Scuola

Ritorno a scuola!

Pubblichiamo la sezione Scuola del numero di Settembre di Sedicigiugno. Tre articoli: "Aprire le finestre e buttare giù i muri" di Sabina Antonelli, "Ma l'inizio è fatto di occhi" di Miriam Abu Eideh e l'intervista a Maria Paola Sebastiani, dirigente del liceo Scientifico G.Marconi a cura di Daniela Riganelli.

Aprire finestre e buttare giù muri

#scuola
Di Sabina Antonelli
In foto: Un disegno fatto dai bambini


È iniziata la scuola. Si ricomincia.

Ricominciare, etimologicamente, vuol dire riprendere qualcosa che si è interrotto ma vuol dire anche dare inizio a un nuovo percorso.

Allora guardiamo insieme quale significato ha la parola “inizio”. Viene dal termine latino “Initium”, derivato, a sua volta, da “Inire” cioè “in -Ire” ovvero “andare dentro”. L’inizio dunque è un’entrata che presupposte un dentro e di certo non si riferisce agli spazi interni delle nostre scuole ma ad un dentro che è metaforico e rimanda a ciò che vive nei nostri bambini/e e ragazzi/e.

Come si entra allora nei loro mondi così diversi dai nostri? Mondi ricchi, complessi, nascosti. Mondi che vanno aperti piano piano, con estrema delicatezza e cura, per non sgualcirli o, addirittura, strapparli.

Non è facile. Mai. Ma è proprio qui che noi insegnanti ci giochiamo la nostra identità professionale e soprattutto umana.Non siamo missionari, né facciamo scuola per chiamata divina. Oggi, e da tempo, scegliamo di essere insegnanti perché riconosciamo il valore dell’infanzia e il fermento creativo e propositivo dell’adolescenza; perché abbiamo il desiderio di camminare con i nostri alunni e le nostre alunne alla scoperta di quel dentro che è il dentro del futuro, della storia che verrà, di cui noi facciamo parte. Perché noi adulti siamo il futuro dei nostri bambini e loro sono il nostro presente.

Fare l’insegnante vuol dire studiare, perché se apprendere è un processo continuo, saper insegnare ad apprendere lo è, a ragione, ancora di più. Chi insegna deve avere competenze relazionali che non si improvvisano ma hanno bisogno di studio, applicazione e sperimentazione, così come le competenze pedagogiche, fondamentali per avvicinarsi ad un mondo in cammino con tutte le sue meraviglie e difficoltà. Occorre avere un’ottima capacità di mediazione perché lo sguardo educativo e pedagogico è ampio, allargato, rivolto all’utenza ma anche all’intera comunità che include colleghi, dirigenza, famiglie, territorio. Necessaria anche la competenza disciplinare che però, di per sé stessa, non basta. Oltre a conoscere approfonditamente una determinata materia, bisogna infatti, e soprattutto, essere in grado di trasmetterla non come nozione ma come seme che possa mettere radici e germogliare, crescere e trovare connessioni con l’essere, il sapere e il fare.

Un insegnante è dunque un artigiano che pratica ed esercita un’arte. Usa le mani perché sa che la conoscenza parte dalla manualità, dalla sperimentazione, dall’uso del corpo come strumento per apprendere. Si porta dietro attrezzi particolari: il desiderio di imparare con i suoi alunni, la pazienza che viene dal riconoscerli come persone, ognuna con il suo bagaglio di esperienze, il piacere di camminare insieme, la propria professionalità costruita con tenacia, responsabilità e consapevolezza. 

Detto ciò, spesso noi insegnanti ci domandiamo: “Come facciamo a insegnare in tempi come questi?”.

La maestra Luciana Bertinato, che ha collaborato con il nostro giornale più volte, ci ricorda che nel 2010, il grande Mario Lodi rispose proprio a questa domanda con una lettera di struggente attualità. Ve la pubblichiamo anche noi:

“Care maestre e cari maestri,

mi è capitato spesso, in questo periodo, di ricevere lettere o telefonate da qualcuno di voi. La domanda che mi viene rivolta con maggiore insistenza è: “Come facciamo a insegnare, in tempi come questi?”.

I sottintesi alla domanda sono molti: il ritorno del “maestro unico”; classi sempre più affollate; bambini e bambine che provengono da altre culture e lingue e non sanno l’italiano, etc. Anch’io, come voi, soprattutto nei primi anni della mia attività di maestro, mi ponevo interrogativi analoghi.

Ho cominciato ad insegnare subito dopo la guerra. Le classi erano molto numerose. Capitava anche di avere bambini e bambine di età diverse.

