
#scuola #scuoladilibertà
Di Francesco Valecchi
In foto: Il filosofo Lawrence Kohlberg
Il problema dell’etica, nella realtà attuale, è particolarmente urgente, anche se di ardua (e qualcuno dice, impossibile) soluzione.
Le manifestazioni di comportamenti egoistici, la messa in atto di modi di agire, individuali e/o collettivi, profondamente e palesemente ingiusti, lesivi della dignità altrui o addirittura tendenti a provocare danni fisici o psichici e gli scenari di guerre, massacri, delitti orrendi, che la storia e la cronaca ci trasmettono, sembrerebbero ripeterci che la ricerca dell’esistenza nell’uomo di un senso innato del giusto e di una grammatica morale, iscritta nella mente di ciascuno, sarebbero un’utopia e un’indagine vana.
Dobbiamo riconoscere che il ritorno a concezioni predatorie, quasi a un nuovo homo homini lupus, il trionfo delle religioni del profitto e del consumo, hanno tratto palesemente vantaggio da questo vuoto etico. Gli approcci culturali che sostengono tale impotenza etica, stanno mostrando di essere i maggiori alleati e complici del pensiero unico della religione del mercato e della sottomissione della persona alle ragioni di questa nuova ideologia, camuffata dai canti delle sirene neoliberiste.
Fortunatamente le più avanzate tecniche di studio sul sistema neurale umano ci promettono altro. La stessa scoperta dei neuroni specchio, che evidenzia il ruolo della corrispondenza tra mondo interno all’individuo e mondo esterno a lui e problematiche irrisolte come quelle dell’empatia, della compassione, della pro-socialità, della tolleranza, sembrano schiudere la porta ad altri scenari.
Intanto si avverte con insistenza la mancanza di uno sfondo morale comune intorno a cui tutte le culture umane possano, in qualche misura, ritrovarsi per cercare insieme un nuovo orizzonte verso cui incamminarsi e al cui centro sia messo il valore dell’essere umano, inteso come singola persona umana. Se le fonti legittimanti tradizionali sembrano definitivamente inaridite, la riscoperta di un’etica comune sembra passare per un’unica fonte universalmente riconosciuta: la scienza. Mi sono già occupato del problema dell’etica nell’educazione, nell’epoca attuale, nel numero di marzo 2022 di questa rivista (pagg. 32 e segg.), ora vorrei trattarne partendo da un’altra angolazione.
Agli inizi del duemila (nel 2002, nel corso del meeting: Neuroethics. Mapping the field), nacque una nuova scienza, la neuroetica che, all’inizio, sembrava avere un campo limitato aciò che, come dice L. Boella (in: Neuroetica, La morale prima della morale, Raffaello Cortina, Milano, 2008, pag.14), “ (…) è bene e ciò che è male in relazione al trattamento, al perfezionamento o inopportuna invasione o preoccupante manipolazione del cervello umano”. Nella relazione di W. Safire, lo scrittore a cui viene attribuito il lancio di questa nuova scienza, c’è già la consapevolezza che questa avrà a che fare con elementi come la coscienza e il senso del sé e che il suo campo d’azione riguarda le possibilità di uso (o di abuso) da parte del potere di cambiare la vita delle persone.

Per gli organizzatori del Convegno, come riportato dalla stessa L. Boella (cit. pag.14), la Neuroetica sarebbe “lo studio delle questioni etiche, sociali, legali e politiche, che scaturiscono nel momento in cui le scoperte scientifiche riguardanti il cervello entrano nella pratica medica, nelle interpretazioni della legge e nella politica sociale”. Da allora, studi e convegni di neuroetica si sono moltiplicati e il suo campo di azione si è venuto via via definendo, tra i tentativi delle correnti riduzionistiche di limitarne l’orizzonte alla fisiologia del cervello umano e quella di chi situa, questo nuovo campo d’indagine, in uno spazio intermedio tra neurobiologia (studio delle funzioni cerebrali) e filosofia (ma anche psicologia, sociologia, pedagogia, diritto). (Boella, cit. pag.19).
