Politica

Il mio voto è come un rock

Considerazioni sul voto e sulle elezioni politiche del 25 Settembre 2022 a cura di Fausto Gentili.

#politica
Di Fausto Gentili
Foto: Piazza Matteotti a Foligno in occasione dell’incontro con Elisabetta Piccolotti e Alfonso Morelli per Alleanza Verdi Sinistra


Dicono che la destra vincerà le elezioni, e il solo fatto che tutti lo dicano rende più probabile questa rovinosa possibilità: la classica profezia che si autoavvera.

La destra lo sa,  e infatti fa il minimo indispensabile, attenta a non fare errori più che a conquistare consensi. Ogni tanto le scappa la mano, ed ecco lampeggiare qualche confuso fotogramma del Museo degli Orrori (la castrazione chimica, il cimitero per i feti, il blocco navale….) o il riflesso condizionato dell’oscurantismo (un anno in meno di scuola, il servizio militare obbligatorio, incentivi vari alle donne che, come in Una giornata particolare, stanno a casa e fanno figli). Ma il cuore del progetto sta altrove: indifferenza “trumpiana” alla crisi climatica; meno tasse per i ricchi e solo per loro (meglio dirlo in inglese, così si capisce di meno); trasferimenti di denaro pubblico dai servizi collettivi alle imprese;  promessa di grandi opere e mano libera per gli affaristi; centrali nucleari da imporre manu militari a popolazioni che diffidano, a ragione, anche dei rigassificatori. E naturalmente l’ennesimo condono, ribattezzato “pace fiscale”, per gli evasori, che la destra “patriottica” si guarda bene dal considerare traditori della patria (traditore, per la destra “cristiana”, è chi soccorre le persone che annegano nel Canale di Sicilia). 

Dicono anche che saranno in molti ad astenersi, e che gran parte degli astenuti provengono dalle file del centro-sinistra e del Movimento 5 stelle: previsione difficile da verificare ma ragionevole, tante sono le ragioni che possono spiegarla. La più recente: la simmetrica, colpevole decisione, da parte di entrambi, di andare alle elezioni in ordine sparso, archiviando in fretta e furia un progetto di alleanza faticosamente costruito negli ultimi tre anni (il governo Conte 2 nasce nel settembre del 2019, la rottura è dell’agosto 2022), e regalando alla destra un vantaggio insperato e probabilmente decisivo. La più importante: il bilancio degli ultimi trent’anni, e in particolare degli ultimi dieci o dodici. E’ dal 2011 (governo Monti), con la  parentesi dei 15 mesi del governo Conte-Salvini-Di Maio, che il Pd è presente in tutti i governi, e i risultati sono quelli che sono. Più o meno lo stesso vale per  il M5S: dal 2013  è il primo partito del Paese, e dal 2018 è stato in tutti i governi che si sono succeduti, guidandone due e avendo i propri ministri nel terzo. Quanto alla sinistra, non ha mai raggiunto una dimensione che le consentisse di andare oltre un ruolo di testimonianza e conquistare una presenza autorevole sulla scena politica.

Se a queste più importanti ragioni aggiungete quelle più particolari e specifiche (i candidati calati dall’alto, l’insofferenza  per il chiacchiericcio del circuito politico-mediatico, lo scarto tra le condizioni di quelli che stanno male e lo stile di vita di quelli che dovrebbero provare a farli stare meglio, e via enumerando) ecco che c’è poco da capire: le cause dell’astensione sono lì, tutte in fila, sotto i nostri occhi. Se il voto è (anche) una specie di autoritratto di chi lo esprime, astenermi dal voto è il modo più realistico di rappresentare la mia insoddisfazione.

Il fatto, però, è che il voto è un’altra cosa: non l’autoritratto dell’elettore, ma la sua assunzione di responsabilità verso gli altri e verso il suo Paese. La domanda a cui rispondo entrando in una cabina elettorale non è “Chi sono io ? Quanto sono contento, realizzato, fiducioso ?”, ma più semplicemente “Chi vorrei che sedesse in Parlamento, a prendere le decisioni che ci riguardano tutti? Quale proposta, quali candidati, tra quelli che ho sotto gli occhi, possono giovare di più (o al limite nuocere di meno) alle persone che vivono o vivranno in Italia?”

Piazza Matteotti 11 Settembre

Questa diversa prospettiva ha almeno due implicazioni. La prima: per dare o non dare il mio voto non devo guardarmi dentro, ma guardarmi intorno. Il voto non serve ad esprimere il mio stato d’animo, ma a dare all’Italia un governo (o, male che vada, un’opposizione) che risponda a certi interessi più che ad altri, esprima certi valori piuttosto che certi altri, promuova un certo futuro piuttosto che un altro. La seconda: a guidare una scelta elettorale dovrebbero essere, più che le sue cause, le sue conseguenze. Il mio voto (o il mio non voto) avrà delle conseguenze, e queste non peseranno  solo su di me, che magari posso permettermi cinque anni di potere della destra (non sono una donna, non sono un migrante, non sono un giovane precario né un disoccupato, non percepisco reddito di cittadinanza, e sono persino eterosessuale) ma su tanti che magari ancora non lo sanno, il guaio che li aspetta, e a cui vorrei risparmiare la pena di impararlo sulla loro pelle.

Quindi andrò a votare, come nelle altre tredici elezioni politiche in cui mi sono imbattuto, a partire dal 1972.  E per la quattordicesima volta voterò a sinistra.  Senza mal di pancia, senza turarmi il naso. Preoccupato, questo sì, per l’esito possibile, ma in pace con me stesso e con il mio Paese. Tanto più che i candidati che troverò nella scheda li conosco, li ho avuti a fianco in tante esperienze e, una volta tanto, mi piacciono: se verranno eletti  sarà più facile – nei tempi difficili che comunque vada ci aspettano – organizzare qualcosa di buono.

Il mio voto, insomma, è come un rock: può darsi che talvolta risulti fuori moda ma mi accompagna da quando ero ragazzo, è carico di energia, scandisce il battito del cuore e il ritmo della vita e non si lascia paralizzare dal disappunto né dalla paura del futuro. Piuttosto, prova a cambiarlo.

(Le foto che accompagnano questo articolo sono state scattate durante la manifestazione elettorale dell’Alleanza Verdi-Sinistra svoltasi l’11 scorso in piazza Matteotti)

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