Forse qualcuno di voi ha la brutta sensazione di lavorare come dopo un conflitto: in mezzo a macerie morali e culturali, a volte causate dal potente di turno – ce n’erano anche quando insegnavo io – che pensa di sistemare tutto con qualche provvedimento d’imperio.

I vecchi contadini delle mie parti dicevano sempre che i potenti sono come la pioggia: se puoi, da essa, cerchi riparo; se no, te la prendi e cerchi di non ammalarti e, magari, di fare in modo che si trasformi in refrigerio e nutrimento per i tuoi fiori. Il mio augurio per il nuovo anno scolastico è questo: non sentitevi mai da sole e da soli!

Prima di tutto ci sono i bambini e le bambine, che devono essere nonostante tutto al centro del vostro lavoro e che, vedrete, non finiranno mai di sorprendervi. Poi ci sono altre e altri che, come voi, si stanno chiedendo in giro per l’Italia quale sia ancora il senso di questo bellissimo mestiere. Capitò così anche a me, anche a noi. Cercammo colleghe e colleghi che si ponessero le nostre stesse domande e fu così che incontrammo Giuseppe Tamagnini, Giovanna Legatti, Bruno Ciari e altre e altri con i quali costruimmo il Movimento di Cooperazione Educativa.

Poi ci sono anche i genitori e le zie e i nonni dei vostri alunni e delle vostre alunne, che possono darvi una mano, se saprete, anche insieme a loro, rendere la scuola un luogo accogliente e bello, in cui ciascuno abbia il piacere e la felicità di entrare e restare assieme ad altri.

Non dimenticate che davanti al maestro e alla maestra passa sempre il futuro. Non solo quello della scuola, ma quello di un intero Paese: che ha alla sua base un testo fondamentale e ricchissimo, la Costituzione, che può essere il vostro primo strumento di lavoro.

Siate orgogliosi dell’importanza del vostro mestiere e pretendete che esso venga riconosciuto per quel moltissimo che vale.

Un abbraccio grande.”

Mario Lodi

E allora vogliamo cogliere l’occasione di questo nuovo inizio per augurare all’intera comunità educante di non chiudersi mai, di continuare ad aprire finestre e buttare giù muri. Auguriamo a tutti e tutte un ascolto attento, partecipato, che dia spazio ai pensieri dei più piccoli e dei più giovani, riconoscendo il loro essere cittadini. Auguriamo, a chiunque si sente parte attiva del percorso educativo, di guardare alla scuola come un luogo “magico” dove anche il più piccolo, positivo cambiamento, darà frutti; di mantenere come punto fermo i principi della nostra costituzione e i valori che difende e di essere co-creatori di un sistema educativo che ponga sempre al centro i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze.

Non dimentichiamolo mai: Nessun bambino è perduto se c’è un insegnante che crede in lui (Bernhard Bueb)


Ma l’inizio è fatto di occhi

#scuola
Di Miriam Abu Eideh
In foto: Un disegno fatto dai bambini


L’anno scolastico, alle scuole superiori, si divide in due parti. La parte prima dell’inizio e la parte dopo.

La parte prima dell’inizio prevede svariate incombenze che chi non lavora nella scuola non conosce e, per fortuna, non conoscerà mai. Per lo più prevede riunioni senza scopo, o riunioni che un tempo avrebbero anche avuto uno scopo ma che, ormai, non lo hanno più o, ancora, riunioni che hanno ancora uno scopo ma inserite nel calderone di quelle senza scopo finiscono per perderlo anche loro. Oppure i famosi esami di Settembre. A me piace chiamarli come un tempo, gli Esami di Riparazione.

Gli Esami di Riparazione. I Dipartimenti. I Collegi dei Docenti. Questa è la parte prima dell’inizio.

Agli Esami di Riparazione ragazze e ragazzi si guardano reciprocamente, ripassano per l’ultima volta, ascoltano i trappers per trovare ispirazione, si fanno domande a vicenda nel tentativo di prevenire possibili colpi bassi durante l’interrogazione che, appunto, dovrebbe riparare le falle nella loro preparazione. In realtà non ripara nulla, ma tant’è.

“Oh, ma si dice monomo o monomio? Non è che me boccia se dico sbagliato? Professore’, me boccia se dico sbagliato?”

“Ma Pirro ha fatto una vittoria di Pirro? Ma grazie al caSCUSI, grazie al pene. Ma poi professore’, ma gli antichi tutti co’  ‘sti nomi del caSCUSI del pene?”