La neuroetica si fonda sul concetto scientifico secondo il quale i meccanismi tipici dell’apparato neurale umano costituirebbero la base biologica di ogni attività della mente. Se la mente è frutto di un lungo processo evolutivo che ha bisogno di una base fisica, l’apparato neurale farebbe, appunto, da fondamento al pensiero e alle sue manifestazioni, quindi anche di quelle che si riferiscono al campo etico. Sull’evoluzione della mente umana, se vogliamo sul suo supporto fisico, il cervello (o, nell’ipotesi della mente estesa, sull’intero corpo), hanno inciso profondamente gli aspetti legati, per quel che riguarda la specie, all’evoluzione e alle culture e, per quel che concerne il singolo, oltre alla specifica nicchia culturale in cui è vissuto, alla sua storia individuale e al suo temperamento.
La neuroetica ha seguito, fin dal suo esordio, due strade, se vogliamo due filoni di ricerca.
1. L’etica delle neuroscienze e cioè la ricerca di un riferimento etico che serva a garantire e regolare la condotta della ricerca scientifica (ciò che è giusto o sbagliato fare nell’ambito della ricerca e delle manipolazioni scientifiche).
2. Le neuroscienze dell’etica, che fanno riferimento all’impatto che le conoscenze sul funzionamento neurale hanno sull’etica (vedasi: Neil Levy, Neuroetica, Le basi neurobiologiche del senso morale, Apogeo, 2009, Milano, pag. 7).

Ci dedicheremo brevemente a questo secondo filone di ricerca. Secondo L. Boella l’etica dell’uomo avrebbe iniziato a svilupparsi fin dai primi comportamenti orientati a fini vitali. Nell’esperienza individuale, che avviene a contatto con l’ambiente, i meccanismi naturali si modificano, si modellano e restano immagazzinati nella memoria sotto forma di ricordo.Sappiamo che ogni esperienza compiuta ha una componente oggettiva, supportata dai sensi, che è accompagnata da due costituenti ineliminabili: l’emozione che si lega, anche nel ricordo, a quel fatto e la sua ricostruzione, che ha bisogno dell’intervento dell’apparato cognitivo. Le reazioni emotive costituirebbero una sorta di manuale di pronto soccorso morale e ci permetterebbero perciò “di fronteggiare eventi, soprattutto interpersonali, con decisioni automatiche, inconsce e rapide, piuttosto che mediante laboriosi ragionamenti” (Levy, cit. pag. 71).
L’evoluzione della razionalità umana si sarebbe intrecciata quindi con lo sviluppo di specifiche emozioni, che la Boella definisce morali, come la compassione, la lealtà, la punizione ecc.. Tali emozioni sarebbero maturate nell’uomo proprio per permettergli di prendere, in brevissimo tempo, la decisione giusta. Le emozioni si pongono tra il sé e l’ambiente che avvolge l’individuo, affinché questo possa rispondere, in maniera efficace e veloce, in situazioni che richiedano reazioni urgenti. Questa necessità di risposta veloce, nell’uomo, è avvertita spesso, vista la sua natura di essere sociale, nel contatto con gli altri. Il senso morale degli esseri umani si svilupperebbe con la capacità di ampliare le interazioni tra individui, capacità che sarebbe decisiva per l’evolversi di facoltà superiori, proprie dell’uomo, come il linguaggio, l’apprendimento, la memoria, l’apparato emozionale e, infine, per le stesse manifestazioni di coscienza e di giudizio.Le emozioni svolgerebbero, quindi, un ruolo fondamentale nella componente etica della replica agli stimoli sociali e, assieme alle necessità relazionali, costituirebbero la fonte da cui si sarebbe sviluppato anche il senso morale umano. A decidere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, nella formulazione del giudizio morale, percezioni (interne ed esterne), emozioni e cognizione lavorerebbero in squadra, in una sorta di ciclo di rimodulazione continuo.
Il concetto di mente estesa, di sede della mente non limitata al cervello, ma diffusa a tutto il corpo e all’ambiente a questo circostante, apre scenari inediti in tutti i campi del sapere e dell’agire umani, dal diritto all’economia, dalla filosofia alla pedagogia. Concetti come responsabilità e colpa, giudizio e volontà, alla luce delle più recenti indagini sulla mente umana, assumono quindi una nuova prospettiva che ne cambia radicalmente l’interpretazione.
