salute

Complessità e semplificazione

"Abbiamo preso il termine persona (maschera) per definire la nostra stessa essenza. Siamo Persone, Maschere, che recitano nel teatro della vita. Ma la nostra complessità è rappresentata dalla nostra personalità."

#salutementale
Di Ivano Cenci
In foto:
Oltre questo muro”


Prime luci a San Paolo: da elementi simbolici semplificati alla complessità.

Il 29 giugno a San Paolo era festa grande. Messa alle 11; processione nel pomeriggio, I Santi erano caricati  sopra un furgone a tre ruote che spargeva diesel in gran quantità, insieme ai Santi stavano i bambini da poco Comunicati. Chiesa  e furgone addobbati, le strade del quartiere ricoperte di bandierine colorate e sventolanti, a terra qualche volenteroso e raro tappeto di fiori. Ma soprattutto per me la festa erano le bancarelle di dolci e giocattoli (pistola ad acqua 250 lire). Il copione era sempre lo stesso, ogni anno uguale al precedente. Come per dare la certezza che nulla cambia, e che il tempo sia così fermato, interrotto nel suo scorrere. Tutto era ben definito, anche le emozioni avevano i loro tempi (gioia, commozione, raccoglimento..). Un copione non scritto dalla forma semplice che tutti conoscevano a memoria. Poi, era forse il 1967, quella mattina del 29 di festa mi alzai presto, dovevo ispezionare le pistole ad acqua della bancarella; veloce, perché come al solito: confessione e poi a “servire messa”, quella delle 9 e poi quella delle 11. Ma quella mattina del 29 accadde, almeno credo che sia accaduto. Correndo arrivai davanti alla “chiesetta” già pronto allo stupore dei giocattoli colorati. E improvviso uno spettacolo mi apparve. Dalla chiesa e poi lungo Viale Ancona le bandierine colorate erano scomparse, al loro posto file e file di calzini, mutande, reggiseni e canottiere.  Ma chi aveva avuto l’idea, e che significava? Mi si affacciò l’idea che “l’artista”, oltre a prendersi gioco del copione, ci volesse ricordare di celebrare e onorare anche gli esseri umani; non solo due “sante statue” di legno e bandierine colorate di cui nessuno conosceva più il significato.

Poi tutto scompare nel ricordo (qualcuno cancellò rapidamente la “sacrilega sfida” e rimise le bandierine al loro posto), per oltre cinquant’anni non ho più saputo se fosse accaduto davvero o fosse stato uno strano sogno. Però rimane ancora oggi una sorta di emozione dentro: non fidarti troppo e solo di messaggi semplici e rassicuranti; il mondo è complesso; l’essere umano è complesso; cerca la complessità nelle “infinite forme bellissime”.   Gli esseri viventi, i loro organi così come le loro strutture di aggregazione sociale, sono sistemi (forme) complessi a dinamica non lineare; sono forme in continuo cambiamento. Devono cambiare in continuazione per adattarsi ad un mondo che è sempre in evoluzione.  Anche noi umani e le nostre strutture sociali dobbiamo continuamente cambiare. Quando smettiamo di cambiare, perdiamo la capacità di adattamento, iniziamo allora ad ammalarci. “Ogni forma è morte” (Pirandello), potremmo aggiungere: ogni forma che non cambia più, è morte.

Eppure il cambiamento ci spaventa. Siamo abituati a pensare ad esempio che il nostro cuore debba battere sempre regolarmente (ed il cardiologo scrive spesso “ritmo regolare (sinusale) normale”. Ma il nostro cuore non può e non deve avere sempre lo stesso ritmo deve cambiare continuamente frequenza: rallenterà se mi rilasso sul divano, accelererà se faccio le scale o se provo una forte emozione…. Il battito cardiaco varia di frequenza continuamente, e descrive normalmente un attrattore caotico (E. Lorentz). Diviene a volte irrimediabilmente “regolare” quando si ammala, non è più in grado di cambiare; il suo ritmo paradossalmente si semplifica.

Eppure il cambiamento ci spaventa, la complessità ci spaventa. Siamo spesso ossessionati dalla necessità di mostrare una forma immutabile. Di noi stessi spesso diciamo “Ah! Io sono stato sempre così…..Ah! L’ho sempre pensata così e sempre così la penserò”. 