“Ma perché devo sapere il legame covalente? Professore’, quando farò la cassiera (avvocata/pellettiera/ballerina di varietà/assistente sociale/giorgiameloni) COSA dovrò farci con il legame covalente???”

La professore’ in questione sono io, che non ho rimandato nessuno ma devo assistere agli esami dei rimandati altrui, altrimenti tutti pensano che facciamo sei mesi di vacanza e si alimenta l’odio sociale.

Ai nostri occhi, di noi prof dico, gli Esami di Riparazione non hanno quasi più alcuna valenza. Ormai rimandiamo le persone a Settembre così, per una sorta di coazione a ripetere, o per la nostalgia dei bei tempi che furono, o perché, insomma, il legame covalente salverà il mondo. Sappiamo che, alla fin fine, a Settembre non si boccia nessuno a meno che non si presenti, ma anche in quel caso telefoniamo, mandiamo un amico, una fidanzata, un cugino di terzo grado a prelevare l’esaminando per portarlo a scuola, rimandiamo l’esame al giorno dopo, facciamo di tutto insomma per garantire il successo formativo del soggetto in questione. Stancamente andiamo agli esami di Settembre, ma la stanchezza è solo la nostra.

Ogni volta, infatti, ci stupiamo del fatto che (incredibile!) gli studenti quella mattina sono agitati (anche quello mandato a chiamare dal cugino del cognato del vicino di casa!), sudano, ripassano (che dolci, ripassano !), temono di essere bocciati (ma che teneri, addirittura temono la bocciatura !), insomma ci pensano loro a dare un vero significato a una prassi che per noi adulti, o presunti tali, risulta stanca e stantia.

Disegno

Quando escono dalla prova mostrano tutto il loro sollievo, studentesse e studenti. Scrivono alla mamma per dirle che è andato tutto bene, al fidanzato per ordinare una cassa di Tennent’s, ti abbracciano per la contentezza, si sentono fieri perché hanno finalmente capito il dannato legame covalente.

Dovrebbero avere la promozione solo per questo, queste ragazze e questi ragazzi, perché danno un senso ai nostri riti ormai defunti.

Poi ci sono i Dipartimenti. In ogni scuola i Dipartimenti sono organizzati in maniera diversa. In certe scuole la Religione deve riunirsi con la Filosofia, in altre la Filosofia con il Diritto ma senza la Religione, in altre la Cucina e le Tecniche di Comunicazione fanno il paio con l’Italiano, in altre ancora i Dipartimenti si fanno direttamente con sé stessi (mi è capitato anche questo). In queste riunioni si cerca di coordinare il lavoro di tutti, ma non è semplice, soprattutto se fai la riunione con te stesso. In generale, per coordinare il proprio lavoro con quello degli altri bisognerebbe avere uno sguardo di insieme, una linea comune, un orizzonte limitrofo, una terra promessa e un mondo diverso dove crescere i nostri pensieri, ma il tutto diventa molto difficile nel momento in cui la metà dei colleghi cambia ogni anno e i programmi (che in realtà non esisterebbero più) sono stati riformati ieri l’altro dal sottosegretario Tizio mentre il Governo cadeva.

Ci sono i Collegi dei Docenti, in cui ci si ritrova, ci si riabbraccia o ci si rimanda affanculo come l’anno scorso, si conoscono nuove persone e si ricordano quelle che non ci sono più, si votano cose a caso mentre ci si raccontano le vacanze, le ultime disgrazie, le vittorie e le sconfitte della propria squadra di calcio (freccette/hockey/curling).

“Insomma, professori, fate silenzio! Sembrate alunni!” esclamano le e i Presidi e in effetti sì, questi sono i frangenti in cui tendiamo a tornare ragazzi, a ridacchiare, a bere lo spumante portato per il battesimo della figlia del collega Caio o il matrimonio della collega Tizia, a non ascoltare quello che si dice, a giocare a Candy Crush.

Poi, finalmente, arriva la parte dopo l’inizio. La parte in cui si va in classe, la parte che conta davvero.

Di solito quando stanno per iniziare le lezioni inizio a soffrire di insonnia. Fin da quando ero precaria e cambiavo scuola ogni anno ho iniziato ad aspettare con un misto di fascinazione e terrore il primo giorno di scuola.

“Piacerò alle classi? Avremo un bel rapporto? Dovrò mettere delle note? Troverò parcheggio? I colleghi saranno stronzi? Avrò qualche metallaro in classe?” erano alcuni degli interrogativi che funestavano le mie notti in bianco.