La mente si è plasmata nel tempo attraverso l’evoluzione. Sullo sviluppo filogenetico hanno inciso fattori come la natura profondamente sociale dell’uomo, nonché le capacità di estrarre informazioni (da utilizzare e adattare al momento) dai propri ricordi e di proiettare in un futuro, più o meno prossimo, le conseguenze delle proprie azioni. La costruzione del sé individuale nasce tenendo conto dei vincoli biologici, relativi alla specie e all’individuo (come i fattori ereditari, epigenetici, fisici), ma anche dei molteplici livelli dai quali la storia di ognuno si dipana. I legami intersoggettivi (a partire dall’attaccamento), le proprie esperienze personali, interpretate e immagazzinate nella memoria in un certo modo, i significati che cultura e riflessione individuali hanno dato al mondo, nonché i desideri, i bisogni, i progetti, le costruzioni simboliche inconsce, lo sviluppo del proprio mondo emozionale, sono solo alcuni di questi fattori, di questi campi di forze che agiscono nella costruzione del sé.
Le forze esterne all’individuo, le costruzioni simboliche della cultura in cui questi vive, i tanti poteri che cercano di manipolarlo e di piegare in varie misure la sua volontà, incidono profondamente sul suo essere. Il dosaggio tra capacità di scelta e di libertà individuale, di fronte alle possibilità offerte dalle interazioni sociali e dai loro conflitti, appare incerto e non facilmente riconducibile a regole universali. Quel che sembra sicuro, però, è che, su fattori come l’agire individuale, la libertà di volere, la responsabilità e l’autonomia, incide una facoltà umana (solo umana?) che siamo abituati a chiamare coscienza, che è alla base dei principi, dei giudizi e dell’agire morale della singola persona. Su questi fattori, che sono definiti pre-condizioni neurobiologiche della capacità morale (o, come definisce questa L. Boella, morale-prima-della-morale), se ne innestano altri che possono bloccare, annichilire o traviare il senso di giustizia, probabilmente iscritto dall’evoluzione nella mente umana.
La mente umana – ha scritto N. Levy (cit., pag. 73) – può essere modificata in due modi fondamentali: attraverso la presentazione di prove e argomentazioni o con la manipolazione diretta del cervello. Nel primo caso si tenta, in vari modi, di convincere la persona, attraverso sistemi più o meno coercitivi, magari presentandogli quella proposta come l’unica verità possibile e cercando di dimostrare le altre pretese di verità alternative come fonti di errori e illusioni. Gli indottrinamenti di ogni tempo, cultura e paese hanno funzionato così, sfruttando caratteristiche proprie della mente. Anche sistemi, apparentemente più soft, di convincimento, procedono nello stesso senso. Altro sistema possibile di modifica della mente è quello della manipolazione diretta del cervello che può avvenire con mezzi invasivi come farmaci, terapie di psicochirurgia, onde radio ecc..
La mente dell’uomo è quindi manipolabile e questo fatto è ben conosciuto e utilizzato dalle varie culture per cercar di incanalare i soggetti alle ragioni delle varie appartenenze, gruppi di potere o persuasori di ogni genere. Questo dato di fatto apre la porta a possibili scenari inquietanti e a interrogativi che dischiudono nuovi campi d’indagine, ma anche alla presa di coscienza della necessità di dover definire prospettive educative ben più precise, che possono prendere spunto dalle risposte da dare ad alcune domande.
Può esistere un’educazione che punti alla realizzazione dell’autenticità e autonomia dell’individuo e che non tenti di violarne la volontà con manipolazioni o costringimenti? Qual è l’idea di vita giusta e piena che si dovrebbe sviluppare? Come potrebbe essere potenziato l’autocontrollo individuale senza manomissioni? Queste sono solo alcune delle domande che dovremmo porci.
L’autenticità, per Levy, consiste nell’essere fedeli a se stessi, nella capacità di trovare modi di vita individuali e nella non accettazione passiva delle regole sociali imposte. Tenuto conto che l’individuo tende ad assorbire le idee prevalenti della propria cultura e a rispondere all’ambiente in cui vive in conformità a esempi che gli sono insegnati dall’esperienza o dagli adulti, occorre vedere come si possano conciliare la protezione dell’autenticità individuale e l’insegnamento delle competenze necessarie alla qualità della vita in una società complessa.