Persone che  non vogliono cambiare, l’eterno rischio di semplificare le persone

Nel teatro romano l’attore indossava una maschera, la “persona”. Di materiale duro (come il cotto) rappresentava alcune caratteristiche somatiche del personaggio ed amplificava la voce dell’attore (per-sona = suona attraverso). Abbiamo preso il termine persona (maschera) per definire la nostra stessa essenza. Siamo Persone, Maschere, che recitano nel teatro della vita. Ma la nostra complessità è rappresentata dalla nostra personalità. E la nostra recita nella vita sarà tanto più riuscita quanti più ruoli riusciremo a rappresentare, quanti più cambiamenti riusciremo ad affrontare; siamo infatti: bambini e poi adolescenti, giovani e poi adulti, magari vecchi, lavoratori e poi pensionati, prima figli e poi genitori,… Persone, maschere complesse in continuo cambiamento. Eppure siamo attratti dal voler bloccare il cambiamento. Già molti popoli mummificavano la persona nel tentativo di fermare lo scorrere del tempo. Alcuni oggi si “ritoccano” il viso, la maschera, la persona, talvolta con “mummificazioni” anticipate. Mio padre ogni tanto mi diceva: “sarai il bastone della mia vecchiaia”; la frase mi inorgogliva. Poi col tempo ho pensato che un bastone è un ramo “semplificato”; viene tagliato dall’albero, tolte le foglie ed i germogli, seccherà e non darà più frutto. Da forma complessa e in continuo cambiamento a forma semplificata che mai più cambierà. Eppure questa idea del “bastone” della vecchiaia sembrava rassicurante.

Questa ossessione di semplificare e fermare il tempo in noi stessi può diventare anche un meccanismo sociale. A volta gli esseri umani faticano ad entrare in “forme” socialmente accettabili, nella “normalità”. Può apparire allora lo spettro della semplificazione. Pochi giorni fa la legge 180/1978 (detta: della chiusura dei manicomi) ha festeggiato, tristemente nel silenzio, i suoi 44 anni. Fino al 1978 avevamo la legge dei manicomi e degli alienati (legge del 1904). Persone affette da patologie mentali, ma anche anziani dementi, persone con deficit o affette da epilessia, ma anche persone che offendevano ”il comune senso del pudore”, dagli omosessuali a donne e politici d’impiccio a qualcuno,…  Tutti potevano essere rinchiusi per essere “semplificati”. La semplificazione di un essere umano può avvenire attraverso vari passaggi: togliere il nome e dare un numero o una diagnosi (es. lacerante, se ti strappi i vestiti); eliminare i legami con la tua casa ed i tuoi amici e familiari; cancellare la tua storia i tuoi ricordi,….  La 180 ha ridato complessità (e dignità di vita) a forme semplificate; ha cercato di rimettere sul palcoscenico della vita  persone (maschere) non più in grado di recitare. Purtroppo nessuno rivaluta più la 180 che rischia di diventare essa stessa forma semplificata e non più in grado di modificarsi con i cambiamenti del mondo. Purtroppo abbiamo in gran parte perduto il pensiero che portò a quella legge, alla sua filosofia, ridare complessità a persone “semplificate”.  Pian pianino il processo di “semplificazione” degli esseri umani riprende; come un’edera che sempre ricresce e, seppur bella, stritola e soffoca l’albero e la vita a cui s’appende. Ci sono ”figli” della nostra società, forme complesse che non rientrano nella “norma”, sovente vengono “semplificati” in carceri che non sono più adatte a ciò che definiamo essere umano. C’era una volta un ministro (forse Orlando?) che aveva costruito una buona legge per ridare dignità di vita  e   almeno  5 metri quadrati di cella agli Italiani reclusi in carcere. Poi si appressarono delle elezioni e certo, una legge che umanizza dei reietti alienati, una legge che ridà forma complessa a persone semplificate, una legge così ti toglie voti. Di passaggio parlamentare in passaggio parlamentare, di silenzio in silenzio, la legge non passò l’ultima votazione..Mannaggia ministro! Mannaggia sinistra! Mannaggia Italia! Così migliaia di esseri umani, forse non buoni cittadini, forse non “normali” cittadini, ma comunque esseri umani, sono stati ricacciati in celle da tre metri quadrati a testa, nuovamente “semplificati”. Ma i processi di semplificazione s’appressano sempre di più. Altri esseri umani, non certo “cittadini” vengono semplificati con definizioni strane “migranti economici”, certo non più laceranti dei “manicomi”, ma comunque non più esseri umani; non più forme complesse e sempre “bellissime”, ma alieni semplificati. Pronti per naufragare nel “mare nostrum” senza neanche un grido; chi mai raccoglie le grida di alienati semplificati? (nei manicomi si ergevano grandi parchi per proteggere i “normali” dalle grida e dallo scandalo dei semplificati. Attenzione però che: semplifica, semplifica..! E se un giorno entrerai nella categoria “non più produttivo” o anche “non economicamente conveniente”?     “Prima di tutto vennero a prendere gli Zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero  a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero  a prendere me e non c’era rimasto nessuno  a protestare”.

Ah dimenticavo ciao  e grazie ad  Enzo e  agli altri “ardimentosi” di San Paolo, che in una festa di giugno suggerirono ai Sampaolesi la necessità di dare maggiore complessità a  rituali “semplificati” che rischiavano di allontanarsi dall’essere umano. Grazie a loro per averlo “insinuato” nei nostri ricordi.

Le immagini che accompagnano l’articolo di Ivano Cenci fanno parte di un reportage realizzato nel 1970 da Massimo Stefanetti nell’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Perugia e sono pubblicate nel volume Oltre questo muro, a cura di Massimo Stefanetti, Fausto Gentili e Simona Bonini, pubblicato da L’officina della memoria nel trentennale della Legge 180/1978 (2008)

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