Anche ora che sono di ruolo, il giorno prima del primo giorno di scuola mi sveglio la notte, guardo il soffitto mentre i gatti mi si spiaccicano sopra e mia moglie dorme accanto a me, mi chiedo se ci saranno metallari, se piacerò alle classi che non mi conoscono, se piacerò ancora a quelle che mi conoscono, se dovrò mettere delle note o se troverò parcheggio. Soprattutto penso agli occhi che avrò di fronte il giorno dopo.

Perché l’inizio è fatto di occhi, soprattutto. Occhi che ti trapassano da parte a parte se non ti conoscono ancora, come se tentassero di cogliere ogni particolare e portarlo a casa con sé, occhi che ti salutano se ti conoscono dandoti il bentornato, occhi che vorrebbero parlarti quando la timidezza impedisce di farlo, occhi che ti sfidano quando il rapporto con la scuola è costellato di senso di impotenza e fallimento, occhi che ti guardano trasmettendoti una valanga di sensazioni e sentimenti totalmente diversi, contemporaneamente.  Una roba da toglierti il fiato e il sonno.

Trascorro la notte prima del primo giorno di scuola così, rimirando il soffitto.

Poi il giorno dopo finalmente entro nelle classi e tutto può iniziare.

Le immagini che corredano questo articolo e il precedente sono di Sabina Antonelli.


Liceo G. Marconi, uno sguardo verso il futuro vicino e lontano

#scuola
Intervista a cura di Daniela Riganelli
In foto: Il futuro Liceo G.Marconi


Daniela Riganelli intervista Maria Paola Sebastiani, dirigente scolastica del Liceo G. Marconi

E’ praticamente iniziato il nuovo anno scolastico e dopo due/tre anni  di pandemia, il liceo di Foligno si trova ad affrontare la nuova  sfida di rifare completamente la struttura. Come vi state organizzando?

Le sfide non ci spaventano. Non sottovalutiamo i problemi ma abbiamo fiducia nella nostra capacità di gestirli. Dopo anni caratterizzati da emergenza terremoto (con aule inagibili), emergenza COVID (con Dad e frequenza frammentaria), nell’anno 2022/23 che  si apre  avremo la sfida della ricostruzione edilizia del Liceo Marconi. Faticheremo un po’ in corso d’opera, ma ne varrà la pena: il progetto della nuova scuola è di grande valore.

Come sarà organizzata la distribuzione di orari e degli spazi per i ragazzi in questo AS?

Dovremo restringerci un po’, perché il cantiere in corso rende inutilizzabili tre blocchi scolastici. Mancheranno all’appello 15 aule con una popolazione scolastica in grande aumento (oltre 1200 studenti). Abbiamo quindi pensato una soluzione in termini organizzativi che prevede: ogni classe frequenterà un pomeriggio fisso  a settimana  e non la mattina per quel giorno. Ciò renderà liberi i corrispondenti spazi  per un’altra classe al mattino. Con il mio staff abbiamo messo a punto un articolato meccanismo di rotazione per un utilizzo razionale delle aule a disposizione e tutte le classi avranno un orario di 5 giorni a settimana. Abbiamo reso partecipe l’intero collegio docente ed il personale ATA della suddetta pianificazione e contiamo sulla collaborazione e senso di responsabilità di tutti per gestire al meglio questo decisivo anno scolastico di ripresa. Ma anche su questo fronte sono molto fiduciosa visto il clima disteso che c’è nella scuola.

Parliamo del nuovo  edificio. Sarà una eco-scuola? Come  è stata pensata la progettazione in termini di risparmio energetico e ambienti di apprendimento?

Si tratta sicuramente di una scuola sostenibile dal punto di vista della  progettazione complessiva, scelta di materiali da costruzione innovativi  che consentiranno l’isolamento termico e quindi il risparmio energetico, abbassando l’impatto ambientale dei nuovi edifici. Chiaramente anche l’antisismicità  sarà garantita secondo le vigenti norme. Gli spazi di apprendimento saranno pensati per far svolgere una didattica innovativa che consenta l’uso di  laboratori diversificati e spazi aperti per la socialità e l’interscambio culturale.

Quanti anni, teorici e realistici, si   prevedono per i lavori?

Realisticamente i tempi di svolgimento del progetto nel suo intero nella sua complessità saranno almeno di tre,  ma la cosa positiva è che i lavori procederanno a step per cui avremo via via gli spazi nuovi da utilizzare.

Un messaggio all’universo scuola?

Crediamo nella forza gentile dell’impegno e nella passione per i ragazzi, ci sta veramente a cuore la loro crescita ed evoluzione. Faticheremo un po’ in itinere durante questi lavori, ma non molleremo certo!

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