Teniamo conto che noi siamo i nostri ricordi e che costruiamo la nostra storia individuale in conformità a esperienze che compiamo nell’ambiente. Le nostre decisioni, secondo A. Damasio, sono mediate dalle risposte emotive che diamo a determinate situazioni, ma tali risposte sarebbero, a loro volta, influenzate dagli stati del corpo. Le risposte somatiche e gli stati emozionali e cognitivi, conseguenti alle varie situazioni della vita, entrano a far parte, come ricordi, nella nostra memoria e costituiscono la nostra identità personale, formata da tante storie in cui, reazioni corporee, emotive e cognitive s’intrecciano per dare risposte a situazioni contingenti.
Se l’autenticità, come afferma Levy (cit. pag.109), consiste “nella ricerca di un modo di vivere che sia distintivamente proprio”, ciò può avvenire solo sviluppando la capacità di un individuo di sapersi guardare dentro. Recuperiamo dalla nostra memoria le risposte da dare ai quesiti morali che ci si presentano nella vita quotidiana, ma tali risposte sono dettate anche dall’ambiente sociale (e dai relativi modelli etici) nel quale siamo immersi. Il nostro racconto include anche gli altri, proprio come i diversi personaggi di una storia di cui siamo protagonisti. Questo fatto comporta una serie di conseguenze, a partire da quello che è un pre-requisito o, se vogliamo, un principio fondamentale della convivenza: avere ben definiti i confini del proprio sé (dove finisco io e dove iniziano gli altri). Muoversi da questa consapevolezza implica la conoscenza di regole e dati di fatto senza i quali la convivenza, mia (in primis) e degli altri, diventa problematica. Vediamo alcune regole ed elementi di questa prima presa di coscienza:
- Interiorizzare la regola di Non danneggiare gli altri vuol dire anche aver sviluppato la capacità di riconoscere e non ferire il loro mondo emozionale.
- Il nostro modo di ricostruire il mondo intorno a noi è di tipo narrativo. Per questo abbiamo la tendenza a inventare storie, più o meno plausibili, per dare un significato alla realtà, ma anche a ciò che facciamo noi e a ciò che fanno loro. Questo modo di interpretare il mondo può portarci totalmente fuori strada facendoci scambiare per buone e reali quelle che sono soltanto fantasie o inganni. Il contatto con persone che possono metterci in conflitto (o confermarci) con le nostre narrazioni è un elemento fondamentale del nostro stare con gli altri.
- L’identità umana, ricorda ancora Levy, si forgia attraverso processi di negoziazione e rinegoziazione con la propria cultura (e con quelle con cui l’individuo viene in contatto), processi sui quali l’individuo imbastisce la sua storia (quella che lui racconta di sé).
- Questa narrazione individuale, frutto di negoziazione e ri-negoziazione orale, si elabora attraverso il contatto con gli altri e con l’educazione. È con la maturità che noi interiorizziamo questa narrazione che dovremmo aver imparato a ri-scrivere da soli. In ogni caso essa si può realizzare correttamente solo attraverso il dialogo con gli altri.
- Noi abbiamo bisogno, fondamentalmente, di un ambiente intorno a noi che fornisca le impalcature necessarie alla crescita libera del nostro sé. Tale ambiente, che deve fare da supporto allo sviluppo del nostro pensiero, della nostra volontà e del nostro comportamento, può essere predisposto solo con un concorso consapevole delle varie agenzie educative (formali, non formali, informali), a partire da un progetto comune che dovrebbe vedere coinvolti tutti gli ambienti, dai micro al macro. L’acquisizione di abilità come quelle di saper modulare il proprio comportamento, uscire dagli stati di caos emotivo e dagli errori cognitivi, ha bisogno di un sistema educativo che favorisca, quella che Levy (cit. pag.216) chiama raggiunta unificazione del sé.
- L’autocontrollo individuale, elemento fondamentale nel processo di unificazione del sé, si acquisisce realizzando ambienti educativi finalizzati a incrementare capacità individuali fondamentali come: apprendere a ritardare la soddisfazione dei propri desideri, ad autolimitare le proprie inondazioni emotive, a rafforzare la volontà e le capacità di orientamento.
- Siamo liberi soltanto quando abbiamo acquisito il potere di intervenire in modo consapevole, attivo, emozionalmente competente, nelle decisioni che prendiamo. Dobbiamo saper soppesare le ragioni di ciò che facciamo o che stiamo per fare. Le nostre decisioni sono prese sulla base dei nostri desideri, credenze, emozioni, ricordi.
