dei nostri studenti e vivere la quotidianità con loro, per loro e attraverso loro. Forse per qualcuno la scelta è stata quella di trovare “un mestiere”. Magari molti hanno pensato che non li riguardasse mettendo così in pericolo quel sentire comune che rende coesa una “categoria”, termine che personalmente non amo e che voglio sostituire con “comunità educante”.
Una comunità educante non è fatta solamente da docenti e personale scolastico. I genitori, le famiglie, le istituzioni, le associazioni del territorio, i singoli cittadini sono parte di questa comunità. Uno dei miei papà, quando ha saputo che avremmo scioperato, ci ha detto: “Fate bene!”. Al di là del suo concordare con noi, la cosa che mi ha fatto felice è sapere che conoscesse i motivi dello sciopero, che si fosse informato sul decreto perché si sente parte viva e attiva della scuola, la sente propria e desidera prendersi cura della “casa” che oggi accoglie sua figlia per otto ore al giorno e l’accoglierà per molto altro tempo ancora.
Le richieste alla base di questo sciopero erano numerose. Dall’adeguamento e rinnovo del contratto scaduto da tre anni all’eliminazione degli eccessi burocratici a carico dei docenti; dalla restituzione della formazione all’autonomia scolastica e al collegio dei docenti alla riduzione del numero di alunni per classe; dalla stabilizzazione dei precari all’incremento del personale ausiliario; dalla semplificazione delle procedure amministrative per liberare le segreterie dai compiti impropri alla revisione dei parametri di attribuzione degli organici alle scuole sia per il personale docente che ATA. Al di là dei risultati che si potranno avere, l’importante è continuare a parlare di scuola, renderla oggetto di riflessione, azione, scelta consapevole, tenendo conto dei bisogni e dei desideri della base: dei maestri, delle maestre, degli insegnanti tutti. La scuola come un albero e un albero senza radici potrà essere “alto”, potrà anche credere di toccare il cielo, ma prima o poi cadrà. Non è questo quello che vogliamo giusto?
A questo punto non mi resta che augurarvi una buona lettura degli interventi che seguono.