Le emozioni, opportunamente conosciute, anziché essere di ostacolo alla razionalità potrebbero costituire guide affidabili per l’approccio al reale e alla stessa realtà morale. Esse, frutto della lunga storia evolutiva dell’uomo, costituiscono, infatti, il nucleo del suo mondo affettivo. La presa di coscienza profonda di essere possessori di diritti morali è probabilmente il frutto evoluto di disposizioni a cooperare di creature primitive. Ciò significa innanzitutto che l’educazione dell’individuo deve essere frutto di uno sforzo collettivo delle agenzie educative e deve essere guidata da educatori (non soltanto insegnanti) chiaramente preparati a tale compito. Sostanzialmente si tratta di predisporre ambienti educativi in cui possa realizzarsi un sano equilibrio tra modelli, intuizioni morali e teorie morali individuali.
Il terreno su cui deve crescere quell’arbusto, su cui innestare le intuizioni morali individuali, deve essere ben preparato e quindi l’individuo stesso deve raggiungere una chiara consapevolezza di sé: delle risorse e dei limiti della sua mente, del suo corpo, delle sue emozioni, nonché dei suoi bisogni e desideri. Il percorso educativo dovrà fornire all’individuo quegli attrezzi del mestiere di vivere consistenti nelle conoscenze, abilità, competenze cognitive necessarie ad un’esistenza consapevole e attiva del suo tempo, della sua vita sociale e individuale. Per questo occorrerà che egli acquisisca un linguaggio ricco e appropriato, una capacità di percepire il suo ambiente-mondo, nell’articolazione dei suoi tanti sistemi, come una risorsa su cui fare affidamento o, come dice Levy con una felice espressione, come impalcatura epistemica. Il percorso di formazione verso il mondo delle intuizioni morali, (proprio di ogni individuo), tutto da costruire, dovrà rilevare, il più precocemente possibile, le storture dovute a problematiche fisiche, genetiche, ma anche educative (pensiamo, ad esempio, ai problemi che possono insorgere nel rapporto di attaccamento con chi si occupa dell’accudimento del bambino!) e offrire percorsi, tutti da definire, di sostegno alle difficoltà individualmente evidenziate.
L’altro piano dell’educazione etica è quello che potremmo definire della riflessione o, se vogliamo, della giustificazione morale. I mezzi classici di miglioramento delle capacità individuali di ragionamento come il saper descrivere, il saper incanalare in narrazioni coerenti i propri vissuti e soprattutto il saper riflettere e argomentare, utilizzando il pensiero critico, logico e creativo, sui propri e altrui comportamenti (cercando di entrare nelle cause e nelle ragioni di questi), avvicinano l’individuo alla consapevolezza del proprio mondo e al fatto che l’indagine individuale sull’universo morale non è diversa, nella sua metodologia, da quella dell’indagine scientifica.
Il sapere morale emerge nell’interazione tra persone, come aveva ben intuito L. Kohlberg e, come avviene nelle pratiche di Philosophy for children, ideate da M. Lipman. Migliorare la capacità di ragionare, anche attraverso pratiche di sviluppo del pensiero logico e di quello divergente, dovrà essere un imperativo della nuova scuola, non soltanto per conseguire l’obiettivo di realizzare una società composta di individui pienamente consapevoli del loro mondo, della loro storia, di se stessi, ma anche delle scelte che vorranno fare e delle conseguenze di queste.
Il potenziamento delle capacità di ragionamento, che può avvenire nelle transazioni, nei dialoghi, nelle discussioni e nei confronti, deve avere a sostegno stabili competenze cognitive e affettive, ma essere anche supportato dalla capacità di saper incanalare in solide argomentazioni le giustificazioni del proprio pensiero (e del proprio agire). L’armonia tra le intuizioni, la capacità di giudizio e la costruzione di solidi e coerenti principi morali passa necessariamente attraverso quella fucina, che deve essere continuamente alimentata, di idee, di narrazioni, di simboli, di significati, ma anche di emozioni e affetti, che è la capacità di riflessione umana, che si apprende nelle pratiche relazionali, a partire da quelle educative.
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